Kursk (qui la nostra recensione), diretto da Thomas Vinterberg e uscito nel 2018, segna un’interessante deviazione nella filmografia del regista danese, noto soprattutto per opere dal forte impatto emotivo e intimista come Festen e Il sospetto. Vinterberg, maestro nel raccontare i conflitti umani e le fragilità emotive, si cimenta qui con un dramma storico a sfondo bellico, senza rinunciare al suo tocco autoriale. Pur trattando un evento di portata internazionale, il regista mantiene al centro la dimensione umana, concentrandosi sulle vite e i sentimenti dei protagonisti, piuttosto che sulla spettacolarizzazione dell’azione.
Il film si colloca nel genere del disaster movie a base reale, mescolando tensione, tragedia e critica politico-sociale. Ricostruisce con taglio realistico e attento ai dettagli la catastrofe del sottomarino nucleare russo K-141, avvenuta nell’agosto del 2000, alternando sequenze claustrofobiche all’interno dell’imbarcazione a momenti di disperazione e attesa sulla terraferma. La messa in scena, elegante ma mai artificiosa, richiama per certi versi titoli come Das Boot di Wolfgang Petersen o Chernobyl di Craig Mazin, dove il dramma collettivo diventa metafora di un sistema politico in crisi, e il senso di impotenza avvolge tanto i protagonisti quanto lo spettatore.
Vinterberg sfrutta il genere per costruire un’opera che non è solo cronaca di un disastro, ma riflessione sulla lealtà, l’orgoglio nazionale e i limiti della cooperazione internazionale. In Kursk, il conflitto non è solo contro il tempo e l’acqua, ma anche contro la burocrazia e la rigidità di un apparato militare incapace di ammettere debolezze. Nel resto dell’articolo, ci soffermeremo sulla vera storia che ha ispirato il film, analizzando le circostanze reali dell’incidente, il contesto politico in cui è avvenuto e le conseguenze che ha lasciato sia per i familiari delle vittime sia per l’immagine della Russia sullo scenario mondiale.
LEGGI ANCHE: #RomaFF13: Thomas Vinterberg presenta Kursk
La trama e il cast di Kursk
Il film Kursk racconta la drammatica vicenda del sottomarino nucleare K-141 Kursk e il tentativo disperato di salvare i marinai intrappolati dopo l’incidente avvenuto nel Mare di Barents nel 2000. La storia si concentra su Mikhail Averin (Matthias Schoenaerts), uno dei sottufficiali a bordo, e sulla sua famiglia, che lotta contro l’ostilità e il silenzio delle autorità per ottenere notizie e sperare in un miracolo. Parallelamente, il film segue la complessa e difficile missione di soccorso, ostacolata da problemi tecnici, politici e burocratici, che si rivelerà un’impresa ardua e carica di tensione.
La storia vera dietro il film
Il disastro del sottomarino russo K-141 Kursk, avvenuto il 12 agosto 2000 nel Mare di Barents, rappresenta una delle tragedie più gravi della storia navale russa. Il Kursk, un sottomarino nucleare della classe Oscar II, stava partecipando a un’esercitazione navale di grande portata, la “Summer-X”, che coinvolgeva numerose unità della Flotta del Nord. Durante l’esercitazione, alle 11:28 locali (07:28 UTC), il Kursk lanciò dei siluri di prova, ma subito si verificò un’esplosione, presumibilmente di uno dei siluri, che liberò una potenza compresa tra i 100 e i 250 chilogrammi di TNT, producendo un’onda sismica di intensità 2,2 secondo la scala Richter.
La seconda esplosione, avvenuta 135 secondi dopo la prima, fu di magnitudo compresa tra 3,4 e 4,4, con una potenza tra le 3 e le 7 tonnellate di TNT, causando danni irreparabili al sottomarino e la morte immediata di gran parte dell’equipaggio. Nonostante l’intensità delle esplosioni, 23 marinai riuscirono a rifugiarsi nei compartimenti poppieri del sottomarino, dove rimasero intrappolati. Un appunto scritto dal tenente-capitano Dimitry Kolesnikov, trovato tra i resti, testimonia i suoi ultimi momenti a bordo. Il documento, datato 15:45, esprimeva la speranza di una possibile salvezza, ma purtroppo nessuno dei 23 superstiti riuscì a sopravvivere.
L’assenza di comunicazioni e l’impossibilità di accedere al sottomarino per oltre 12 ore ritardarono le operazioni di soccorso. Solo il 21 agosto, grazie all’intervento di specialisti britannici e norvegesi, fu possibile agganciare un veicolo di soccorso al boccaporto di poppa, ma ormai l’intero equipaggio era deceduto. Le indagini ufficiali stabilirono che l’incidente fu causato dall’esplosione di un siluro Tipo 65-76A, dovuta a una saldatura difettosa che provocò la fuoriuscita di perossido di alta qualità, innescando una reazione catalitica. La Marina russa fu criticata per la sua risposta lenta e inadeguata, e per aver rifiutato inizialmente l’aiuto internazionale.
Un’inchiesta interna concluse che l’incidente fu il risultato di “violazioni della disciplina, attrezzature obsolete e mal mantenute”, e “negligenza, incompetenza e cattiva gestione”. Il film Kursk di Thomas Vinterberg narra dunque di questa la tragedia, concentrandosi sulle difficoltà incontrate dalle famiglie dei marinai nel cercare di ottenere informazioni e assistenza, nonché sulle operazioni di salvataggio. Sebbene il film adatti alcuni eventi per esigenze narrative, mantiene una sostanziale fedeltà ai fatti storici, evidenziando le carenze nella gestione dell’emergenza e la lotta delle famiglie per la verità.