Senza nome e senza regole: la spiegazione del finale del film

-

Film d’azione del 1998 diretto da Benny Chan – regista hongkonghese noto per il suo sodalizio artistico con Jackie Chan – il film Senza nome e senza regole si colloca in un momento di transizione nella carriera di Chan, a cavallo tra il successo internazionale (ottenuto con titoli come Rush Hour e Pallottole cinesi) e la sua identità di star dell’action orientale. Realizzato come co-produzione tra Hong Kong e Stati Uniti, il film è infatti interamente costruito attorno alla figura dell’attore, che oltre a essere interprete è anche co-regista e coreografo delle scene d’azione.

Il film racconta la storia di un agente segreto che perde la memoria dopo una missione fallita, dando vita a una narrazione incentrata sull’identità smarrita e sul recupero della propria verità personale. Questo pretesto narrativo consente di alternare scene di azione mozzafiato a momenti di riflessione più introspettivi, in un equilibrio che rispecchia la formula vincente di molti film con Jackie Chan: la fisicità delle sequenze stunt si intreccia con un registro narrativo leggermente ironico, accessibile anche a un pubblico più ampio.

Tra i temi principali del film spiccano così il senso di disorientamento esistenziale, la fiducia tradita e il tentativo di riconquistare un ruolo nel mondo a partire da zero. La perdita dell’identità diventa così metafora di un’esplorazione interiore, resa concreta dalle molteplici sfide fisiche che il protagonista è chiamato ad affrontare. Dal punto di vista stilistico, Senza nome e senza regole è un esempio riuscito di action orientale ibridato con le atmosfere da blockbuster hollywoodiano.

Le location internazionali, l’utilizzo di effetti speciali e le scene spettacolari — come il celebre inseguimento finale sul tetto di un grattacielo — contribuiscono a rendere il film un oggetto curioso e godibile anche per gli spettatori occidentali. Il film è così oggi ricordato come uno degli ultimi esempi di “vecchia scuola” prima della piena internazionalizzazione dell’attore, e conserva un’aura nostalgica per chi ha seguito il cinema d’azione di fine anni ’90. Il film presenta inoltre un finale che ben esalta i temi del racconto e in questo articolo esploriamo proprio questo aspetto di Senza nome e senza regole.

Jackie Chan, Michelle Ferre e Mirai Yamamoto in Senza nome e senza regole
Jackie Chan, Michelle Ferre e Mirai Yamamoto in Senza nome e senza regole

La trama di Senza nome e senza regole

Jackie Chan, un agente della CIA, partecipa ad una missione segreta in Sudafrica volta al recupero di alcuni frammenti di meteorite che potrebbero contenere la chiave per una nuova tecnologia militare. Subito dopo il completamento della missione, però, alcuni dei suoi compagni tradiscono il resto del gruppo, e l’elicottero che stava trasportando Chan e la sua squadra precipita nel deserto. Chan, unico superstite, viene salvato da una tribù di indigeni, ma al risveglio si rende conto di aver perso la memoria.

Quando gli elementi corrotti della CIA lo scoprono ancora vivo, e temendo che Chan possa un domani ritrovare la memoria, inviano una squadra in Sudafrica al comando dell’agente traditore Morgan con l’incarico di eliminarlo. Braccato dai suoi inseguitori e dalla polizia sudafricana, Chan non ha altra scelta se non quella di arrivare in fondo all’intera vicenda e scoprire i vertici della cospirazione interna all’agenzia, prima che questi riescano ad ucciderlo.

La spiegazione del finale del film

Nel finale di Senza nome e senza regole, l’identità del protagonista, che per tutto il film è noto solo con la domanda “Who Am I?” (Chi sono io?), trova finalmente una risoluzione. Dopo aver scoperto di essere un agente speciale tradito dalla propria organizzazione, il protagonista riesce a sventare un traffico di tecnologie militari illegali orchestrato da funzionari corrotti e da agenti doppiogiochisti. Lo scontro finale si svolge su un grattacielo nei Paesi Bassi, dove il protagonista affronta i suoi nemici in una sequenza adrenalinica che culmina in una spettacolare fuga lungo la parete dell’edificio, realizzata senza controfigure da Jackie Chan stesso.

Il momento è emblematico non solo per l’elevato tasso di spettacolarità, ma anche perché segna simbolicamente la riconquista di sé: il personaggio, che inizia il film privo di memoria e confuso, si getta nel vuoto con una decisione che rivela coraggio, fiducia e libertà ritrovata. Dopo la vittoria fisica sui nemici, il film si chiude con una scena più pacata, nella quale il protagonista, pur avendo recuperato i tasselli essenziali della sua identità, sceglie di rimanere lontano dai circuiti ufficiali del potere. Rifiuta il reintegro nei ranghi dei servizi segreti e preferisce restare libero, lontano dalle logiche di corruzione e doppio gioco che lo hanno quasi distrutto.

Jackie Chan in Senza nome e senza regole
Jackie Chan in Senza nome e senza regole

Questa scelta finale sottolinea uno dei temi centrali del film: l’identità personale come qualcosa che non si riceve passivamente, ma che si costruisce attraverso le proprie azioni e decisioni. Il protagonista non è più l’agente che era stato addestrato a essere, ma nemmeno solo l’uomo senza memoria: è diventato qualcuno che ha riscoperto se stesso attraverso la lotta e il rifiuto del compromesso morale. La spiegazione del finale si lega dunque a una riflessione sull’etica e sull’autodeterminazione. In un contesto dove le istituzioni appaiono corrotte o manipolatorie, il protagonista rappresenta l’individuo che si emancipa dalle strutture imposte per scegliere un proprio cammino.

Anche il recupero della memoria, elemento centrale della narrazione, è trattato non tanto come un semplice “ritorno al passato”, ma come un atto di rielaborazione: Senza nome e senza regole suggerisce che ciò che definisce chi siamo non è il nostro passato, ma il modo in cui decidiamo di affrontarlo. In questo senso, la figura dell’eroe di Chan si distacca da quella dell’agente segreto tradizionale, scegliendo una via indipendente e non violenta dopo aver ristabilito la verità. Infine, se si considera questo film all’interno della filmografia di Jackie Chan, il finale si rivela coerente con la filosofia del personaggio che l’attore ha spesso incarnato.

Ovvero quello di un uomo comune coinvolto in circostanze straordinarie, che affronta il pericolo con abilità, determinazione e una certa leggerezza. Rispetto ad altri film più cupi o vendicativi, Who Am I? si chiude con un senso di equilibrio e apertura, lasciando il protagonista libero ma anche consapevole. È un epilogo che coniuga azione spettacolare e sottotesto morale, in linea con lo stile inconfondibile di Chan: spettacolo sì, ma anche riflessione sull’identità, sull’onestà e sul significato della libertà personale.

Gianmaria Cataldo
Gianmaria Cataldo
Laureato con lode in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza e iscritto all’Ordine dei Giornalisti del Lazio come giornalista pubblicista. Dal 2018 collabora con Cinefilos.it, assumendo nel 2023 il ruolo di Caporedattore. È autore di saggi critici sul cinema pubblicati dalla casa editrice Bakemono Lab.
- Pubblicità -

ALTRE STORIE

- Pubblicità -