Da Tobey Maguire a Tom Holland, com’è cambiato lo Spider-Man del grande schermo

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Esattamente 54 anni fa, il personaggio dell’Uomo Ragno appariva per la prima volta nelle tavole del fumetto Amazing Fantasy, battezzato dalla penna Stan Lee e dai disegni di Steve Ditko. Fu chiaro fin da subito che le azioni di Peter Parker avrebbero incontrato per lo più il favore e la curiosità di un pubblico giovane, pre-adolescente o in piena fase di crescita, rappresentando una vera e propria “rivoluzione” nell’universo cartaceo della Marvel. Ubriachi di super uomini dotati di super poteri (e di una sconsiderata sicurezza di sé), i ragazzi avevano finalmente trovato il loro punto di riferimento fumettistico, in fuga dalle regole di infallibilità e vicino in un modo inedito ai bisogni e ai desideri generazionali: come tutti i teenagers, Peter interpreta la matrice di una fase particolare della vita, ovvero l’inadeguatezza di stare al mondo e la ricerca di un’identità, tema che nei fumetti ha subito un’evoluzione temporale dalla classica serie di Spider-Man alla moderna Ultimate.

 

Il cinema è ancora un potente mezzo di comunicazione di massa che cambia nel tempo e insieme agli spettatori, e a fronte di questi cambiamenti, ha saputo offrire storie e personaggi aderenti alla società corrente. Ora, prendiamo in esame uno dei fenomeni più significativi dell’ultimo decennio (e oltre): l’avvento dei cinecomic nell’intrattenimento cinematografico. La violenta irruzione di questi prodotti nel mercato è riuscita a proporci ben tre versioni di Spider-Man spalmate dal 2002 ad oggi, una manovra che viene denominata “reboot”, “riavvio”; iniziata con la trilogia di Sam Raimi, la fortuna di Peter Parker nelle sale passa dallo sviluppo di un personaggio arrivando alla sua completa affermazione, in un percorso dai volti diversissimi che, in un modo o nell’altro, dicono molto della nostra storia e del nostro gusto.

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È il 1999. Intenzionata a realizzare il primo lungometraggio dedicato all’Uomo Ragno, la Sony assume Raimi alla regia dopo che James Cameron e David Fincher avevano presentato alla casa di produzione dei possibili script, giudicati poi infattibili. Nello sguardo stralunato di Tobey Maguire c’è l’imbarazzo dell’esordiente che debutta in un’arena rumorosa; timido, discreto ed eccessivamente sfortunato, il Peter del film sembra perfettamente inserito nel periodo storico in cui fa la sua comparsa, una fase che segnerà l’anima del popolo americano. New York, ancora traumatizzata dagli attentati dell’11 settembre, fa da sfondo a svariate pellicole che escono in sala nel 2002 (La 25° ora, Gangs of New York), tra cui anche Spider-Man. Potrebbe apparire un dettaglio insignificante, eppure quell’evento risvegliò una coscienza che chiamava a gran voce dei salvatori, supereroi dei quali adesso abbiamo un’indigestione legata all’eccessiva quantità ma che allora, nel pieno dello sconforto, rappresentavano l’unica via di svago. Raimi non solo ebbe la grazie e l’intelligenza di presentare il personaggio, addirittura lo permeò di una profonda umanità che spesso ricerchiamo nei film più intimi e che il regista ha distillato nel primo e nei successivi due titoli da lui diretti.

Peter Parker cambia identità nel 2010, quando la Columbia Pictures ordina una nuova versione nel reboot che Marc Webb avrebbe diretto in seguito; all’epoca il regista era conosciuto dal pubblico per la commedia romantica indipendente 500 Giorni Insieme, un genere che difficilmente si adattava, almeno sulla carta, agli scopi del blockbuster ma che, col senno di poi, è diventato il tratto distintivo di The Amazing Spider-Man e The Amazing Spider-Man 2. Ancora una volta, il senso del realismo imprime una forza notevole sul profilo del personaggio: appariva piuttosto verosimile che nel 2012 Peter, a cui dava forma e cuore Andrew Garfield, fosse un ragazzino molto più consapevole di se stesso. Nerd, non sfigato, studioso, non secchione, tratteggia benissimo il carattere della generazione a cui si riferisce, quella che oggi non ha timore di mostrare al mondo le proprie stranezze ricavandone si insuccessi ma anche piccole vittorie personali (come per Peter Parker la conquista del suo grande amore Gwen Stacy). In un periodo storico di stallo politico e culturale, l’idea di Webb di trasferire l’universo Marvel sul pianeta del cinema indie è stata quanto mai significativa, per molti vincente, per gli incassi meno; rimane la certezza che questo Spider-Man abbia costruito le basi per il futuro e sia servito da trampolino di lancio per il nuovo “bimbo ragno” di Tom Holland che conoscerete in Captain America: Civil War.

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Sono lontani i tempi della chiamata alle armi, del senso “politico” e delle ragioni che spingono il cinema di intrattenimento ad affidarsi agli uomini con i superpoteri. Ormai la sequenza ininterrotta che produce cinecomics ha un po’ messo in disparte la bellezza e la nobiltà della fonte (il fumetto) creando una serie di cloni senz’anima indistinguibili se non grazie a dettagli che sfumano nel marasma del botteghino. Le regole del mercato hanno stabilito quindi che dovesse comparire sullo schermo un terzo Spider-Man nel domani imprenditoriale dei Marvel Studios (visto che il precedente aveva fallito le sue occasioni), invertendo quella rotta verso nuovi lidi condivisa da Raimi e Webb. Atteso nel 2017, Homecoming palesa fin dal titolo il ritorno del personaggio a una dimensione infantile, ovvero il nido che protegge i cuccioli prima del loro avvento nel mondo; per questo la scelta di Tom Holland (classe 1996, il più giovane dei tre attori che hanno vestito il costume) è così appropriata e calzante da scacciare ogni dubbio circa le possibilità di successo. In Civil War, Peter Parker è la quintessenza del nerd contemporaneo, logorroico, fastidiosamente comico. La funzione di “giullare” condensa i caratteri di una generazione teen agli antipodi di quella inquadrata dal film del 2002, marchiata da una forte self-confidence e pronta a condividere la scena degli adulti da protagonista, sulla pista da ballo e non incollato a una parete. La cultura americana è cambiata, la società con essa, e di pari passo, anche un ragazzo in calzamaglia rossa e blu.

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