se la strada potesse parlare

Tutto il cinema di Barry Jenkins si lascia guidare dai colori più che dalle parole, quindi dall’immaginario di piccoli gesti che scaturiscono al solo guardarli. Il grigio, in Medicine for Melanchony, descriveva l’incertezza di un rapporto nato per caso dopo una one night stand; il blu, in Moonlight, comunicava l’inquietudine nella vita di un giovane omosessuale cresciuto nei sobborghi di Miami; il giallo, nell’ultimo e bellissimo If Beale Street Could Talk (tratto dal romanzo di James Baldwin), trasmette un forte senso di speranza riscaldato dal calore di un abbraccio.

 

Quello che fisicamente e idealmente Jenkins traduce con un movimento di macchina sempre più dolce, protettivo, spesso doloroso ma non per questo insopportabile. Esasperando il lato emotivo della realtà rispetto a ciò che percepiamo come oggettivo, prediligendo il valore espressivo dei sentimenti, dei piccoli gesti, del modo in cui una tonalità interviene sulla scena. E nel caso di Beale Street, dove ancora una volta l’elemento estetico prevale su tutto il resto (senza trascurare il cuore, l’anima della storia), il giallo racchiude tra l’inizio e la fine il senso del film: un’ostinata ricerca di bellezza nel brutto, nella povertà, nell’ingiustizia, che timidamente si insinua come fa la luce del sole attraverso i vetri. Li trapassa ma non li infrange. 

Jenkins è l’unico dei cineasti neri contemporanei capace di prestare il fianco ad una riflessione politica sullo stato della comunità afroamericana, passata e presente, senza i pugni chiusi e il muso duro della denuncia sociale alla Spike Lee. Le immagini invece si nutrono di un romanticismo dimenticato, fatto di passeggiate sotto la pioggia tra i rifiuti di Harlem, di notti d’amore in uno scantinato, di sguardi innocenti e sogni di un futuro felice, vibrano come corde di violino, si tramandano come memorie condivise e universali.

In If Beale Street Could Talk ogni cosa fluisce e ogni cosa si sovrappone con grande eleganza, confermando che il regista premio Oscar non è soltanto il più vivo rappresentante di un nuovo storytelling, radicato nella cultura black e al tempo stesso rivolto all’esterno (dalle parti dell’espressionismo europeo), ma testimone lampante di quel processo di apertura e contaminazione che dovrebbe e potrebbe salvarci dall’ignoranza e dall’incapacità di immedesimarci negli altri.

Se la strada potesse parlare, il trailer

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RASSEGNA PANORAMICA
Cecilia Strazza
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Cecilia Strazza
Redattore e critico cinematografico per Cinefilos e Sentireascoltare.
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