Massimo Fagioli e Marco Bellocchio per Diavolo in Corpo

Massimo Fagioli

Nel 1986 esce Diavolo in Corpo di Marco Bellocchio, il regista dedica personalmente il film a Massimo Fagioli.

 

Medico specializzato in neuropsichiatria, Fagioli è divenuto celebre per la sua teoria della nascita e per i suoi seminari di Analisi Collettiva, una prassi di cura per la guarigione dalla malattia mentale basata sull’interpretazione dei sogni, a cui lo stesso Bellocchio prende parte.

Diavolo in corpo non sarà l’unico film che porta i segni del percorso di Bellocchio con l’analista (basti pensare che anche Buongiorno, notte, si avvale molto della dimensione del sogno), ma è con questo film che il suo apporto è chiaramente dichiarato nelle volontà del regista di restituirci una storia attraverso il sogno e la psicanalisi.

Marco Bellocchio e la psicanalisi: il percorso e la collaborazione con Massimo Fagioli per Diavolo in Corpo

Uscito nel 1986, è ormai ricordato soprattutto per un’unica scena che, sistematicamente censurata, fu ripristinata integralmente in occasione della sua uscita in DVD: si tratta della fellatio che la protagonista, Giulia (Maruschka Detmers) pratica al giovane Federico Pitzalis. Dunque, seppur profondamente inserito nel tessuto indubbiamente erotico che ammanta la pellicola, la costruzione del film si basa completamente sulla psicanalisi e sui processi di rimozione del trauma. Il trauma a cui si allude è l’eredità degli anni di piombo e, nello specifico, il lutto dei sopravvissuti alle vittime dirette del terrorismo.

La trama è semplice: Andrea (Federico Pitzalis) è folgorato dalla bellezza di Giulia. La segue e ne rimane sedotto, divenendone l’amante. Ma Giulia è in una situazione tutt’altro che semplice: figlia di una vittima di terrorismo, è promessa sposa di Giacomo Pulcini, terrorista pentito, colpevole proprio dell’omicidio del padre di Giulia.

Massimo Fagioli

Sarà proprio quest’ambigua figura a porsi come personificazione dell’incontrollabile e dell’incomprensibile. Nel 1986 si stava lentamente uscendo dagli anni di piombo e l’omicidio Moro (caso simbolo del terrorismo rosso), in mancanza della completa comprensione di quanto accaduto, si stava trasformando inevitabilmente in ricordo. Giulia, i suoi sbalzi di umore, la sua risata incontrollata, il suo essere una lussuriosa femme fatale e le sue relazioni ambigue si configura come la personificazione dell’isteria, come il simbolo di un trauma che non voleva restare insoluto e inascoltato e che Bellocchio traspone in una storia intima incastrata in uno scenario socio-politico complicato che vorrebbe sbrogliare attraverso la psicanalisi. Ma, nel fallimento sistematico del tentativo ci dice il regista o, più plausibilmente, Massimo Fagioli per bocca dello psicanalista di Giulia, che «Il mondo è quello che è e noi siamo quello che siamo, e la psicanalisi non ha certo il compito di trasformare il mondo, ma piuttosto quello di» aiutarci ad adattarvisi nel migliore dei modi. Se Bellocchio è riuscito ad “adattarsi” al mondo, forse ci è riuscito grazie a Fagioli del quale, poco dopo la sua morte dice, “mi ha salvato la vita”.

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