Nico, noto anche con il titolo internazionale Above the Law, rappresenta l’esordio cinematografico di Steven Seagal e, al tempo stesso, la nascita di un’icona dell’action anni ’90. Prima di diventare uno dei volti più riconoscibili del cinema marziale hollywoodiano, Seagal era un istruttore di aikido, consulente per agenzie governative e guardia del corpo: un background reale che emerge con forza nel film, contribuendo a costruire quell’immagine dell’eroe silenzioso e letale che lo accompagnerà per tutta la carriera. Nico non è solo l’inizio, ma anche la dichiarazione d’intenti di un attore destinato a segnare un’intera stagione del cinema d’azione.
Il film, diretto da Andrew Davis (che in seguito lavorerà con Harrison Ford ne Il fuggitivo), si inserisce nel filone del poliziesco urbano violento tipico degli anni ’80, contaminato però da una forte componente di arti marziali che all’epoca risultava ancora piuttosto insolita per il cinema occidentale mainstream. Temi come la corruzione istituzionale, il complotto governativo e il senso di giustizia personale attraversano tutta la vicenda, ponendo il protagonista Nico Toscani in bilico tra legalità e vendetta. Il suo è un mondo in cui le regole ufficiali spesso proteggono i colpevoli, costringendo l’eroe a sporcarsi le mani per ristabilire un ordine morale superiore.
Il film ottenne un notevole successo al box office e consolidò immediatamente il mito di Seagal come “l’uomo solo contro il sistema”, un archetipo che avrebbe riproposto più volte nel corso della sua filmografia. Proprio per questo motivo, il finale del film assume un valore cruciale: da un lato chiude la vicenda secondo le logiche del genere, dall’altro lascia aperta una riflessione su quanto sia davvero possibile combattere il potere dall’interno. Nel resto dell’articolo analizzeremo proprio questo aspetto, offrendo una spiegazione dettagliata del finale di Nico e delle sue implicazioni tematiche.
La trama di Nico
Il film segue le vicende del siciliano Nico Toscani (Steven Seagal), esperto di arti marziali che viene reclutato dalla CIA per entrare a far parte di un corpo speciale impiegato per una missione tra Vietnam e Cambogia. Nel 1973, Nico rimane talmente disgustato dalle torture a cui assiste durante l’interrogatorio di un prigioniero che decide di lasciare la CIA e tornare a vivere nella sua Chicago. Passano quindici anni e l’uomo, che ormai è sposato e ha un bambino, vive insieme alla sua famiglia e alla madre.
Tolte le vesti di agente speciale, Nico è ora un incorruttibile poliziotto della narcotici del Dipartimento di Polizia di Chicago. Insieme ai suoi colleghi e amici, l’uomo veglia sulla città combattendo lo spaccio di sostanze stupefacenti. Non ha però idea di quello che sta per succedergli e del fatto che, per dare una mano a una cugina, si troverà nuovamente ad avere a che fare non solo con la CIA ma anche con l’FBI.
La spiegazione del finale del film
Nel terzo atto di Nico, Zagon e i suoi uomini individuano padre Tomasino, miracolosamente sopravvissuto all’attentato in chiesa. Penetrano nello scantinato dove il sacerdote si rifugia con altri profughi e iniziano a torturarlo con la stessa brutalità che aveva sconvolto Nico anni prima in Cambogia. L’irruzione improvvisa di Nico, accompagnato dalla collega Delores e dall’alleato Lukic, interrompe la scena. Ne nasce uno scontro violento, durante il quale Delores viene colpita ma riesce a salvarsi grazie al giubbotto antiproiettile. Mentre Nico elimina Salvano in uno scontro diretto, viene a sua volta sopraffatto dagli uomini di Zagon e catturato.
Il confronto conclusivo tra Nico e Zagon avviene così in una dimensione quasi speculare al loro primo incontro in Vietnam. Ma a differenza del passato, Nico non è più un giovane agente inesperto costretto all’obbedienza: ora è un uomo con una coscienza formata, una famiglia da proteggere e una convinzione incrollabile nel suo codice morale. Nonostante le iniezioni illegali e il dolore, riesce a liberarsi, ribaltare la situazione e uccidere Zagon insieme ai suoi complici. Il film si chiude con l’arresto degli altri criminali e l’intervento del senatore Harrison, che si reca personalmente a casa di Nico per ringraziarlo e promettere che certi abusi non saranno più tollerati.
Dal punto di vista tematico, questo finale rappresenta il compimento della trasformazione di Nico da esecutore degli ordini governativi a vigilante etico che risponde a un sistema superiore di giustizia. Affrontare e sconfiggere Zagon non è solo un atto fisico, ma il simbolico rifiuto della logica della violenza istituzionalizzata che lo aveva traumatizzato anni prima. Zagon incarna l’orrore della legalità deviata: agisce all’interno degli apparati statali, ma lo fa per puro sadismo e tornaconto personale. Quando Nico lo elimina, non sta disobbedendo allo Stato: sta riconsegnando allo Stato la sua dignità, liberandolo dalla corruzione che lo divora dall’interno. La promessa finale del senatore Harrison non è dunque solo un riconoscimento formale, ma un atto di restituzione morale.
Inoltre, il film sottolinea che la vera giustizia richiede sacrificio personale e isolamento. Nico ha perso il distintivo, ha rischiato la vita e ha messo in pericolo la sua famiglia, ma non ha mai ceduto alla convenienza o al cinismo. Il contrasto con i colleghi che preferivano “seguire gli ordini” è evidente: la legge, per funzionare, ha bisogno di uomini disposti a metterla in discussione quando diventa strumento di oppressione. L’alleanza tra lui e Delores rafforza questa idea: non è solo un solitario giustiziere, ma il cuore pulsante di una resistenza interna che non accetta compromessi. Il fatto che l’FBI e la CIA vengano smascherati dall’interno e non dall’esterno ribadisce la natura profondamente americana del racconto: la democrazia si difende solo se qualcuno ha il coraggio di dire “no” anche quando tutti dicono “obbedisci”.
Il messaggio finale di Nico è chiaro e ancora oggi attuale: la legalità non basta se non è accompagnata dall’etica. Il film suggerisce che la vera forza non è nel potere, ma nella coscienza. Nico non è un supereroe, non ha superpoteri: è un uomo che ha visto l’orrore e ha deciso di non diventare come ciò che ha odiato. Il suo trionfo non è quello del vincitore, ma del sopravvissuto che ha scelto di restare umano. In un genere spesso dominato dalla vendetta cieca, Above the Law si distingue per una riflessione sorprendentemente lucida: non basta colpire i cattivi, bisogna cambiare le regole del gioco. E per farlo, serve qualcuno che sia davvero “al di sopra della legge”, non perché la disprezza, ma perché la onora più di chi la impone.