Greta Gerwig sceglie il capolavoro di Louisa May Alcott, Piccole Donne, per portare avanti il suo percorso da regista, cominciato con grande successo con Lady Bird. Ancora una volta, dunque, l’attrice e sceneggiatrice manifesta il suo interesse nel raccontare storie di giovani donne, partendo questa volta da un testo che non tocca il suo vissuto ma che rappresenta una montagna molto più difficile da scalare, data la popolarità del materiale di partenza e anche il numero di volte che la storia è stata portata al cinema (cinque trasposizioni per il grande schermo).
Il primo elemento di rilievo della lettura di Piccole Donne a firma Gerwig è la decostruzione della narrativa del racconto; il film prende infatti spunto non solo da Piccole Donne, ma anche da Piccole Donne Crescono e dai due seguiti, meno famosi, Piccoli Uomini e I ragazzi di Jo. Il risultato è una storia che drammaturgicamente si spezza tra passato e presente. In questo modo Greta Gerwig produce due effetti, il primo è quello di dare movimento, trasporto, vivacità al racconto, e questo rappresenta sicuramente un pregio. Il secondo effetto è invece quello di sovvertire la scoperta degli eventi da parte dello spettatore: l’ordine naturale dei fatti raccontati da Alcott regalava senza dubbio alla storia una forma più coesa, che manteneva alta la curiosità del lettore. Poco male, si dirà, visto che la storia di Piccole Donne è molto conosciuta, anche grazie al cinema.
In Piccole Donne, Jo incarna anche Alcott
E proprio come la versione di Gillian Armstrong, con Winona Rider nei panni di Jo, anche Gerwig contamina il testo con episodi biografici dell’autrice, come si capisce chiaramente soprattutto nel finale del film, con Jo/Louisa che contratta in maniera scaltra e decisa con il suo editore, fino a stringere tra le mani la copia rilegata della storia, sua e delle sorelle.
Il lavoro di adattamento di Greta Gerwig è tutto incentrato alla modernizzazione dei personaggi, cosa che effettivamente suona bizzarra, se consideriamo che ancora oggi Jo, Amy, Laurie e persino Meg risuonano incredibilmente moderni. La regista ne traspone forse una versione con cui è più semplice entrare in contatto, a partire dal rapporto che nasce tra Jo e Laurie, questi due giovani pieni di vita che già dai loro nomignoli giocano con i generi e si rincorrono per poi perdersi definitivamente, in una delle scene sicuramente più intense del film che non a caso la regista sposta nel terzo atto.
Interessante il fatto che i personaggi intorno ai quali Gerwig ha costruito gran parte della sua drammaturgia siano le uniche due sorelle che provano a coltivare il loro talento artistico. Se Meg (Emma Watson) viene relegata a margine della storia, lei che rinuncia alla sua passione per la recitazione in favore di un matrimonio non troppo furbo, e Beth (Eliza Scanlen) muore senza mostrare mai allo spettatore a pieno il suo talento musicale, Jo e Amy sono le uniche che trovano spazio, nel film, per mettersi alla prova e affinare la propria arte. È quindi indicativo che la regista si sia concentrata principalmente sulle due sorelle che cercano di sbocciare in quanto artiste e non solo come donne: Jo ci riuscirà, diventando una scrittrice di successo, Amy accantonerà la pittura, dal momento che non ha abbastanza talento per essere la migliore.
Jo e Amy vere protagoniste
E proprio i due personaggi, interpretati da Saoirse Ronan e da Florence Pugh, sono quelli che risentono della riscrittura più interessante da parte di Gerwig: l’attrice irlandese dà alla sua Jo una fragilità e una delicatezza che il personaggio non aveva mai avuto, dal canto suo, la protagonista di Midsommar si trova a confrontarsi con un personaggio molto più solido, realistico, molto distante dalla frivola e capricciosa Amy che invece viene descritta nelle pagine di Alcott. Forse proprio per la scrittura più attenta dei loro personaggi, sono loro a brillare maggiormente in tutto il film, anche se Laura Dern e Meryl Streep riescono ugualmente a sorprendere, commuovere e divertire, la prima con una dolcezza materna davvero toccante, la seconda con un’interpretazione che non cede a facili smorfie da macchietta e che imprime un piglio molto personale a Zia March.
Per quello che riguarda la regia, Greta Gerwig si dimostra bravissima a mettere in scena i quadri d’insieme, forte anche della fotografia brillante e vivace di Yorick Le Saux. Risulta invece meno incisiva nel dare corpo omogeneo al racconto, forse proprio per la scelta di confondere e mescolare i piani temporali e tentare di dare maggiore movimento al racconto.
Con Piccole Donne, Greta Gerwig si mette alla prova con materiale che tocca il suo interesse ma che non appartiene al suo vissuto e risulta dunque un po’ meno ispirata di quanto era riuscita a fare con Lady Bird. Tuttavia la bellezza della storia, la fotografia vivace e limpida, le interpreti rendono il suo adattamento del romanzo di Alcott una tappa fondamentale della stagione per gli appassionati di cinema.