The Beekeeper: recensione del film di David Ayer

In sala dall'11 gennaio il nuovo progetto con Jason Statham

The Beekeper, il nuovo progetto del regista statunitense David Ayer è in procinto di sbarcare in tutte le sale italiane. Il film, distribuito da 01 Distribution, arriverà infatti al cinema giovedì 11 gennaio, pronto ad inaugurare il filone action-thriller dell’anno appena iniziato.

 

Sceneggiato da Kurt Wimmer (I mercenari 4) e fotografato dal messicano Gabriel Beristain – alla seconda colaborazione con Ayer dopo La notte non aspetta del 2008, il film rappresenta la nona esperienza del regista dietro la macchina da presa e addirittura il quinto progetto cinematografico del 2023 (secondo la distribuzione statunitense) per l’attore protagonista Jason Statham – recentemente impegnato in Operation Fortune, I mercenari 4, Shark 2 e Fast X.

Accanto a lui, a rimpolpare un cast tutt’altro che striminzito, compaiono anche Minnie Driver, Josh Hutcherson – star di Hunger Games -, Jeremy Irons, Emmy Raver-Lampman, Enzo Cilenti, Taylor James, Dan Li, Adam Basil, Reza Diako, Bobby Naderi, David Witts, Kojo Attah, Jessica Maria Gilhooley, Arian Nik, Michael Epp, Amber Sienna e Derek Siow. Per un film che, senza ombra di dubbio, vuole mostrare i muscoli.

The Beekeeper: la trama

Adam Clay (Jason Statham) è un ex agente segreto di una potente organizzazione clandestina che agisce sottotraccia, i “Beekeeper”. Organizzazione che agisce fuori-legge, lontano dagli occhi delle forze dell’ordine riconosciute. In seguito al ritiro, Adam ha trovato pace e tranquillità presso un’isolata abitazione di campagna, dove svolge l’attività di apicoltore e interagisce con la sola Mrs Parker, anziana signora che gli ha gentilmente offerto un “rifugio” per trascorrere gli anni della “pensione”.

In un assolato tardo pomeriggio però, la signora Parker subisce una truffa informatica da parte di un gruppo di hacker capitanati da Mickey Garnett e viene derubata di ogni risparmio, oltre che di una somma di circa due milioni di dollari presente sul conto di un’associazione benefica facente capo a lei. Infuriato per il trattamento riservato alla sua amica – suicidatasi dopo il furto – Clay abbandona la campagna e si mette sulle tracce della società. E rivestiti i panni del Beekeeper, distrugge così la sede operativa di Garnett.
Ma quella di Mickey non è che una delle “filiali” di una rete criminale ben più estesa; e la sete di vendetta del Beekeeper, sostenuta dalla figlia di Mrs Parker, un’agente dell’FBI, può essere placata solo risalendo la corrente, fino ai diretti responabili.

The Beekeeper: chiaroscuri

David Ayer ha sempre ragionato di chiaroscuri; lo ha fatto sin da principio, muovendosi lungo il confine tra luce e ombra, tra bene e male, confondendone i bordi. Lo ha fatto dietro l’inchiostro del primo Fast & Furious, big bang di un fenomeno ancora in essere; per poi raccogliere, nel medesimo frangente, almeno una piccola parte della pesantissima eredità friedkiniana – Il braccio violento della legge – e diluirla nel testo del Training Day di Antoine Fuqua.

E di lì ha proseguito, in dipendenza dal caos, guadagnando la cinepresa e drogandosene, seguitando a “farsi” di torbida moralità di strada. Declinando “cose da Serpico” in più di un poliziesco – da Harsh Times a End of Watch – e sforzandosi di trasmetterle per osmosi all’estetica noir (La notte non aspetta) e al war movie (Fury); per tentare poi la strada del cinecomic, con il consueto occhio di riguardo per i cattivoni fumettosi.

The Beekeeper: bodycinema e vendetta

The Beekeeper, da questo punto di vista, non è che la naturale evoluzione di una serie di istanze del regista, il quale, impregnato e – costantemente – impegnato in una messa in scena del reale da yin e yang, volge qui lo sguardo in direzione delle derive action contemporanee, offrendo una divertita rilettura bucolica del Baba Yaga stahelskiano e realizzando una decisa convergenza-crossover delle proprie manie anti e super-eroistiche.

Il casting di Statham, in questo senso, appare allora una scelta quasi obbligata. Scelta necessaria al reclutamento di una delle più concrete e attuali manifestazioni di corpo attoriale pulsante e insieme mappatura a schermo (e sotto steroidi) di tensioni muscolari che affondano le proprie radici nel panorama cult costruito da Stallone e Schwarzenegger tra gli anni ’80 e ’90 – nonché dal loro più recente e mercenario sodalizio expendable.

Travestito da pacifico apicoltore, Jason Statham incarna dunque la dimensione crepuscolare del fu John Wick, guerriero senza nome rigettato controvoglia nella mischia e portatore sano di vendetta. Chiamato a una brutale sanificazione sociale che si espande come una dolce melassa e che – pur limitata da meccanismi derivativi e da una ridondante esplicitazione della metafora narrativa – esplode tra fuoco e fiamme nella granitica monodimensionalità del suo principale simbolo e interprete.

“Io sono un Apicoltore. Proteggo l’alveare”

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