
Hanno fatto bella mostra Marco Bellocchio con il suo ottimo Fai Bei Sogni, Claudio Giovannesi con il particolare Fiore, Paolo Virzì con l’emozionante La Pazza Gioia, che con il senno di poi non avrebbero sfigurato in lizza per la Palma d’Oro, soprattutto alla luce di alcune scelte del Festival discutibili. Alcuni titoli della competizione sono infatti usciti dalle proiezioni con le ossa più che spezzate, ci viene da pensare a Mal de Pierres, a Personal Shopper, a La Fille Inconnue. Il melò di Nicole Garcia con una sofferente Marion Cotillard nel ruolo principale ha entusiasmato pochissimi animi, ha scatenato urla e fischi anche Olivier Assayas, che pur giocando in casa non ha retto il colpo con i suoi fantasmi sovrannaturali, e a poco e nulla è servito il corpo nudo di una buona Kristen Stewart. Il 2016 passerà inoltre alla storia come l’anno in cui i fratelli Dardenne hanno sbagliato un film, proprio loro che a Cannes hanno vinto come pochi, ma non sempre si possono realizzare pellicole capaci di scaldare il cuore. Lo ha imparato alla perfezione Sean Penn, che con The Last Face è andato anche oltre, scatenando l’ilarità e le offese dell’intera stampa internazionale. Ancora una volta non è bastato il talento degli interpreti principali, Charlize Theron e Javier Bardem, finiti senza aspettarselo in un lungo spot pubblicitario, una storia d’amore all’interno del caos delle guerre d’Africa che non solo ha sfigurato in concorso, poteva tranquillamente essere esclusa dalla selezione ufficiale senza che nessuno se ne accorgesse.

Parlando di maestri, ha lasciato il suo segno inequivocabile anche Paul Verhoeven, il padre di RoboCop e delle gambe accavallate più famose della storia del cinema (in Basic Instinct ovviamente): il suo Elle ha divertito e fatto riflettere l’intero Gran Teatro Lumière, un lavoro di genere multistrato come non si vedeva da anni sul mercato. Qualora la Palma d’Oro finisse a uno di questi quattro film, non ci sarebbe nessuno scandalo, almeno per noi. Qualcuno che resterà scontento ci sarà in ogni caso, è più facile vedere un aereo senza ali spiccare il volo anziché una giuria internazionale in grado di mettere d’accordo tutti. Nelle stanze in cui tutto viene deciso entrano fattori esterni al puro gusto, come l’impegno civile, sociale e politico, le meccaniche dei premi che non si possono ripetere, maggioranze e minoranze, insomma un campo minato che per forza di cose lascerà qualche vittima. Poco importa, alla fin della fiera i premi sono la cosa meno importante di un Festival del Cinema, a restare davvero sono dieci giorni di corse, di attese, di sudore, di pioggia e di sole, di immagini e lacrime, di fischi, di colleghi e bocconi ingurgitati di fretta. Tutte cose che non entrano negli annuari.

