Golden Globes 2018: la notte delle women in black, tante conferme e nessuna sorpresa

Golden Globes 2018

Il nero come segno di protesta, il tappeto rosso orfano del colore, i discorsi pieni di rabbia e passione, poi i premi, le conferme, le sorprese, qualche delusione sparsa, tutto è stato inghiottito nel cuore della notte (ore 5 della mattina in Italia) al termine della cerimonia dei Golden Globes 2018.

 

Un evento mai come quest’anno caratterizzato dalla responsabilità politica e dai messaggi contro quel potere maschile che ha governato l’industria cinematografica – e non solo – sopprimendo la controparte femminile; ecco spiegata allora la scelta, delle attrici, di indossare solo abiti neri, l’assenza (finalmente!) di domande sciocche dal red carpet (“Cosa indossi stasera?”), la solidarietà collettiva opposta agli abusi sessuali, alle molestie, alle ingiustizie di ogni tipo.

“Il tempo è scaduto”, ha tuonato Oprah sul palco mentre riceveva il Cecil B. DeMille Award, una nuova pagina di storia sociale è stata scritta, e questi Golden Globes non fanno che ribadire la portata del movimento e la sua influenza, inevitabile, sulla direzione intrapresa dalla Hollywood Foreign Press nell’assegnazione dei premi. Ma procediamo con ordine.

Golden Globes 2018: tutti i vincitori della 75° edizione

Big Little Lies: la regina del piccolo schermo

Il prodotto televisivo che meglio cavalca il risveglio femminile-femminista dell’ultimo anno appartiene alla scuderia HBO – garanzia di qualità e di una certa libertà creativa – e ha praticamente spazzato via la concorrenza nella categoria miniserie dei Golden Globes 2018, vincendo quattro premi (Miglior Attrice Protagonista, Miglior Attore Non Protagonista e Miglior Attrice Non Protagonista, Miglior Miniserie Drammatica).

Il “caso” della stagione appena trascorsa è la realizzazione di un progetto collettivo, nato dall’intuito imprenditoriale di Reese Witherspoon e dal coinvolgimento dell’amica Nicole Kidman (lei che nel 2017 avrebbe meritato una maggiore attenzione per la prova ne L’Inganno di Sofia Coppola, ma tant’è…) e incanala tutti i discorsi sollevati dopo lo scandalo Weinstein, ma va anche oltre i confini dell’industria dello spettacolo, tra le mura domestiche dove si consumano le violenze sulle donne, con un tempismo perfetto.

Non stupisce affatto l’entusiasmo scatenatosi attorno a Big Little Lies, che pure rimarrà un episodio degno di lode nel panorama televisivo (per il magnifico affiatamento del cast e la densità delle interpretazioni, la messa in scena e la regia di Jean Marc Vallée), come non è da sottovalutare l’impegno emotivo e sociale che permea la produzione; tuttavia questo sembra aver prevalso in maniera indiscutibile sulla concorrenza che invece della politica ha preferito altre strade. E in tempi come questi, è davvero difficile capire se il valore oggettivo possa essere oscurato dalla portata sociale. Visto l’andamento dei premi, la risposta è piuttosto chiara.

Golden Globes 2018: foto dal red carpet della 75° edizione

Mostri americani e giovani speranze: la sconfitta di I, Tonya e il trionfo di Lady Bird

Passiamo al nostro argomento favorito della serata, il confronto che più attendevamo con curiosità, trattandosi di due piccole produzioni entrambe “guidate” da una figura femminile molto forte. Stiamo parlando di Lady Bird, l’acclamata opera prima di Greta Gerwig e I, Tonya, atipico biopic dedicato alla pattinatrice olimpica Tonya Harding, pellicole lontane per intenzioni, genere e carattere cinematografico purtroppo finite nella stessa, già contraddittoria, categoria (quella della Commedia o Musical).

Ironia e dramma si fanno spazio tra le sceneggiature della Gerwig, da una parte, e di Steven Rogers dall’altra, mettendo sotto i riflettori storie di vere underdog, che in un’ottica generale di grandi titoli e anziana concorrenza sono parse le cose migliori della serata (e forse dell’intera stagione).

È però il dolce-amaro coming of age della Gerwig a dominare i premi: Miglior Commedia e Miglior Attrice Protagonista in una Commedia (Saoirse Ronan), praticamente sfilandoli dalla tasca di Margot Robbie e compagni. La stampa americana ha adorato Lady Bird, ma ha anche saputo apprezzare le oggettive potenzialità di I, Tonya, film scorretto, politicamente schierato, “uncomfortable” direbbero loro, ovvero scomodo. Forse troppo. E questo dice molto della difficoltà perpetua, di generazione in generazione di critici, di accettare il contraddittorio. L’America non è (ancora) pronta per premiare una pellicola come I, Tonya, come non è pronta per premiare chi le ride in faccia confessando la verità.

La vendetta della periferia sulla favola e il romanticismo: Three Billboards Outside Ebbing, Missouri batte The Shape of Water

L’altro grande scontro di questa edizione dei Golden Globes vedeva protagonisti The Shape of Water, ultima opera di Guillermo Del Toro già Leone D’oro a Venezia, e Three Billboards Outside Ebbing, Missouri, di Martin McDonagh.

L’amore puro che combatte barriere fisiche e sociali opposto al racconto di una vendetta personale e di un’acredine tutta femminile, sono stati i concorrenti in lizza per i premi più ambiti nella categoria Film Drammatico, portati a casa – tutti tranne uno – dalla pellicola di McDonagh; a Del Toro non resta che il riconoscimento alla Regia, in una cinquina che quest’anno non ha riservato sorprese.

Ciò che stupisce in effetti è l’assoluto disinteressamento dell’Hollywood Foreign Press nei confronti di The Shape Of Water, che seppure insignito del numero più alto di nomination, ha guadagnato prevedibilmente il premio che da diversi anni viene assegnato a filmaker messicani (vedi Alfonso Cuaron e Alejandro Gonzalez Inarritu). Così, tanto per alimentare i dubbi, sembra che dietro queste decisioni ci sia soltanto l’idea di un’integrazione, di un cinema americano che accoglie artisti stranieri, ma che poi di fatto non è mai in grado di sostenere pienamente. Ci voleva coraggio, quello che la Mostra di Venezia ha dimostrato, a premiare come Miglior Dramma un film di genere, anzi, un film di mostri che nasconde al suo interno un’infinità di discussioni etiche, sociali, culturali e politiche.

Di questi Golden Globes ci porteremo il ricordo di Frances McDormand, leonessa sul palco mentre riceve il suo meritatissimo premio, la fierezza di Allison Janney, la purezza di Saoirse Ronan che saluta la mamma in collegamento telefonico, l’emozione di Greta Gerwig che ringrazia Sacramento, ma anche la rivincita delle seconde linee, Sam Rockwell splendido cowboy e James Franco. Nemmeno la conduzione di Seth Meyers, tra alti e bassi, il monologo-sermone di Oprah e i riferimenti agli scandali sessuali di Hollywood potranno mai offuscare la bellezza offerta da tutti questi interpreti del cinema, dell’arte, e della vita.

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