Da sempre autore che cambia pelle e cambia prospettiva nelle storie che racconta, Gabriele Salvatores porta al cinema Il Ritorno di Casanova, basandosi sull’omonimo romanzo di Arthur Schnitzler e portando avanti un meta-racconto in cui si segue la storia di un adattamento della storia stessa, in un gioco continuo di rimandi, riferimenti e specchi, in cui l’arte e la vita mostrano il loro rapporto più intimo e la loro intrinseca natura conflittuale, che non sempre è facile gestire.
Il Ritorno di Casanova – il racconto della realizzazione di un adattamento
Leo Bernardi è un affermato e acclamato regista alla fine della sua carriera, che non ha alcuna intenzione di accettare il suo lento declino. Per la sua ultima opera, Leo ha scelto di raccontare il Casanova di Arthur Schnitzler, un personaggio incredibilmente simile a lui, più di quanto lui stesso possa immaginare. Quello raccontato da Schnitzler è un Casanova che ha ormai superato la sua gioventù, i tempi di gloria sono andati: non ha più il suo fascino e il suo potere sulle donne, non ha più un soldo in tasca, non ha più voglia di girare l’Europa. Dopo anni di esilio, ha un solo obiettivo: tornare a Venezia, casa sua. Non è un caso se Leo Bernardi abbia deciso di raccontare questa storia proprio adesso, in un momento cruciale della sua vita e della sua carriera. Le inquietudini e i dubbi dei due sono incredibilmente simili. È più importante il Cinema o la Vita? Continuare a recitare il proprio personaggio o lasciarsi andare alle sorprese che la Vita ti propone?
Il tempo che tutto porta
via con sé
Gabriele Salvatores realizza un film semplice nella sua immediatezza eppure ricco di riflessioni, principalmente su quello che vuol dire lo scorrere del tempo per chi si lega a una immagine di sé che poi questo tempo stesso porta via. E così il personaggio interpretato da Toni Servillo e quello interpretato doppiamente da Fabrizio Bentivoglio sono metaforicamente (me neanche troppo), l’uno lo specchio dell’altro e forse, se non del regista che ha sottolineato il fatto che il film non parla della sua vita, di chiunque abbia fatto della finzione la sua vita e di come lo scorrere del tempo porta via quell’unico talento che in giovinezza ci ha definiti.
Dopotutto Bernardi è un regista e, come Casanova, anch’egli è un affabulatore, un seduttore che prova ad aggrapparsi agli ultimi scampoli di vita che gli si parano, inaspettati davanti, senza però voler rinunciare a trucchi e belletti, ora più necessari che mai, di fronte a un corpo che viene naturalmente meno.
Il Ritorno di
Casanova – Non un comeback ma un
homecoming
Il Ritorno di Casanova non è dunque un ritorno come quello a cui assistiamo nei film di Supereroi, non abbiamo di fronte un eroe che torna in azione, ma una vecchia maschera che ritorna a casa. Più che un comeback è un homecoming, in cui si cerca in tutti i modi di far pace con l’inesorabilità del tempo e della finzione, che ad un certo punto ci chiedono il conto, tornando a riposarsi, per riposare (o morire?) Nel luogo che ha visto esplodere le nostre facoltà, le stesse che ci hanno finiti e che ora non esistono più. Casanova perde il suo fascino, così come Bernardi la sua capacità di parlare al suo tempo con i suoi film, e così il suo blocco creativo, la sua incapacità a finire il suo film si sblocca soltanto quando il desiderio di vita supera finalmente il desiderio di arte.
Per i personaggi di Salvatores sembra un conflitto irrisolvibile ed escludente, ma la verità è sempre nel mezzo, nell’equilibrio e nell’impulso primordiale alla sopravvivenza che ci fa sempre trovare la forza. Di tornare a casa, appunto, o di finire un film, di abbracciare la novità, di lasciarsi andare, di capirsi, e finalmente accettare che anche il tempo che è passato ha fatto il suo lavoro e ci ha resi persone diverse, non necessariamente peggiori, ma con gli strumenti per far fronte alla contemporaneità che vivono, senza rimpiangere il passato.
Una biografia del tempo
che passa
Il Ritorno di Casanova si impregna così di molteplici significati, di possibilità di letture, di spazio per una riflessione che, sebbene non sia supportata adeguatamente da diverse ingenuità di messa in scena, ha una profonda onestà intellettuale, una chiarezza di intendi e una trasparenza invidiabile nel cinema contemporaneo.