Twilight, dieci anni dopo. Cosa resta dell’amore inquieto di Edward e Bella

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A dieci anni dalla sua uscita tutti ricordano Twilight come il film di successo sui vampiri, pochi o nessuno come il film con cui Catherine Hardwicke aveva provato a dire qualcosa sugli adolescenti americani, sulle emozioni del primo amore, sugli effetti collaterali di un sentimento così incontrollabile e del senso di annullamento delle ragazze. Le stesse che per essere “accettate” dal sistema andavano incontro a una serie di pericoli (vedi la Tracy Louise Freeland di Thirteen).

 

L’essenza del romanzo di Stephenie Meyer, diventato in poco tempo un fenomeno globale, era di sicuro migliore del suo taglio romantico e goffamente fantasy, sospeso nel periodo più complicato di una teenager: il momento in cui si scopre di avere un desiderio sessuale. E se Thirteen circumnavigava questo tema attraverso uno sguardo sporco e realistico, in Twilight la Hardwicke sapeva che le immagini dovevano parlare ad un pubblico meno selezionato e consapevole e scese così a patti con gli studios (gli stessi che poi le tolsero la possibilità di dirigere il sequel) accettando il compromesso; questo non impedì al film di scrivere una pagina tutt’altro che ininfluente del cinema teen contemporaneo post-anni Ottanta e Novanta, con protagonista una ragazza che di fatto pratica l’astinenza per amore. Una concezione davvero regressa – e repressa – del sentimento amoroso che è tutto un sacrificio di lei e distorta cavalleria di lui.

Nel 2008 il critico cinematografico Roger Ebert disse che Twilight non guardava affatto alla donna né la metteva al centro, ma a un desiderio maschile che sconfina nell’erotomania (o sindrome di De Clerambault, cioè il tipo di disturbo delirante dove il paziente è ossessionato da un’altra persona). C’è insomma un discorso molto più serio o comunque intrigante rispetto alle premesse tra le pieghe del film, smarrito ai confini di un’America puritana e fintamente liberale dove si può parlare di sesso senza mai mostrarlo, reprimendo e rimandando allo spazio di pochi minuti (nel capitolo finale Breaking Dawn) la tanto attesa scena dell’amplesso.

Twilight, dieci anni dopo

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Proprio per le contraddizioni insite in un prodotto che si sarebbe rivolto a spettatori molto giovani di cui sopra, e per il tentativo della regista di Lords of Dogtown di riuscire a interpretare i tempi attuali, Kristen Stewart e Robert Pattison si rivelarono la scelta di casting perfetta: non avevano nulla in comune con le loro controparti letterarie (al contrario scialbe e stereotipate), ma erano spigolosi, fisicamente ambigui, indifesi e inadeguati, maldestri sotto i riflettori dello star system prima di diventare celebrità; la Hardwicke è così intelligente che li fa stare nella scena meno glamour possibile nel luogo più uggioso degli Stati Uniti dalla fotografia verdognola e poco sgargiante.

Bravissimi, seppur svogliati (ma quella sceneggiatura avrebbe scoraggiato chiunque…), la Stewart e Pattinson rappresentavano una via di fuga da quel perfezionismo hollywoodiano di plastica, favorevole all’aspetto esteriore e non all’intenzione; due giovani capitati lì per caso, di passaggio mentre costruivano le basi di una solida carriera nel cinema d’autore e assaliti da una fama che forse non cercavano, o che nessuno si aspettava.

La mente torna subito a quel pomeriggio di fine Ottobre di dieci anni fa, quando Twilight venne presentato in anteprima mondiale al pubblico del Festival di Roma. Il film non era ancora uscito nelle sale ma la regista e gli interpreti furono accolti da più di 2000 ragazzine deliranti: il fenomeno era ormai realtà. Oggi cosa resta di quell’amore inquieto, di quel desiderio sospeso e mai concretizzato? La consapevolezza che Twilight fosse molto di più di ciò che sembrava, o di ciò che volevano farci credere. Sicuramente l’episodio più significativo e memorabile di una saga che ha ceduto subito all’ordinario racconto di massa.

Twilight torna in sala il 20 e 21 novembre con Eagle Pictures in occasione del decimo anniversario

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