C’è ancora domani (qui la recensione) segna il debutto alla regia di Paola Cortellesi, nota attrice e comica italiana. Con questo film, Cortellesi esplora una narrazione più intima e riflessiva, pur mantenendo la sua cifra stilistica caratterizzata da sensibilità, ironia e attenzione ai dettagli dei personaggi. Il film nasce dalla volontà di raccontare una storia di emancipazione femminile ambientata in un periodo cruciale della storia italiana, poco dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, quando le donne ottengono finalmente il diritto di voto. Cortellesi costruisce così un racconto intimamente legato a figure femminili che affrontano oppressione e ingiustizia, ispirandosi a racconti della madre e della nonna, ma anche a vicende storiche reali.
Il film rende inoltre omaggio al neorealismo italiano, con una scrittura e una messa in scena che privilegiano l’autenticità dei luoghi e dei personaggi. Le ambientazioni quotidiane, le strade di Roma appena uscita dalla guerra e le dinamiche familiari raccontate con grande realismo evocano le opere di registi come Vittorio De Sica e Roberto Rossellini. Allo stesso tempo, C’è ancora domani aggiorna il linguaggio del neorealismo con sensibilità contemporanea, dando vita a un dramma storico intenso, ma con una forte componente di empowerment femminile e di riflessione civile.
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Il film si colloca così nel genere del dramma storico, ma incorpora elementi di biografia e racconto sociale, affrontando temi universali come la violenza domestica, la discriminazione di genere e la conquista dei diritti civili. Il successo è stato straordinario: circa 50 milioni di dollari di incasso globale che hanno portato il film a divenire il quinto lungometraggio italiano di maggior successo della storia del cinema. Nel resto di questo articolo articolo, verrà però proposto un approfondimento sul finale del film e sulla spiegazione dei suoi principali temi, dall’attenzione alla violenza sulle donne alla centralità del diritto di voto come strumento di partecipazione e responsabilità civica.

La trama e il cast di C’è ancora domani
Protagonista del film è Delia (Paola Cortellesi), moglie di Ivano (Valerio Mastandrea) e madre di tre figli. Con loro c’è anche il padre di Ivano, il Sor Ottorino (Giorgio Colangeli). La famiglia vive in una Roma divisa tra la spinta positiva della liberazione dall’occupazione tedesca e le miserie della guerra da poco alle spalle. La vita in famiglia è però motivo di continue ansie e preoccupazioni per Delia, divisa tra i colpi che il marito le infligge al minimo errore e le speranze per la figlia maggiore, Marcella (Romana Maggiora Vergano), prossima alle nozze con Giulio (Francesco Centorame).
L’unico sollievo di Delia è l’amica Marisa (Emanuela Fanelli), con cui condivide momenti di leggerezza e qualche intima confidenza. Con l’avvicinarsi delle nozze, Delia inizia anche a lavorare all’abito da sposa per la figlia, mentre cerca di far sì che tutto si svolga per il meglio. L’arrivo di una lettera misteriosa, però, come anche la notizia della partenza verso il Nord del suo vecchio amore Nino (Vinicio Marchioni) riaccenderà in lei il coraggio per rovesciare i piani prestabiliti e immaginare un futuro migliore, non solo per lei.
La spiegazione del finale del film
Verso la fine del film, la mattina del 2 giugno, giorno storico del referendum istituzionale e delle prime elezioni in cui le donne italiane possono votare, Delia si prepara con determinazione a mettere in atto il suo piano di ribellione personale. Dopo aver lasciato sul comodino a Marcella una busta con soldi e lettera, simbolo della sua volontà di sostenere l’istruzione della figlia e proteggerla dalle imposizioni patriarcali, Delia esce di casa con un obiettivo chiaro: recarsi al seggio e partecipare attivamente al voto (e non fuggire con Nino come si credeva). Il percorso verso l’urna diventa un vero atto di coraggio, poiché la donna deve affrontare la presenza minacciosa del marito, Ivano, che tenta di fermarla fisicamente, senza tuttavia riuscirvi.
Durante il cammino verso il seggio, Delia si accorge però di aver smarrito la tessera elettorale, caduta a terra senza che lei se ne rendesse conto. La scoperta genera un momento di tensione, poiché Ivano tenta nuovamente di riprendere il controllo della situazione, ma Marcella interviene prontamente, consegnando la tessera alla madre. In questo modo, Delia riesce finalmente a votare, realizzando un gesto simbolico che rappresenta non solo la sua emancipazione personale ma anche l’ingresso delle donne nella vita politica del paese. L’atto del voto diventa il culmine narrativo del film, risolvendo la tensione accumulata e chiudendo idealmente il percorso di liberazione della protagonista.

Il finale, se letto in chiave tematica, porta quindi a compimento il filo conduttore del film: la violenza di genere viene affrontata non solo nella dimensione fisica e psicologica subita da Delia, ma anche attraverso la rappresentazione di una scelta consapevole di autonomia e affermazione dei propri diritti. Il voto femminile, simbolo della conquista della cittadinanza attiva, si intreccia con il superamento del clima di oppressione domestica, dimostrando che la ribellione può avvenire anche attraverso gesti civili e apparentemente ordinari. La decisione di Delia rappresenta una forma di resistenza silenziosa ma potente, che sfida le regole del patriarcato senza ricorrere alla violenza.
Il film sottolinea inoltre l’importanza della solidarietà tra donne e generazioni diverse: Marcella, pur giovane e inesperta, supporta la madre nel compimento del suo gesto, mentre le altre donne che partecipano al voto rappresentano un coro collettivo di emancipazione. Questo elemento mostra come il cambiamento individuale sia strettamente legato a quello sociale e culturale, e come la ribellione contro l’ingiustizia possa essere rafforzata dalla presenza e dal sostegno reciproco. La storia di Delia diventa così un simbolo di empowerment femminile e di riconquista dei diritti civili.
Alla fine, il messaggio lasciato dal film è chiaro e potente: la libertà e la dignità non si conquistano solo attraverso gesti eclatanti o ribellioni fisiche, ma anche attraverso azioni quotidiane, scelte consapevoli e la determinazione a esercitare i propri diritti. Il voto femminile del 2 giugno diventa metafora della capacità di opporsi alla sopraffazione e di affermare la propria identità, mostrando come coraggio, determinazione e solidarietà possano trasformare una realtà oppressiva in una prospettiva di autonomia e futuro.
