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Cannes 2016: la vita oltre la competizione è sempre ciò che resta

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Cannes 2016: la vita oltre la competizione è sempre ciò che resta

Cannes 2016 2Sulla croisette si sta consumando l’ultimo atto del Festival di Cannes numero 69, con il gala del nuovo film di Paul Verhoeven alle 19:00 si spegneranno definitivamente i riflettori anche su questa edizione. Lo confermano i padiglioni vuoti del Palazzo dei Festival e dei Congressi, solitamente brulicante di giornalisti, personale di servizio e – ovviamente – i più grandi registi e attori del cinema contemporaneo. Con l’ultima conferenza stampa di oggi, anche la sala dedicata che ha visto passare tutti i protagonisti della kermesse ha chiuso le sue porte, in generale il clima che si respira fra le strade della cittadina francese è di vuoto e nostalgia. La gran parte degli accreditati è già ripartita verso i Paesi di provenienza, non c’è più bisogno di fare file immani per accaparrarsi un tavolo per pranzare e il traffico è tornato pressoché standard, insomma la normalità è pronta a riprendere il controllo. Con un evento che finisce, arriva però inevitabile il tempo dei bilanci, che anno è stato dunque? Personalmente ci riteniamo più che soddisfatti, oltre a seguire la buona selezione del concorso abbiamo fatto qualche bella escursione anche nelle sezioni collaterali, come la Quinzaine des Realisateurs e Un Certain Regard; in questi spazi “di contorno” ha trovato spazio soprattutto l’Italia, estromessa da un concorso super agguerrito ma uscita comunque a testa alta.

Hanno fatto bella mostra Marco Bellocchio con il suo ottimo Fai Bei Sogni, Claudio Giovannesi con il particolare Fiore, Paolo Virzì con l’emozionante La Pazza Gioia, che con il senno di poi non avrebbero sfigurato in lizza per la Palma d’Oro, soprattutto alla luce di alcune scelte del Festival discutibili. Alcuni titoli della competizione sono infatti usciti dalle proiezioni con le ossa più che spezzate, ci viene da pensare a Mal de Pierres, a Personal Shopper, a La Fille Inconnue. Il melò di Nicole Garcia con una sofferente Marion Cotillard nel ruolo principale ha entusiasmato pochissimi animi, ha scatenato urla e fischi anche Olivier Assayas, che pur giocando in casa non ha retto il colpo con i suoi fantasmi sovrannaturali, e a poco e nulla è servito il corpo nudo di una buona Kristen Stewart. Il 2016 passerà inoltre alla storia come l’anno in cui i fratelli Dardenne hanno sbagliato un film, proprio loro che a Cannes hanno vinto come pochi, ma non sempre si possono realizzare pellicole capaci di scaldare il cuore. Lo ha imparato alla perfezione Sean Penn, che con The Last Face è andato anche oltre, scatenando l’ilarità e le offese dell’intera stampa internazionale. Ancora una volta non è bastato il talento degli interpreti principali, Charlize Theron e Javier Bardem, finiti senza aspettarselo in un lungo spot pubblicitario, una storia d’amore all’interno del caos delle guerre d’Africa che non solo ha sfigurato in concorso, poteva tranquillamente essere esclusa dalla selezione ufficiale senza che nessuno se ne accorgesse.

Cannes 2016 3Nell’album dei ricordi non ci sono però solo paragrafi negativi, al contrario abbiamo iniziato con le paillettes di Woody Allen, continuato con la classe senza tempo di Pedro Almodovar, che con Julieta è tornato a girare come 10 anni fa, le lacrime di Ken Loach e I, Daniel Blake, la poesia di Jim Jarmusch e la sua Paterson. Gli ultimi giorni di Festival hanno però regalato al loro pubblico il meglio, almeno quattro film da vedere a tutti i costi che finiscono dritti dritti anche nel nostro personale TotoPalma. Opere che non sempre hanno convinto all’unanimità, anzi, abbiamo affrontato diverse guerre di opinione per spuntarla, ma sicuramente Juste la fin du monde di Xavier Dolan e The Neon Demon di Nicolas Winding Refn sono due fra i migliori lavori visti a Cannes 2016. Particolare ed emozionante il primo, girato in 35mm, sporco e malinconico, terrificante e violento il secondo, un girone infernale abitato da demoni e bellezza di facciata, due modi diversi di fare e pensare il cinema che a loro modo si completano e diventano imperdibili. Intoccabile invece il maestro Asghar Farhadi, che ha spiazzato la croisette con un film su traumi e vendette, metafore di un Iran che vive nel rancore e non riesce a ringiovanire.

Parlando di maestri, ha lasciato il suo segno inequivocabile anche Paul Verhoeven, il padre di RoboCop e delle gambe accavallate più famose della storia del cinema (in Basic Instinct ovviamente): il suo Elle ha divertito e fatto riflettere l’intero Gran Teatro Lumière, un lavoro di genere multistrato come non si vedeva da anni sul mercato. Qualora la Palma d’Oro finisse a uno di questi quattro film, non ci sarebbe nessuno scandalo, almeno per noi. Qualcuno che resterà scontento ci sarà in ogni caso, è più facile vedere un aereo senza ali spiccare il volo anziché una giuria internazionale in grado di mettere d’accordo tutti. Nelle stanze in cui tutto viene deciso entrano fattori esterni al puro gusto, come l’impegno civile, sociale e politico, le meccaniche dei premi che non si possono ripetere, maggioranze e minoranze, insomma un campo minato che per forza di cose lascerà qualche vittima. Poco importa, alla fin della fiera i premi sono la cosa meno importante di un Festival del Cinema, a restare davvero sono dieci giorni di corse, di attese, di sudore, di pioggia e di sole, di immagini e lacrime, di fischi, di colleghi e bocconi ingurgitati di fretta. Tutte cose che non entrano negli annuari.Cannes 2016 4