The Terminal: la storia vera che ha ispirato il film di Steven Spielberg

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Reduce dal doppio successo di Minority Report  e Prova a prendermi, Steven Spielberg dichiarò di voler realizzare un film capace di far ridere, commuovere e riconciliare il pubblico con il mondo. Da questa intenzione nacque The Terminal (qui la recensione), uscito nel 2004 e accolto calorosamente da critica e spettatori. Pur essendo una commedia leggera e piena di umanità, il film contiene molte delle riflessioni care al regista: la dignità del singolo, il valore della comunità, la capacità di resilienza di chi resta intrappolato tra le crepe dei sistemi istituzionali.

Al di là del suo tono da fiaba moderna, The Terminal venne letto anche come una metafora degli Stati Uniti post-11 settembre: un Paese scosso, diffidente, irrigidito sulle procedure e sulle paure. Spielberg affronta tutto questo con ironia e delicatezza, opponendo alla paranoia la solidarietà, alla chiusura lo spirito comunitario. Ma prima ancora di essere un discorso sul presente americano, il film è diventato celebre perché ispirato – seppur molto liberamente – a una storia vera: quella del rifugiato iraniano Mehran Karimi Nasseri.

La vicenda reale: chi era Mehran Karimi Nasseri

La storia vera alla base del film è tanto affascinante quanto complessa. Mehran Karimi Nasseri nacque in Iran nel 1945 e fin da giovane partecipò attivamente alle proteste contro lo Scià Mohammad Reza Pahlavi. Per sfuggire alla repressione politica, cercò asilo in diversi Paesi europei, senza successo, fino a ottenere finalmente nel 1981 lo status ufficiale di rifugiato dal governo belga.

Con i documenti in regola, Nasseri decise di trasferirsi nel Regno Unito, dove aveva studiato anni prima. Ma nel tentativo di rientrare nel Paese venne respinto: i suoi documenti, nel frattempo inviati all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per alcune verifiche, non erano disponibili. Senza la tessera di rifugiato non poteva provare la sua identità né rientrare legalmente. Da quel momento la sua vita divenne un paradosso burocratico: non poteva entrare in nessun Paese, e non poteva tornare indietro a recuperarli.

Nel 1988 Nasseri fu fermato al Terminal 1 dell’aeroporto Charles de Gaulle di Parigi, mentre tentava nuovamente di imbarcarsi per Londra. Era senza documenti validi e perciò le autorità francesi non potevano né lasciarlo entrare né espellerlo. Rimase così bloccato nell’area transiti in un vero e proprio limbo giuridico, senza alcuna possibilità di uscita. In quella zona sospesa del mondo trascorse quasi 18 anni, diventando una presenza familiare per il personale dell’aeroporto.

La situazione si sbloccò solo nel 1999, quando venne accompagnato in tribunale per recuperare i documenti. Ma Nasseri, inaspettatamente, sostenne che quei documenti non erano i suoi e dichiarò di chiamarsi “Sir Alfred Mehran”. La sua permanenza al De Gaulle proseguì così ancora per anni, fino al 2006, quando venne ricoverato in ospedale. Dopo varie vicissitudini, trascorse l’ultima parte della sua vita tra centri di accoglienza e ritorni occasionali all’aeroporto. È morto nel novembre 2022 per un infarto.

The Terminal e la storia vera: cosa riprende Spielberg (e cosa cambia)

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Nonostante il legame evidente, The Terminal non è una ricostruzione fedele della vicenda di Nasseri. Spielberg e gli sceneggiatori Sacha Gervasi e Jeff Nathanson utilizzano solo il nucleo dell’idea – un uomo bloccato in aeroporto per motivi burocratici – ma costruiscono intorno ad essa una storia completamente diversa per tono, messaggio e personaggi.

Viktor Navorski, interpretato da Tom Hanks, proviene da un Paese fittizio, la Krakozhia, e vive un’avventura intrisa di speranza, romanticismo, incontri positivi e piccole magie quotidiane. La vita di Nasseri, al contrario, fu molto più solitaria, frammentata e priva di elementi da commedia. Spielberg sceglie la via della fiaba, non dell’inchiesta, trasformando una vicenda drammatica in un racconto universale sulla gentilezza e l’appartenenza.

Il cast e l’interpretazione di Tom Hanks

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Ad accompagnare Hanks nel film troviamo Stanley Tucci nel ruolo dell’inflessibile responsabile della sicurezza Frank Dixon, Catherine Zeta-Jones nei panni della hostess Amelia Warren, e un cast corale composto da Diego Luna, Zoe Saldana, Kumar Pallana e altri interpreti che contribuiscono a creare il microcosmo umano dell’aeroporto JFK.

Hanks modellò la parlata del suo personaggio su un accento dell’Europa orientale, ispirandosi al proprio padrino bulgaro e lavorando sulla musicalità della lingua. La sua interpretazione, centrale nel successo del film, restituisce un protagonista pieno di dignità, tenerezza e resistenza silenziosa.

Storia vera vs film: le differenze principali

Nel film Nella realtà
Viktor è bloccato per un colpo di stato Nasseri è bloccato per un paradosso burocratico
La Krakozhia è un Paese inventato Nasseri è iraniano, con status di rifugiato
L’aeroporto è una “comunità” accogliente La vita di Nasseri fu molto più dura e isolata
Tono da fiaba moderna Tono reale: solitudine, confusione, precarietà
Finale ottimista Nessuna chiusura narrativa: solo precarietà

Perché Spielberg ha scelto proprio questa storia

Spielberg utilizza la vicenda di Nasseri come punto di partenza per parlare di temi universali: l’identità, la gentilezza, la comunità, l’esperienza di essere “fuori posto”. In un periodo storico segnato da paura e diffidenza, The Terminal offre una risposta umanistica e luminosa, costruendo una storia che parla meno di burocrazia e più di possibilità.

Fonte: IMDb

Gianmaria Cataldo
Gianmaria Cataldo
Laureato con lode in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza e iscritto all’Ordine dei Giornalisti del Lazio come giornalista pubblicista. Dal 2018 collabora con Cinefilos.it, assumendo nel 2023 il ruolo di Caporedattore. È autore di saggi critici sul cinema pubblicati dalla casa editrice Bakemono Lab.
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