Ricordati chi sei e guarda dentro te stesso. Sei molto più di quello che sei diventato, diceva lo spirito di Mufasa a Simba in una delle scene più emozionanti del classico d’animazione diretto da Roger Allers e Ron Minkoff, e alla luce di quanto visto nel rifacimento foto-realistico de Il Re Leone (che vede in regia Jon Favreau) ci verrebbe spontaneo porre la stessa problematica alla Disney per capire dove sta andando la direzione creativa e quali obiettivi si pone con gli adattamenti in live action di cui sentiremo parlare per i prossimi anni. Ma più che ricordare i bei tempi andati e celebrare un’epoca che, per forza di cose, non tornerà mai perché superata dai progressi digitali, l’unica riflessione da fare al momento è: chi vuole diventare la casa di Topolino? Che senso ha riproporre storie già raccontate? Oppure, è possibile calpestare nuovi sentieri, creare nuovi ricordi, come sta facendo la Lucasfilm con Star Wars (ad esempio)?

 

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Le stesse domande ce le eravamo poste di fronte all’uscita di Maleficent, che però raccontava l’altro lato della favola della Bella Addormentata, di Alice in Wonderland, che soffriva dei limiti imposti all’autore Tim Burton, e poi di Cenerentola, che pure aveva una scintilla di interpretazione, Il Libro della Giungla, La bella e la bestia, Dumbo e Aladdin, senza dimenticare il sequel di Mary Poppins con Emily Blunt; occasioni mancate che dimostrano quanto poco si può ottenere quando hai tantissimo talento a disposizione, dagli attori al reparto tecnico, ma nessuna visione d’insieme che riesca a legare il tutto. E Il Re Leone purtroppo non sfugge a questa dinamica che sfrutta l’effetto nostalgia trascurando ciò che aveva reso magici e indimenticabili i film animati dello studio: l’emozione universale.

Nel 1994, mentre la Pixar lavorava al primo Toy Story, gli animatori stupivano il pubblico con il più grande successo – anche a livello di incassi – dell’epoca del Rinascimento Disneyano. Una storia shakespeariana ideologicamente coerente con lo sguardo di Hollywood sulla società americana ripreso di recente da Black Panther la cui forza era rappresentata dall’intimità che si andava a instaurare tra spettatore e personaggi. L’umore, in questo live action, è cambiato. Il fotorealismo che fa sembrare le immagini stralci di documentari sulla natura, ha ucciso l’espressività degli animali. Non c’è terrore negli occhi di Mufasa quando il fratello-nemico Scar sta per gettarlo su una mandria di gnu impazziti, o titubanza quando Simba torna nel regno che aveva abbandonato per vergogna.

Ci sono invece una serie di errori inspiegabili, come la sequenza di “L’amore è nell’aria stasera” ambientata alla luce del sole (che può sembrare stupido, ma nel film perde tutta la sensualità dell’originale con la luce al crepuscolo) o la totale mancanza di pathos durante il brano “Sarò Re” cantato da Scar (molto più minaccioso e teatrale nella versione animata), e anche piccole e sporadiche libertà di sceneggiatura (“Il regno sarà tutto tuo Simba” diventa “Il regno non appartiene a nessuno, ma sarà tuo compito proteggerlo”) ma niente di sostanzialmente interessante da essere considerato coraggioso e politicamente rilevante.

La speranza è che questa parabola copiativa senz’anima venga invertita dai prossimi titoli in cantiere (specialmente quelli che gravitano intorno ad una protagonista donna come Mulan, Crudelia de Mon, La Sirenetta e Maleficent 2) e che qualcuno, dalle parti della Disney, si chieda se sia meglio rimanere con un piede nel passato o cambiare le proprie strategie guardando al futuro.

Il Re Leone arriverà nelle nostre sale il 21 Agosto.

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