Uscito nel 2014 e diretto da George Clooney, Monuments Men è un war movie atipico che intreccia storia, avventura e riflessione sul valore dell’arte. Clooney, che nel film interpreta anche il ruolo del protagonista Frank Stokes, guida un cast corale di primo piano (Matt Damon, Bill Murray, John Goodman, Cate Blanchett, Jean Dujardin) per raccontare la missione, realmente avvenuta, di un gruppo di esperti d’arte incaricati di salvare il patrimonio artistico europeo trafugato dai nazisti durante la Seconda guerra mondiale.
Il film prende ispirazione da eventi realmente accaduti, raccontati più nel dettaglio nella nostra analisi sulla vera storia dei Monuments Men e dal libro The Monuments Men di Robert M. Edsel e Bret Witter e porta sullo schermo un episodio poco conosciuto ma fondamentale: la creazione della MFAA (Monuments, Fine Arts, and Archives Section), unità speciale alleata che aveva il compito di proteggere e recuperare opere d’arte e monumenti minacciati dal conflitto. Il film unisce tono epico e momenti di leggerezza, concentrandosi più sui valori morali che sulla pura azione bellica.
Il finale di Monuments Men ha suscitato discussioni perché, pur chiudendo le vicende principali, lascia allo spettatore la riflessione sul senso della missione e sull’eredità culturale difesa da quei soldati-storici dell’arte. Comprenderlo significa anche cogliere il messaggio centrale del film: l’arte come simbolo dell’identità e della memoria di un popolo, un patrimonio che vale la pena proteggere anche a costo della vita.
Cosa succede in Monuments Men?
Negli anni finali della Seconda guerra mondiale, il curatore d’arte Frank Stokes (George Clooney) convince il presidente Roosevelt della necessità di creare una task force speciale per proteggere il patrimonio artistico europeo minacciato dalla furia nazista. Nasce così la “Monuments, Fine Arts, and Archives Section”, composta da storici dell’arte, architetti e conservatori. Benché non siano soldati addestrati al combattimento, questi uomini vengono inviati al fronte per rintracciare, catalogare e restituire ai legittimi proprietari le opere trafugate.
Il gruppo è eterogeneo e internazionale: James Granger (Matt Damon), esperto di arte francese; Richard Campbell (Bill Murray), architetto; Walter Garfield (John Goodman), scultore; Jean Claude Clermont (Jean Dujardin), direttore di museo francese; Preston Savitz (Bob Balaban), critico d’arte; e altri ancora. Insieme affrontano il gelo, la diffidenza dei militari e il rischio costante di imboscate tedesche. Parallelamente, a Parigi, la segretaria del Louvre Claire Simone (Cate Blanchett) custodisce informazioni preziose sul percorso delle opere sottratte dai nazisti.
Mentre gli Alleati avanzano, i “Monuments Men” seguono le tracce dei convogli tedeschi che trasportano sculture, dipinti e oggetti sacri verso depositi segreti in Germania e Austria. Le loro ricerche li conducono a scoprire cave, miniere e castelli trasformati in enormi magazzini d’arte. Il tempo però è contro di loro: Hitler ha emanato il “Nerobefehl”, l’ordine di distruggere tutto in caso di sconfitta. Salvare le opere significa spesso rischiare la vita e subire perdite dolorose all’interno della squadra.
Il film culmina con il recupero di capolavori come la Madonna di Bruges di Michelangelo e l’Altare di Gand, simboli del patrimonio culturale europeo. Attraverso successi e sacrifici, la squadra dimostra che difendere l’arte equivale a difendere l’identità e la memoria di interi popoli. L’ultima parte del film mostra gli uomini ormai anziani che, anni dopo, rivedono i tesori che hanno salvato, suggerendo allo spettatore una riflessione sul senso della loro missione e sull’eredità lasciata alle generazioni future.
La spiegazione del finale di Monuments Men
Nel finale vediamo Frank Stokes, ormai anziano, visitare con il figlio un museo dove è conservata la Madonna di Bruges di Michelangelo, una delle opere simbolo della loro missione. L’inquadratura, apparentemente semplice, racchiude il senso di tutto il film: ciò che questi uomini hanno fatto non è stato solo recuperare oggetti preziosi, ma preservare la memoria, la storia e l’identità culturale dei popoli europei. La presenza del figlio sottolinea la trasmissione di quel valore alle nuove generazioni.
La scena chiude un arco narrativo in cui i “Monuments Men” hanno dimostrato che l’arte può valere tanto quanto la vita umana, perché custodisce ciò che siamo. Clooney evita un epilogo trionfalistico e sceglie invece una nota intima e malinconica: la missione è riuscita, ma ha avuto un costo in termini di vite e sacrifici personali. Questo equilibrio tra vittoria morale e dolore reale conferisce autenticità e spessore al messaggio del film.
Dal punto di vista storico, il finale è anche un tributo agli autentici membri della MFAA, spesso dimenticati nei racconti ufficiali della guerra. In questo modo Monuments Men si pone come ponte tra cinema e memoria: intrattiene, informa e invita a riflettere su quanto il patrimonio culturale sia fragile e prezioso. Comprendere questo finale significa riconoscere che la vera “ricompensa” per i protagonisti non è la gloria, ma aver lasciato un segno duraturo nella coscienza collettiva.
Approfondisci
Vuoi scoprire di più sulla vera missione dei Monuments Men durante la Seconda guerra mondiale? Leggi il nostro speciale: La vera storia dei Monuments Men
Curiosità
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L’unità MFAA recuperò oltre 5 milioni di opere trafugate dai nazisti.
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Alcuni dei protagonisti del film si ispirano a figure realmente esistite, come il tenente James Rorimer (nel film James Granger) che in seguito divenne direttore del Metropolitan Museum di New York.
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Il libro The Monuments Men di Robert M. Edsel ha fornito la base per il film e contiene documenti d’archivio e fotografie originali.