Dopo Philomena, dove ha diretto Judi Dench, e in attesa di vedere Florence Foster Jenkins, dove dirige Meryl Streep, Stephen Frears si è preso una parentesi sportiva con un protagonista maschio, Ben Foster, per raccontare sul grande schermo la più grande storia di sport e menzogna che il mondo abbia mai conosciuto: la vicenda di Lance Armstrong.
Frears, insieme al suo protagonista, è venuto a Roma a presentare The Program, quello che ha definito non un film sportivo ma un film su una cultura che ha in effetti creato il fenomeno Armstrong. Ma per realizzare il film c’è stato un apporto da parte del diretto interessato, il sette volte campione truffaldino del Tour de France?
Stephen Frears: “Non mi sono avvicinato a lui, perché è una persona che mente. Non so se abbia visto il film. Quello che so è che è una persona che tende a controllare, per cui sapevo che avrebbe voluto controllare anche il mio film, per questo non l’ho avvicinato”.
Diversa la risposta di Ben Foster, che ha confessato di aver tentato un approccio: “Contro i desideri di Stephen, io ho cercato di contattarlo. Per me era importante raccogliere informazioni sul ruolo e tutto poteva servirmi, ma lui non ne ha voluto sapere”.
Quando dice che per lui
era importante raccogliere materiale, Foster intende davvero una
ricerca a 360 gradi, tanto che si è addirittura sottoposto a un
“programma” di doping.
“Abbiamo avuto solo sei settimane per studiare e prepararci al film, ho imparato andare in bicicletta e non ci ero mai andato. Ho studiato l’aspetto della nutrizione, dell’allenamneto fisico e dello stile di vita, ma anche la somiglianza. Dal mio punto di vista privato, sotto stretto controllo medico, ho seguito anche un programma di doping per capire il mondo che dovevo rappresentare. Non ero mai andato in bicicletta né avevo indossato mai quelle scarpette che si attaccano ai pedali. Ho imparato tanto e quello che ho capito è che il doping funziona. Ha cambiato il mio corpo rapidamente. Il doping insieme a un programma di allenamento e alimentazione ti permette di andare oltre i tuoi limiti. E non è difficile seguire il programma, è difficile smettere. Per me c’è voluto un po’ di tempo per abituarmi a smettere, sotto strettissima assistenza medica”.
Frears ha insistito sulla natura del film, non un biopic ma un crime in cui si indaga una truffa spaventosa, che il regista ha paragonata a quella attuale di Volkswagen, un gigantesco caso di corruzione. “Una volta voi italiani li facevate i film sulla corruzione – ha poi continuato il regista – penso a Il caso Mattei, Salvatore Giuliano, Le mani sulla città, Cadaveri eccellenti”.
E l’opinione personale che Foster e Frears hanno su un personaggio così controverso?
“Armstrong per me è
stato sia molto intelligente che molto stupido. Ha sconfitto il
cancro, ha aiutato le persone a combattere la malattia. Poi c’era
l’altra cosa, era un santo è un diavolo allo stesso tempo” ha
dichiarato Frears. Mentre Ben Foster è più tenero
nel giudizio: “Dobbiamo ricordare che nell’epoca in cui Lance
correva, tutti mentivano. Tutti imbrogliavano. Magari su 18
corridori solo 1 non mentiva. Verso di lui ho dei sentimenti
complicati. In fondo ha raccolto moltissimi soldi per la ricerca
contro il cancro e penso che questo sia stato per lui un impegno
sincero. Non tutto ciò che ha fatto non era sincero. Il film fa
un’accusa alla società che ha creato personaggi come
Armstrong”.