Francamente mai ci saremmo aspettati che alla fine della visione del nuovo, bellissimo film di Alexander Payne, la mente cinefila sarebbe tornata a un film che ha segnato in maniera indelebile la nostra adolescenza, ovvero L’attimo fuggente (Dead Poets Society, 1989). Una volta superata la (piacevole) sorpresa si inizia a comprendere quanto The Holdovers e il capolavoro di Peter Weir siano in realtà vicini eppure separati da quello specchio deformante rappresentato dai quasi trentacinque anni di tempo che li separano. Molti sono i punti in comune: l’ambientazione temporale passata, quella geografica situata in un liceo elitario del Nord-Est degli Stati Uniti, e soprattutto a livello tematico il rapporto complesso tra un insegnante sui generis e degli studenti alle prese con i propri problemi legati principalmente al dover diventare adulti.
Sembra quasi impossibile pensare che Payne e lo sceneggiatore David Hemingson non abbiamo preso come punto di riferimento L’attimo fuggente, adoperandolo però come riferimento da “smentire”, scardinando scena dopo scena tutti i contenuti e le idee che conteneva. Partendo proprio dal protagonista: se il John Keating interpretato da un indimenticabile Robin Williams era depositario prezioso di quegli ideali volti a innalzare lo spirito dei suoi studenti alla ricerca della forma più alta di libertà mentale, il Paul Hunham di Paul Giamatti è invece un professore arcigno, rancoroso, che non cerca minimamente il contatto umano con gli alunni quando invece il modo di soggiogarli e costringerli allo studio disciplinato.
Paul Hunham di The Holdovers come John Keating di L’attimo fuggente
Perché questo scarto talmente radicale? Prima di tutto c’è l’ambientazione temporale dei due film: L’attimo fuggente si svolge nel 1959, alla fine di un decennio di stabilità economica e sociale negli Stati Uniti che ha rafforzato quel perbenismo ottuso contro cui Keating si scaglia. Combattere per i propri ideali aveva un senso ben preciso, profondo. Siamo alle porte della presidenza Kennedy, il momento forse idealmente più “alto” dello spirito democratico americano. Il 22 novembre 1963 Lee Harvey Oswald e il suo fucile metteranno tragicamente – e definitivamente – fine a questa illusione. Le vicende tragicomiche di The Holdovers invece si dipanano durante le vacanze natalizie del 1970, un momento in cui gli ideali sono appunto stati traditi e si combatte invece per la propria vita in una guerra lontana. Il tessuto sociale sembra essere andato in frantumi e l’insegnamento sembra essere, almeno nella mente di Hunham, l’ultimo baluardo contro il caos che regola il mondo esterno all’istituzione scolastica. Mentre Keating cerca di aprire la mente dei propri studenti per spingerli a mettere in discussione il mondo che sta per accoglierli, Hunham nel suo modo contorto vuole proteggerli, renderli impermeabili nei confronti del dolore che stanno per andare a fronteggiare. E questo ci porta a comprendere quanto The Holdovers sia tristemente un film magnificamente contemporaneo, che parla del nostro presente molto più di quanto magari non vorremmo ammettere. Allo stesso modo in cui diventa doloroso constatare quanto oggi, un film idealista come L’attimo fuggente sia impossibile, anacronistico.
Non soltanto il modo di
produrre e intendere quel tipo di cinema è cambiato – ci spaventa
quasi scrivere “tramontato” – ma la società stessa dei fruitori è
diventata qualcosa di altro. Quello che nel 1989 venne accolto in
maniera trionfante da critica e pubblico sfiorando i cento milioni
di dollari d’incasso nei soli Stati Uniti oggi quasi sicuramente
sarebbe un film considerato “arthouse”, il che significa
distribuzione precisa e limitata nel circuito cinematografico con
conseguenti incassi magari anche soddisfacenti per il tipo di
budget, ma certamente non paragonabili a quello che a suo tempo
fece il film di Weir, o un anno prima un dramma familiare come
Rain Man, maggior incasso a stelle e strisce del
botteghino nel 1988. Ve lo immaginate oggi un film del genere
incassare più di un cinecomic della Marvel? Quantomeno improbabile…
The Holdovers è a conti fatti L’attimo fuggente dei nostri tempi
Dopo aver sviscerato anche soltanto parzialmente i punti di contatto e le divergenze tra i due notevoli lungometraggi, la conclusione è che The Holdovers è a conti fatti L’attimo fuggente dei nostri tempi. Ovvero quella versione de L’attimo fuggente che nelle proporzioni, nell’amarezza e nella disillusione che propone, meglio si adatta al nostro presente. In poche parole, quella che ci meritiamo. Non è un caso se John Keating insegnava letteratura ai suoi studenti mentre Paul Hunham li costringe a confrontarsi con la storia: soltanto studiando il passato si può evitare di commettere gli stessi errori, crede nel profondo questo scorbutico, grottesco personaggio. Visto come sta andando il nostro presente, come non possiamo vedere Hunham come un altro idealista, anche se sconfitto dal peso dei propri limiti ed errori? Meglio allora scavare dentro il personaggio, infiltrarsi dietro la corazza che si è creato, aspettare che si esponga e ci lasci scorgere, anche se per pochi secondi, la sua dolorosa umanità. E magari vedremo un lampo di Keating in lui. E tutto questo perché, dobbiamo affermarlo ancora una volta negli anni, un attore come Paul Giamatti è capace di regalarci tutto questo…