Vera, la recensione del film di Tizza Covi e Rainer Frimmel

Presentata al Festival di Venezia, la pellicola è valsa a Vera Gemma il premio come Miglior Attrice nella sezione Orizzonti

Vera recensione film

Il peso del paragone continuo impedisce la libertà. Lo sa Vera Gemma, che per tutta la vita si è sentita giudicata, incompresa, oscurata. Al margine. Una donna forte ma al tempo stesso fragile, il cui riflesso del padre (Giuliano Gemma) non le ha mai permesso di spiccare realmente il volo. È sul desiderio di voler imporre la propria identità che i documentaristi Tizza Covi e Rainer Frimmel (Non è ancora domani, La pivellina) fondano Vera, con una narrazione che assume le fattezze di un documentario, ma che oscilla sempre fra realtà e fantasia.

 

Perché, come dirà la stessa Vera Gemma, è stato preso “in prestito” un episodio della sua vita per costruirci attorno un film che potesse apporre la propria attenzione sul riscatto. Sul dolore. E sulla cattiveria insita nella società. Presentato al Festival di Venezia, Vera è valso alla sua protagonista il premio come Miglior Attrice nella sezione Orizzonti, e arriva ora nelle sale cinematografiche dal 23 marzo distribuito da Wanted.

Vera, la trama

Vera si muove silenziosa in una Roma piena di vita. Frequenta posti esclusivi, boutique di lusso e persone dello spettacolo. Ma dentro di sé ha molte cicatrici e tanta sofferenza. Il suo autista, Walter, la accompagna ovunque, fino a quando un giorno non fanno un incidente con uno scooter. Rimane coinvolto un bambino, al quale Vera subito si lega, iniziandolo a frequentare nel tentativo di riparare al danno. Lo va a prendere a scuola, lo porta a casa, e spende del tempo anche il padre, Daniel, un uomo che non riesce a guadagnare molto per mandare avanti la famiglia. In parallelo, la donna continua a condurre la vita di sempre, fra provini falliti, rapporti nocivi e la figura dell’oramai defunto padre, Giuliano Gemma, che continua a seguirla come un’ombra.

Qual è il prezzo da pagare per poter essere sé stessi?

Ai suonatori un po’ sballati, ai balordi come me, a chi non sono mai piaciuta, a chi non ho incontrato, chissà mai perché”. Il film si apre con Dedicato di Loredana Berté, un brano che in qualche modo fornisce subito le linee guida della storia. Avvisa lo spettatore che questa è una storia difficile, malinconica, ma non per questo meno bella. Un racconto che pone la sua lente d’ingrandimento su una protagonista dai lineamenti del volto marcati, prova di una netta e dura ribellione nei confronti di chi la vorrebbe diversa. O peggio ancora la vorrebbe come il padre, il bell’attore del filone spaghetti western amato da tutti. Ma lei è un individuo autonomo e cerca di imporre la sua identità in una società che, invece, vorrebbe plasmarla in base ai propri gusti. Alle proprie esigenze. Al proprio modo, distorto, di vedere “i figli di”.

Perché la protagonista deve combattere quotidianamente con il giudizio che si formula sulla bocca di persone ignoranti e superficiali. Le quali, seppur non lo ammette, l’hanno portata sulla strada della chirurgia per potersi distaccare esteticamente, ancor di più, dall’immagine del padre. Come a voler loro fare uno sfregio. Una presa di posizione che però non è bastata per fermare gli occhi indiscreti, i complimenti indirizzati solo al padre o i provini falliti poiché non rispecchiante un certo canone di bellezza. Così la macchina da presa, che fin dalle prime battute aderisce completamente a Vera, ci porta nell’oscurità delle sue giornate, in cui incontriamo i rifiuti, i dolori ma anche le speranze di una donna che le prova tutte per non annegare.Vera recensione

Emanciparsi dall’etichetta

In una costante atmosfera da cinema neorealista, Vera ci conduce però non solo nei rapporti intimi che instaura, come quello con il bambino investito, ma anche nei suoi più profondi pensieri. Nel suo desiderio di volersi emancipare da quell’etichetta che, come le ricorda l’amica Asia Argento, necessita proprio di essere distrutta. Ma anche nel suo voler credere fortemente che, nonostante le esperienze avute, gli altri prima o poi vedranno lei prima ancora di vedere la gloria del padre. E che non la usino per un loro tornaconto personale, ma le stiano accanto solo perché spinti da un vero sentimento. È questa continua speranza nel genere umano che fa di Vera una donna tenace e delicata, ma soprattutto autentica. Un’autenticità sottolineata attraverso primi piani che fotografano il suo sguardo buono, pulito. Dentro al quale si manifesta una sincera voglia di credere nell’altro e nella sua buona fede.

Una speranza a cui troppo spesso si sostituisce la delusione. Perché in fondo, purtroppo, le persone si muovono solo per i propri interessi e mai per vero senso di altruismo. Seppur in alcuni frangenti pecchi di staticità e in pochi altri ci sia un’eccessiva finzione, Vera riesce dunque ad andare comunque a segno. Non vuole ingannare, né tantomeno essere una pellicola melodrammatica. Non ha guizzi narrativi o particolari intuizioni registiche e artistiche. Vuole solo esporre la condizione umana di una donna che cerca di combattere contro l’ipocrisia, l’empietà e i preconcetti. Che nonostante tutto rimane gentile, donandosi al prossimo senza porsi troppe domande. E ci riesce benissimo. Potremmo chiederci quanto ci sia di reale in quello che abbiamo visto. Potrebbe non piacerci lei. Ma il pensiero che dovremmo iniziare a essere meno giudicanti e più generosi d’animo nei confronti degli altri è imprescindibile dalla storia che vediamo sullo schermo.

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RASSEGNA PANORAMICA
Voto di Valeria Maiolino
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Valeria Maiolino
Classe 1996. Laureata in Arti e Scienze dello Spettacolo alla Sapienza, con una tesi su Judy Garland e il cinema classico americano, inizia a muovere i primi passi nel mondo della critica cinematografica collaborando per il webzine DassCinemag, dopo aver seguito un laboratorio inerente. Successivamente comincia a collaborare con Edipress Srl, occupandosi della stesura di articoli e news per Auto.it, InMoto.it, Corriere dello Sport e Tutto Sport. Approda poi su Cinefilos.it per continuare la sua carriera nel mondo del cinema e del giornalismo, dove attualmente ricopre il ruolo di redattrice. Nel 2021 pubblica il suo primo libro con la Casa Editrice Albatros Il Filo intitolato “Quello che mi lasci di te” e l’anno dopo esce il suo secondo romanzo con la Casa Editrice Another Coffee Stories, “Al di là del mare”. Il cinema è la sua unica via di fuga quando ha bisogno di evadere dalla realtà. Scriverne è una terapia, oltre che un’immensa passione. Se potesse essere un film? Direbbe Sin City di Frank Miller e Robert Rodriguez.
vera-recensione-tizza-covi-rainer-frimmelVera è un film che si pone l'obiettivo di esporre la condizione umana di una donna, Vera Gemma, che cerca di combattere tutti i giorni contro l'ipocrisia, l'empietà e i preconcetti a lei rivolti. Che nonostante questo continua a essere gentile, donandosi al prossimo senza porsi troppe domande. E ci riesce benissimo.