Tra un universo condiviso preciso come un orologio al quarzo (quello dei Marvel Studios) e un altro che sta crollando, sgretolatosi sotto il peso di decisioni sbagliate e operazioni cinematografiche frettolose (quello Warner/DC), un modello di successo e uno di insuccesso, la SONY ha raccolto la sua unica possibilità di mettere insieme un franchise dedicato ai supereroi, dopo aver deciso di condividere con la Marvel lo sfruttamento cinematografico di Spider-Man; lo fa con l’arma più tagliente che possiede, dopo lo spara ragnatele, ovvero la sua nemesi, Venom.
È con un film dedicato al simbionte alieno, diretto da Ruben Fleischer (Zombieland, Gangster Squad), che si avvia questo nuovo ambizioso progetto, spalancando le porte dell’immaginazione a una miriade di possibilità creative.
Non devono essere
sembrate però tali, queste possibilità, a chi, alla
SONY, ha ideato e scritto il film, che conserva le
origini aliene del
simbionte e ne fa una storia di supereroi fuori dal tempo.
Venom sembra un cugino stretto del
Daredevil con
Ben Affleck, e che ripresenta tutte le
ingenuità e la bellezza “infantile” di quel film. Questa direzione
scelta dalla produzione (Avi Arad, Matt Tolmach e
Amy Pascal) conserva un certo fascino, soprattutto
nel prologo del film e nel concitato finale, ma per tutta la parte
centrale si assiste a un copione già visto, che si affida a
dialoghi banali, sviluppi drammaturgici pigri, un racconto arenato
nei primordi del genere, che sembra aver dimenticato tutta la
storia del cinema che va dagli X-Men di Bryan
Singer agli Avengers
dei Fratelli Russo. Venom arriva
direttamente dagli anni ’90.
Venom, un cinecomic anni ’90
Tom Hardy guida il gruppo di attori di grande talento mal sfruttati da una scrittura sciatta, che vorrebbe far passare l’attore britannico come un giornalista operoso, un “secchione” puntiglioso, spaventato e timoroso, Michelle Williams per una avvocatessa di successo facile alla rabbia e frettolosa nelle decisioni, Riz Ahmed come uno scienziato pazzo che sogna un mondo nuovo per la razza umana. Il corto circuito scatta subito, nell’istante in cui, nonostante il patto di credibilità che si stringe con lo spettatore in caso di film con elementi di fantasia, nessuno, nemmeno gli attori stessi apparentemente, credono anche solo per un istante in ciò che stanno raccontando.
E certo il doppiaggio, in particolar modo quello affidato a Adriano Giannini che presta di nuovo la voce a Tom Hardy, non aiuta il film che, se nelle situazioni e negli scambi di battute svela un intento comico e leggero, nelle ambientazioni e nelle vicende è invece un racconto serio e cupo, rilevando così un dislivello di tono e generando un effetto di smarrimento.
Gli evidenti problemi non
privano però il film su Venom di un certo fascino,
un’impostazione dell’antieroe che sfiora, nel finale, il buddy
movie in cui Eddie Brock e il simbionte sviluppano un legame
comico che ricorda per brio il miglior Deadpool cinematografico
ma che allo stesso tempo non basta a tenere in piedi una
pellicola.
Venom si affanna sulle orme di altri, troppo in ritardo per essere ancora interessante, eppure in qualche modo godibile, come l’ammasso informe del simbionte, una poltiglia che fatica a prendere forma ma che riesce, in un modo misterioso, ad attirare lo sguardo.