Presentato alla 27° settimana Internazionale della Critica, La città ideale segna l’esordio alla regia di Luigi Lo Cascio, qui anche autore del soggetto e della sceneggiatura. In La città ideale Ecologista convinto, l’architetto Michele Grassadonia (Luigi Lo Cascio) ha lasciato da 20 anni Palermo per andare a vivere in Toscana, in quella che egli reputa sopra tutte la città ideale: Siena. Mal visto dai colleghi per le sue manie ambientaliste, vive da solo in un asettico appartamento in cui ha rinunciato all’elettricità e all’acqua corrente, facendo ricorso all’acqua piovana e agli ingegnosi macchinari creati da un suo amico.
In una notte di tempesta tampona una sagoma dai contorni indefiniti e va a sbattere contro un’auto parcheggiata. Più avanti, passa accanto ad un corpo sdraiato sul bordo della strada: dopo le prime perplessità, Michele torna indietro e chiama i soccorsi. Viene interrogato dalla polizia, la quale però si accorge dell’auto ammaccata e, confusa dalle spiegazioni di Michele, si convince della sua colpevolezza. Da “angelo custode” Grassadonia diviene il primo indagato per l’omicidio colposo del Dott. Sansoni, potente notabile della città.
La città Ideale, il film
Immerso in atmosfere noir di chiara derivazione kafkiana e condito dalle efficaci musiche di Andrea Rocca, La città ideale è un film dalla struttura solida, in cui le relazioni tra i personaggi si instaurano anzitutto attraverso un attento gioco degli sguardi e dei gesti. L’attenzione per il dettaglio riproduce a livello registico-formale ciò che il protagonista insegue nella sua vita quotidiana: la perfezione e la purezza degli ideali, perseguiti con un’insistenza eccessiva che – agli occhi della società – sfocia nel ridicolo. Ecco allora che la fede ecologista di Michele si pone come barriera e primo motivo di un’emarginazione che diventerà completa nel corso delle indagini.
Lo Cascio firma un più che discreto giallo dai contorni umoristici, in cui la ricerca spasmodica della verità e la sua (non) trasmissibilità al mondo esterno sembrano a poco a poco soffocare il protagonista per condurlo all’interno di una trappola da cui sarà sempre più difficile liberarsi. A questo proposito, l’universo macabro che la bella artista affittuaria (Catrinel Marlon al suo debutto) riproduce nei suoi studi sulla cattura, non è da considerarsi pura e semplice digressione, bensì come un richiamo traslato e simbolico alla gabbia di parole che – come un’enorme tela di ragno – lo stesso Michele ha inconsapevolmente costruito attorno a sé.
Interessante notare come la rincorsa verso la verità qui diventi il tramite per una ricerca che il protagonista fa su di sé, costretto dagli eventi a confrontarsi con le proprie manie giornaliere e, al tempo stesso, a mettere insieme i pezzi sbiaditi di un puzzle cui l’episodio dello stalliere distratto (Roberto Herlitzka) sembra per un attimo dare una forma più precisa.