Confusi e felici: recensione del film di Massimiliano Bruno

Confusi e felici

Cosa accade ad uno psicologo quando è anch’egli preda di malesseri psicologici come ad esempio la depressione? Partendo da questa curiosità, Massimiliano Bruno regista di Nessuno mi può giudicare commedia in agrodolce con Paola Cortellesi, da vita a questo girotondo di strambi personaggi e grottesche situazioni, che uscirà nelle sale il 30 Ottobre con il titolo Confusi e felici. Come già in Nessuno mi può giudicare, Bruno cerca anche in questa commedia di trattare temi molto drammatici con uno sguardo di garbata comicità ed esilarante leggerezza.

 

Ne Confusi e felici Marcello (Claudio Bisio) è un rinomato psicologo la cui vita perfetta viene devastata da una sconsolante diagnosi medica: una maculopatia lo renderà cieco in pochissimi mesi. Devastato dalla notizia, Marcello decide di chiudere il suo studio e di congedare tutti i suoi pazienti ma la segretaria Silvia (Anna Foglietta) non ci sta. Alleatasi con i pazienti del dottore, cercherà in ogni modo di dissuaderlo dal suo proposito mostrandogli quanto di bello c’è nella vita. I folli pazienti dello psicologo rappresentano un escamotage che Bruno utilizza per mettere in campo una formidabile squadra di attori comici a cominciare dallo stesso regista che interpreta Pasquale, un quarantenne mammone. Troviamo poi la coppia scoppiata a causa della dipendenza dai social network (Caterina Guzzanti e Pietro Sermonti), la dipendente affettiva invaghita del proprio terapista (Paola Minaccioni), un Marco Giallini da antologia nei panni di uno spacciatore che soffre di attacchi di panico ed un altrettanto epocale Rocco Papaleo nei panni di un iracondo commentatore sportivo.

Confusi e felici, il film

La storia di Confusi e felici, nella sceneggiatura di Massimiliano Bruno, si sviluppa attraverso moltissime gag che nella maggior parte dei casi fuoriescono dalle personalità malate dei pazienti di Marcello. La comicità della scrittura di Bruno è una comicità di qualità che non scade mai nel trash spinto anche quando descrive personaggi veracemente romani come Nazareno e la sua banda o al limite del grottesco come la Vitaliana interpretata da Paola Minaccioni.

La storia inizia ad abbandonare la coerenza che l’aveva contraddistinta nel finale, dove alcuni passaggi risultano incongruenti per rimanere credibili anche nel contesto della commedia. Inoltre il racconto in se stesso manca di originalità, anche se uno degli aspetti più interessanti che lo distinguono da altri film simili è la riflessione sullo sguardo e sull’atto del guardare (con tanto di citazioni alte a Fellini, Calvino e Saramago).

Marcello nella vita precedente alla diagnosi si è barricato all’interno delle proprie convinzioni finendo per ignorare altre possibilità. In un certo senso il sopraggiungere della cecità gli aprirà gli occhi su molte questioni, prima tra tutte su quella che riguarda il suo metodo di lavoro con i pazienti. Il collega di Marcello (Gioele Dix) che lo aiuterà a rompere le sue barriere, incarna un diverso modello terapeutico antitetico rispetto a quello che usa Marcello, ed in questo senso il film mette in campo una critica della psicoanalisi freudiana auspicandone il superamento verso terapie in grado di guarire e non solo di assistere.

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