Rodeo, la recensione del film di Lola Quivoron

In sala dal 6 luglio l'opera prima della regista parigina

Rodeo, primo film di Lola Quivoron, arriva finalmente in sala. Presentata in anteprima al Festival di Cannes 2022, nella sezione Un Certain Regard, la pellicola ha conquistato il Coup de Coeur ed è stata selezionata per il Queer Palm. In Concorso anche al 40° Torino Film Festival, ha ricevuto il Premio speciale della giuria nonché il riconoscimento per la Migliore attrice, assegnato a Julie Ledrou.

Rodeo: la trama

Julia (Julie Ledru) è una giovane disadattata, appassionata di motociclismo e sempre in mezzo ai guai. Dopo aver subito il furto della sua motocicletta – sequenza d’apertura del film – la ragazza organizza una piccola truffa e, rubata a sua volta una moto trovata in vendita online, torna subito in sella. Quello stesso giorno Julia si imbatte in un gruppo di bikers, rimane affascinata dal loro stile di vita selvaggio e decide di unirsi a loro.

Venuta a contatto con la banda, che gestisce un garage per conto del criminale Domino, bloccato in prigione, la giovane impara presto a conoscerne i componenti, dal gentile Kais (Yanis Lafki) a Ben (Louis Sotton) e Manel (Junior Correia), decisamente più diffidenti e ostili. Fa inoltre amicizia con Ophelie (Antonia Buresi), moglie di Domino, e suo figlio, ai quali il marito e padre ha vietato di lasciare la città in attesa del proprio rilascio.

Con il passare del tempo Julia inizia a integrarsi nel gruppo, a farsi conoscere, e mette a disposizione della banda le proprie abilità di truffatrice e ladra; fino a che, nonostante alcune difficoltà, il rispetto guadagnato la spinge ad avanzare l’idea di un colpo particolarmente remunerativo: rapinare un furgone in corsa.
Il reale obiettivo della ragazza, affezionatasi alla condizione di Ophelie, è però un altro. Una strada senza ritorno da affrontare con coraggio, istinto e caparbietà; avvolta nel buio della notte.

Un dramma sulla strada

“Cos’è quella sensazione che si prova quando ci si allontana in macchina dalle persone e le si vede recedere nella pianura fino a diventare macchioline e disperdersi?” scriveva Kerouac. “È il mondo troppo grande che ci sovrasta, è l’addio. Ma intanto, ci si proietta in avanti verso una nuova, folle avventura sotto il cielo.”

Rodeo è senza alcun dubbio un dramma on the road. Distante, certo, dalle suggestioni beat-generazionali evocate dall’autore statunitense sul finire degli anni ’50 o dalle traiettorie “di genere” comunemente tracciate su carta e su schermo pre e – soprattutto – post Kerouac. Capace, tuttavia, di infiammarsi del medesimo spirito di ribellione per trapiantarlo altrove, circoscrivendone i confini. Quella raccontata da Quivoron è una folle avventura sotto il cielo; un “viaggio” che è forse allegoria, pregno però della fisicità dell’asfalto, dell’olio motore e delle ferite. La storia di un mondo troppo grande, che sovrasta Julia e quanti insieme a lei si sforzano di abitarlo.

Tensioni differenti convivono in Rodeo: dal grido di libertà femminile e femminista alla Ridley Scott – Julia è sola in un contesto dominato dagli uomini – alla passione viscerale intesa come appiglio e via d’uscita dal degrado esistenziale (il motociclismo tematicamente simile alla danza di Billy Elliot o al pugilato di Million dollar baby). Senza voler trascurare la dimensione politica di un film che è anche spaccato sociale, specchio di un fango umano lasciato al decadimento.

Profumo di degrado

In quest’ottica forse, considerati i duri sconvolgimenti che in queste ore coinvolgono le banlieue francesi, l’esordio cinematografico della regista parigina può colpire nella sua capacità di ritrarre, almeno in parte, quel senso di frustrazione sempre attuale; quel senso di bisogno e abbandono provato dagli ultimi, da chi non ha sbocchi o prospettive.

Siamo lontani, è vero, dalla potenza espressiva di La Haine di Mathieu Kassovitz; da quel crudo e impietoso bianco e nero di metà anni ’90. Siamo però, a onor del vero, su pianeti narrativi profondamente distinti. Marcatamente geolocalizzato il primo, universalmente significante il secondo. E qui, con ogni probabilità, risiede il limite principale di Rodeo; un film istintivo e di grande impatto che, (volutamente) concentrato sulla sua protagonista, ne tratteggia il contesto di vita senza grande specificità. Adagiandosi, a tratti, su uno schema drammatico tipicamente “europeo” e di facile lettura che, sebbene animato da una buonissima regia – non solo acrobaticamente parlando – e da uno studio del testo-immagine non scontato (gli incubi di Julia), finisce per risolversi in un finale da “compromesso”, per quanto assolutamente funzionale.

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