Il Robot Selvaggio: recensione del film Dreamworks Animation

La storia di Roz, Fink e Becco Lustro e di tutte le famiglie possibili quando c'è l'amore.

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Arriva in sala dal 10 ottobre con Universal Pictures International Italy Il Robot Selvaggio, la nuova produzione della DreamWorks Animation che vanta la firma, alla regia e alla sceneggiatura, di Chris Sanders, vero e proprio guru dell’animazione che ha firmato negli anni, tra gli altri, Lilo & Stitch e Dragon Trainer. Adattando il best seller omonimo di Peter Brown, Sanders si lancia in un’opera ambiziosa, sia per stile che per contenuti, che potrebbe essere uno di quei titoli d’animazione, ormai rari, che mantengono alta l’attenzione sia dei piccoli che degli spettatori più grandi e smaliziati.

 

La storia de Il Robot Selvaggio

Siamo in un futuro non meglio precisato, che fine abbia fatto l’uomo, lo scopriremo solo molto avanti nel film (come era già accaduto in Wall-E). La storia ha infatti per protagonista Roz, un robot della serie ROZZUM, creato per aiutare l’uomo in ogni tipo di faccenda casalinga, che però finisce per errore su un’isola abbandonata, dove a farla da padrona è la natura selvaggia: foreste incontaminate, animali grandi e piccoli, niente che possa effettivamente dargli un compito da svolgere. Fino a che il suo cammino non si incrocia con quello di una piccola oca rimasta orfana del suo branco. Roz decide che il suo compito è quello di accompagnare l’uovo all’età adulta, insegnargli a mangiare, camminare e infine volare, solo in quel momento il suo compito sarà concluso. Ad aiutare Roz in questo compito improbabile si unisce alla coppia anche Fink, una volpe solitaria e affamata, che in qualche modo trova il modo di convivere con un robot e un’oca.

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(from left) Brightbill (Kit Connor) and Roz (Lupita N’yongo) in DreamWorks Animation’s Wild Robot, directed by Chris Sanders.

Abbondanza di temi

Il Robot Selvaggio è un’ottimo film d’animazione che però pecca di “ingordigia” potremmo dire, dal momento che sembra voler dire tutto contemporaneamente, facendosi portatore di tantissimi temi edificanti e sui quali certamente vale la pena di riflettere anche tramite le metafore che la narrazione per bambini offre, tuttavia sembra voler far troppo, come uno studente troppo volenteroso di far bene che rischia di risultare pedante. Ma andiamo con ordine.

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Adattarsi per sopravvivere e scoprire la propria vera natura

Il primo blocco narrativo del film è un piccolo gioiellino d’animazione: in questa fase seguiamo Roz che impara ad accudire il piccolo di oca, battezzato Becco Lustro. Così come lei (un robot dovrebbe essere asessuato, ma il doppiaggio lo rende inequivocabilmente femmina!) Impara a fare da madre al piccolo Becco Lustro, Fink la volpe impara a diventare una specie di fratello maggiore e amico per l’animaletto in difficoltà. Insomma, tutta la prima parte del film racconta una fiaba di adattamento e di istinto, in cui tre entità sole e uniche nel loro genere imparano a formare una famiglia, andando oltre la loro “programmazione”. Roz impara ad adattare il suo programma all’essere madre a tutti gli effetti, con tutto l’amore, la responsabilità e la paura che ne consegue; Fink dal canto suo supera l’istinto di mangiare l’uovo di oca e trova un posto in cui stare da chiamare casa, altre creature (un pennuto e un robot) con cui condividere un concetto nuovo di famiglia; Becco Lustro dal canto suo, che cresce in questa coppia di fatto, scoprirà solo dopo di essere un’eccezione e il suo viaggio consisterà nell’imparare a gestire e a difendere questa sua particolarità, pur inserendola in un contesto sociale.

(from left) Roz (Lupita Nyong’o) and Brightbill (Kit Connor) in DreamWorks Animation’s The Wild Robot, directed by Chris Sanders.

Una storia trasformista

A questo racconto toccante e allo stesso tempo molto divertente in cui si riflette con una certa profondità sulla genitorialità e sull’identità personale, segue una seconda parte della storia in cui si perde il fuoco narrativo e mentre la storia procede con un ritmo decisamente diverso e più sincopato rispetto alla chiarezza e alla solidità della prima parte, Il Robot Selvaggio diventa di volta in volta qualcosa di diverso, toccando temi quali l’ecologia, l’importanza della gentilezza come metodo per sopravvivere in un mondo avverso, la cooperazione, l’amore come motore del mondo. Tutto proposto in rapidissimi cambi di scenario che riescono a trovare una quadra nel finale ma che allontanano il film da quel nucleo narrativo che si sviluppa per tre quarti di storia e riesce davvero con grazia e efficacia a coinvolgere e a far sciogliere di tenerezza il pubblico.

Nella versione originale, il film vanta un parterre di doppiatori di prim’ordine, da Lupita Nyong’O a Pedro Pascal, passando per Kit Connor, Mark Hamill e Catherine O’Hara. La versione italiana dal canto suo fa un lavoro altrettanto splendido, scegliendo per le voci dei due protagonisti Esther Elisha e Alessandro Roia, che dando personalità e voce a Roz e Fink, concedono al pubblico italiano di immergersi in questa avventura per tutta la famiglia.

Complice un’animazione formidabile e una sottile ironia appannaggio dei più grandi, Il Robot Selvaggio è davvero un’esperienza di condivisione per tutte le età, da gustare rigorosamente in sala. Dal 10 ottobre.

DreamWorks Animation’s The Wild Robot, directed by Chris Sanders.
Il Robot Selvaggio
3.5

Sommario

Tra avventura, risate e lacrime, Il Robot Selvaggio riesce a catturare l’attenzione di grandi e piccoli, con intelligenza e tanto cuore, mostrando la varietà di famiglie possibili quando c’è lamore.

Chiara Guida
Chiara Guida
Laureata in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza di Roma, è una gionalista e si occupa di critica cinematografica. Co-fondatrice di Cinefilos.it, lavora come direttore della testata da quando è stata fondata, nel 2010. Dal 2017, data di pubblicazione del suo primo libro, è autrice di saggi critici sul cinema, attività che coniuga al lavoro al giornale.

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