Le Lezioni di cioccolato secondo Federici e il suo cast

Si è svolta nella suggestiva cornice dell’Hotel Bernini Bristol di Piazza Barberini la presentazione alla  stampa di Lezioni di cioccolato 2, che sarà nelle sale da venerdì 11 novembre in 300 copie. Presenti il regista Alessio Maria Federici, al suo esordio, lo sceneggiatore Fabio Bonifacci, gli interpreti principali Luca Argentero, Hassani Shapi, Nabiha Akkari, assieme ad Angela Finocchiaro e Vincenzo Salemme. A rappresentare Cattleya, Marco Chimenz e Francesca Longardi.

 

Il cast ha così illustrato il progetto di questa commedia romantica in salsa di cioccolato.

Raccontateci il vostro film

Alessio Federici: “Sono molto contento di aver potuto lavorare con questo cast, di aver avuto la libertà di raccontare, dal punto di vista cinematografico, come volevo una storia che spero vi abbia divertito.  È stato estremamente affascinante, dopo essermi cimentato per anni a far diventare realtà le idee e le visioni degli altri, finalmente poter realizzare qualcosa che mi appartenesse in toto. Sono soddisfatto”.

Marco Chimenz: “Abbiamo deciso di produrre questa commedia perché il primo film aveva avuto risultati inaspettati (…). Sembrava che avessimo creato non dico un fenomeno, ma un film che la gente ha veramente gradito. Ci siamo interrogati se ci fossero le premesse per un sequel. Ne abbiamo parlato con Fabio Bonifacci, che è ormai lo sceneggiatore del momento e ha lavorato con noi su tanti altri progetti”. E prosegue: “Non volevamo che fosse semplicemente una ripetizione del primo film, ma che ci fossero elementi nuovi. Abbiamo di nuovo la presenza della Scuola del cioccolato di Perugina, che ci sembra, come nel primo film, molto ben integrata nella storia (…). Ma, la bella sorpresa di questo film sono le “new entry”. (…) Con Angela Finocchiaro abbiamo già lavorato altre volte. Con gli altri, Vincenzo (Salemme ndr) soprattutto, è la prima volta e siamo molto contenti e lusingati.

Fabio Bonifacci: “Spesso i sequel fanno un po’ paura (…) ma, in questo caso, avevo ancora un territorio molto ampio che il primo film non aveva esplorato: tutto ciò che riguarda l’amore, la figura femminile e il matrimonio.  (…). È venuta abbastanza naturalmente l’idea di creare un innamoramento tra Mattia e la figlia di Kamal (Nawal/Nabiha Akkari ndr), senza che nessuno dei due sapesse di chi si trattava, di creare questo strano terzetto. (…) Ero molto attratto anche dalla possibilità di raccontare (…) i cosiddetti immigrati di seconda generazione, i nuovi italiani che fanno  notizia solo quando vanno in Nazionale. Vivono una situazione interessante: a cavallo tra due culture, con contraddizioni che scatenano grande energia, ma anche con opportunità. Tutte cose che (…) abbiamo cercato di mettere nel personaggio di Nawal. (…) Per un uomo di 47-48 anni raccontare il punto di vista di una ragazza di 22 anni, egiziano-italiana, è sempre un po’ difficile. Mi spaventava inizialmente. Poi ho studiato, ho parlato con molte ragazze di quest’età e di queste origini e ho scoperto una cosa curiosa: questi valori così diversi dai nostri rispetto al matrimonio, al fidanzamento (…) non sono poi così lontani. Fino a 60 anni fa l’ideologia italiana sui rapporti, sui fidanzamenti e sui matrimoni per l’80% delle persone in provincia e nelle campagne era questa. Ho cercato di raccontarlo attraverso il personaggio di Osvaldo, depositario di questa memoria storica”.

Qual è l’aspetto che vi ha intrigato di più dei vostri personaggi?

Luca Argentero: “Come ho già accennato ai produttori, punto alla trilogia, ad avere il cofanetto per il prossimo Natale da regalare ad amici e parenti. A Mattia Cavedoni voglio molto bene, perché è un alter ego strano, potenzialmente vero: in parte rappresenta la mia famiglia – è un costruttore, e io vengo da una famiglia di costruttori, molto meno cialtroni di lui (…) – e il destino a cui sarei andato incontro se non fosse successo tutto quello che è successo. (…). Ma amo questo personaggio anche per un’altra ragione. Mattia nel suo percorso scopre una cosa che ho scoperto anch’io: il piacere di fare bene qualcosa. Lui (…) passa dall’edilizia al mondo del cioccolato, perché scopre quant’è bello fare una cosa con amore, che è anche l’unica maniera per far bene le cose. Ed è un po’ quello che mi è successo. Mi sono imbattuto in qualcosa che non conoscevo e ho scoperto quant’è bello essere circondato da un gruppo di persone che fanno ciò che fanno per vera passione, come tutti quelli seduti a questo tavolo (…).

Sul set, poi, grazie ad Alessio (…) abbiamo potuto avere forse la più bella selezione di esseri umani (cast, ma anche troupe) che io ricordi. C’era una bella atmosfera”.

Angela Finocchiaro “Io credo nella commedia, profondamente. In questo caso, l’ha scritta Bonifacci ed era un motivo per partecipare. Lavorare con Cattleya è un privilegio, in un momento in cui la qualità del lavoro sembra stia andando a ramengo: hanno una cura e capacità veramente uniche e particolari. Alessio l’avevo conosciuto prima e (…) credevo molto nel lavoro con lui. Anche la possibilità di lavorare con Salemme era molto interessante: (…) questi personaggi erano costruiti in una maniera per cui appena si incontrano si fanno del male, un incontro/scontro, che permetteva non solo di creare una commedia, ma di divertirsi a farla”.

V. S.: “Il mio ruolo era molto carino: questo Maestro cioccolataio che si è costruito una carriera e poi arriva un’ imprevisto, un incontro, una donna che lo chiamava “pippa” da bambino e quindi gli distrugge tutto. Alessio è stato una scoperta, bravissimo (…). Bonifacci era famoso e infatti la commedia mi piaceva”. E poi scherza, mentre loda le qualità del collega Luca Argentero, cui, dice, la natura non ha fatto proprio mancare nulla: non solo bello, ma “pure simpatico!” e “recita pur’ ‘bbuon’!” Mentre sulla Finocchiaro, che definisce “una felice compagnia di lavoro” aggiunge: “Straordinaria, perché fa ridere, ma interpretando. E questa è una qualità che ormai purtroppo in Italia c’è poco”.

Nabiha Akkari: “Arrivare su questo set è stato veramente piacevole (…). Tutti sono stati molto accoglienti. Penso che (…) abbiamo cercato di evitare, ed effettivamente evitato, tutti i cliché: sull’immigrazione, sull’integrazione, sui conflitti (…) tra la prima generazione d’immigrati e la seconda. Io preferisco parlare di incontro tra due generazioni diverse, che hanno un po’ di problemi a trovarsi e capirsi, ma che ce la fanno, grazie all’amore. Nel film è evidente l’amore del mio personaggio per suo padre e si dimostra come con l’amore possiamo veramente sciogliere i nodi nella vita”.

Hassani Shapi: “Il primo film ha avuto successo e tre anni dopo mi hanno detto: facciamo il due. Di solito il secondo non viene mai bene come il primo. Sapevo che ci sarebbe stato lo stesso sceneggiatore, ma mi avevano detto che sarebbe cambiato il regista, e ho pensato: oh no! Poi, arriva Alessio (Federici ndr) sul set il primo giorno. Dalla sua scelta su dove mettere la macchina da presa ho capito che era un genio. Quindi è stato un grande piacere per me lavorare con lui (…), come  con tutti gli attori qui presenti”.

È  previsto un Lezioni di cioccolato 3?

M. C.: “Al momento no, ma non è detto, la storia può continuare”.

Il film è costruito intorno al Bacio Perugina di cioccolata bianca che imperversa in tutta la pellicola, è il filo conduttore del film. Bonifacci, come ha lavorato per poter fare questo grande lancio pubblicitario?

F. B:  “Come ho fatto me l’hanno spiegato stamattina con una formula che io non conoscevo, che è il “product placement”. Con Cattleya su questo tema abbiamo un accordo molto semplice. (…) Non ho mai ricevuto nessun tipo di imposizione. Non mi è mai stato detto: inserisci questo prodotto perché ci serve per finanziare il film. Da parte mia, ritengo che l’uso di prodotti al cinema non sia assolutamente di per sé un male. Lo è quando viene percepito come  spot pubblicitario. Se lei lo ha percepito così, evidentemente in questo caso ho sbagliato qualcosa nella scrittura, ma il mio modo di concepire il product placement è di usare elementi di realtà (i prodotti, i marchi sono un elemento di grande realtà), quando aiutano a raccontare la storia”.  E aggiunge: “È stato un lavoro di collaborazione, senza alcuna volontà che scendeva dall’alto di fare spot pubblicitari. (…) Il fatto che i protagonisti facciano un cioccolatino di una grande azienda e non un cioccolatino qualsiasi ci permette una serie di svolte di trama importanti”, ma non intende sottrarsi alla critica e assicura: “La sua domanda mi farà pensare a lungo nelle prossime ore (…), perché credo sia giusto chiedersi se non si è sbagliato. Però sinceramente a me il film non sembra un grande spot pubblicitario”.

M. C.: “Il tema del product placement è senz’altro molto delicato. Cerchiamo sempre di non affrontarlo con superficialità. Quando c’è una possibilità d’investimento di product placement, verifichiamo se è possibile inserirla dentro la sceneggiatura in maniera armonica, senza che sia un “cazzotto nell’occhio dello spettatore”. Alcune volte viene bene, altre meno. In questo caso mi sembra che sia stato fatto in maniera particolarmente fluida e funzionale alla storia. (…) La presenza di un’azienda vera, molto radicata nel territorio, (…) e di una Scuola del Cioccolato che è un ambiente del tutto eccezionale (…)  è stata una grande occasione”.

La commedia ha grande successo in questo periodo, vedete il pericolo dell’invasione? Su cosa andrete ad arare questo terreno già molto sfruttato? Avete degli stratagemmi?

M. C.: “La notizia che siamo tornati ad avere un mercato particolarmente spumeggiante nelle ultime due, tre settimane (…), è buona per tutti. (…) Ci sembra, rispetto alla commedia uscita la scorsa settimana (I soliti Idioti), che la nostra abbia un target diverso, quindi che possano coesistere senza cannibalizzarsi. (…) Indubbiamente in questo momento le commedie sembrano andare incontro al gusto del pubblico e noi produttori cerchiamo di trovare contesti nuovi, divertenti, con cast che possano combinare attori già molto conosciuto con altri da lanciare”.

F. B. “Sugli stratagemmi con cui trattare la commedia, io personalmente cerco di non usarne nessuno, oppure di usare il modo più semplice: fare cose che mi piacciono e in cui credo. Ho iniziato circa vent’anni fa a scrivere commedie basate sull’intreccio e sulla storia e non sulle gag, in un periodo in cui era molto difficile farle, mi tornavano tutte indietro. Adesso questo genere funziona, ma io continuo a fare quel che facevo vent’anni fa (…). Mi piace questo genere, mi diverte. Se ci sarà un eccesso, lo lascio valutare ai produttori. Come autore il mio compito è scrivere storie che mi sembrano interessanti e belle”.

Un vostro commento sulla commedia interraziale, tendenza molto seguita, che anche qui è l’elemento forte.

F. B.: “Non c’è nessun trend interraziale, per quanto mi riguarda. Quando abbiamo fatto il primo Lezioni di cioccolato, non ricordo commedie italiane che trattassero il tema interraziale. Mi pare fosse la prima, dopodiché col sequel abbiamo continuato su questo tema, ma non certo perché intanto ne sono uscite altre”.

A. F.: “In realtà il problema della prospettiva interraziale non me lo sono mai posto, ho cercato di rappresentare la normalità, quella della nostra società attuale – io stesso ho (…) dei fratelli adottati (…) – più che giocare sull’interrazialità, sulla scoperta del diverso”.

Argentero, ogni volta che sei sul grande schermo aggiungi qualcosa, sei sempre più sciolto, brillante; di contro, mi pare che tu stia ancora cercando un equilibrio in tv (mi riferisco a “Le Iene”). Ti trovi più a tuo agio a lavorare nel cinema, dove hai a disposizione dei personaggi, che in tv?

L.A.: “Quella con “Le Iene” è un’incursione in un mondo che non conosco. Grazie anche alle persone che sono qui, che hanno deciso di scommettere su di me, faccio film da qualche anno ormai, mentre la tv è una cosa che non avevo mai fatto prima, l’avevo solo subita. Questa è la prima esperienza che mi è capitato di fare e rimarrà un’incursione. Non è un cambio di direzione, (…) non è la rotta verso un altro lido. Quello che mi piace fare  è recitare e credo che continuerò a farlo, se me ne daranno la possibilità. Quindi, se non ho trovato un equilibrio come sembri suggerire, è perché forse non l’ho cercato veramente”.

Fabio Bonifacci, ti sei mai chiesto quale fosse il segreto del successo di molte tue sceneggiature, e in particolare del primo Lezioni di cioccolato? Hai cercato di replicarlo in questo secondo “capitolo”?

F. B.: “No, assolutamente no, anche perché (…) non mi percepisco affatto come un autore di successo, o almeno sempre molto meno di quello che vorrei. Cerco di fare ciò che mi sembra abbia senso fare e che mi diverte scrivere: devo ridere mentre scrivo. (…) Allora capisco che sto facendo la cosa giusta. Altre considerazioni complicate non ne faccio”.

Mi è sembrato di vedere le influenze di qualche film di Bollywood, dove in effetti ci sono matrimoni interraziali. Un commento su questo?

A. F. “Sono molto felice di aver fatto questo film perché difendo una convinzione non comune in Italia: “da grande” voglio fare il regista, non l’autore. Sono convinto che sia possibile, come in tutto il mondo, essere una parte dell’ingranaggio. Quindi, sicuramente molte cose di Bollywood le ho viste, ma semplicemente per rappresentarle in un modo diverso e più colorato rispetto alla commedia solita. Mi sono sforzato di lavorare sui colori, le cromie del cioccolato, le cromie dei sentimenti che rappresentavano. Sotto quel profilo sì, ci può essere stato qualche riferimento. Per altri versi, no, ad esempio non avevamo un matrimonio, ma la scoperta di un amore.

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