Ci sono pochi dubbi sul fatto che l’intelligenza artificiale sia oggi uno degli argomenti che più interessano – in vari modi – l’industria cinematografica, in particolare quella statunitense. Solo negli ultimi anni sono stati portati al cinema o in piattaforma numerosi film che ragionano su questa nuova presenza da più punti di vista, ora benevoli ora ricchi di sospetto. In generale, però, ogni film che ha l’AI come primario argomento, parla in realtà di noi umani e di ciò che ci rende così attratti da questa nuova entità. Ne è un esempio anche Companion, il film diretto dall’esordiente Drew Hancock e prodotto da Zach Cregger, distintosi come regista di Barbarian.
In questo caso, si parla di intelligenza artificiale utilizzata a scopi relazionali, per sopperire a incapacità dell’essere umano di stabilire contatti reali con le persone accanto a sé. Ma si parla anche di avidità, di egoismo, di manipolazione, ovvero – come anticipato – di noi umani, facendo esperienza di tutto ciò proprio attraverso lo sguardo ingenuo di Iris, una ragazza-robot programmata per non mentire ed essere completamente devota all’umano a cui viene abbinata. Nulla di nuovo né di non già trattato, come si può intuire, ma con quel pizzico di buon intrattenimento che regge il tutto.
La trama di Companion
Protagonista del film è dunque Iris (Sophie Thatcher, vista in The Boogeyman e Yellowjackets), che insieme al suo compagno Josh (Jack Quaid, visto in The Boys) si appresta a trascorre qualche giorno nella più completa tranquillità in una casa immersa nei boschi, proprietà di amici di lui. L’atmosfera è pacifica e il relax sembra assicurato. Ma naturalmente le cose non sono come sembrano e il tutto prenderà una piega inaspettata, che tra sangue e tradimenti porterà Iris a scoprire alcune incredibili verità su di sé e su chi la circonda.
Un segreto di Pulcinella
C’è un problema a monte con Companion. Quando si intraprende la visione del film, ci si accorge di come sia stato concepito per far sì che la prima mezz’ora faccia rimanere lo spettatore in un territorio d’ambiguita e incertezza rispetto a quelli che potrebbero essere gli sviluppi successivi. Si entra così in contatto con la storia d’amore tra Iris e Josh, al loro soggiorno in una casa sperduta nel bosco proprietà di amici e al loro essere lì per trascorrere giornate all’insegna del relax e del divertimento. Una classica premessa da “film horror”, che in più momenti lancia segnali sul fatto che c’è qualcosa che non torna.
Il problema, come si diceva, è che chi ha avuto la cattiva idea di vedere il trailer del film è già a conoscenza di quello che dovrebbe essere il mistero principale del film, ovvero la natura di Iris. Ecco allora che, in questo caso, tutte le battute che in questa prima mezz’ora sentiamo fare, dal “lo sai che non puoi mentirmi” al “mi fai sentire rimpiazzabile” risultano uno stuzzicarci difficile da assecondare. Siamo in attesa che il segreto di Pulcinella venga svelato, di certo non provando quello smarrimento che il film per come è stato scritto vorrebbe suscitarci.
E se invece non si è visto il trailer? In questo caso si assisterebbe ad una prima mezz’ora che ricorda quella di Scappa – Get Out, in cui si avverte una minaccia senza però riuscire ad identificarla. Tuttavia, anche in questo caso la presenza di colpo di scena risulta fin troppo telefonata, con piccoli indizi che però stentano a generare un sincero interesse nei confronti della vicenda. C’è il mistero, certo, c’è la volontà di svelarlo, ma il coinvolgimento nel far ciò non è dei più solidi. Si ha dunque in ogni caso una base incerta per un film che, nel suo superare questo primo blocco, conferma di non avere molto da offrire.
E se l’intelligenza artificiale avesse scritto questo film?
Si prosegue dunque nella visione di Companion trovandosi dinanzi ad una storia calcolata in ogni suo aspetto, con colpi di scena, turning point e struttura delle sequenze fin troppo precisa. Una precisione che, come ironizzato da alcuni, potrebbe spingere a far pensare che l’intelligenza artificiale non sia solo l’argomento del film, ma anche lo strumento utilizzato per scriverne la sceneggiatura. Il che potrebbe in realtà rendere Companion anche più interessante, un prodotto di quelle novità che ad Hollywood si stanno cercando di combattere con grande intensità.
Sarebbe però un esempio perfetto di come un’estrema precisione nei confini e nelle linee guida di una storia scritta dall’AI non porti a nulla di poi così buono. Il resto di Companion è infatti un racconto che, anche qui a dispetto di quanto promesso dal trailer, risulta meno violento e divertente di quello che si credeva e che – se non fosse per alcune deviazioni effettivamente impreviste e convincenti – si potrebbe ritenere facilmente dimenticabile. Oltre alle deviazioni di cui si è accennato, ci sono però anche altri elementi di un certo fascino, a partire dall’interpretazione di Sophie Thatcher, convincente sia nel suo essere inizialmente spaventata che poi nel suo divenire determinata nella sua vendetta.
In particolare, però, risulta memorabile l’entrare in possesso di Iris del dispositivo che la controlla e ne stabilisce timbo vocale, grado di intelligenza e così via. Ecco, quando il film si prende una “pausa” dal racconto e gioca con la natura del personaggio, allora si fa leva su aspetti realmente accattivanti. D’altronde, in questo caso il nostro sguardo coincide con quello di un androide in fase di presa di coscienza di sé stesso, il che permette di esplorarla adeguatamente e guardare al racconto e ai suoi protagonisti con un punto di vista diverso. Ed è proprio a partire da qui che emerge dunque il parlare di noi attraverso la tecnologia del film.
Quello che Companion ci dice di noi
Proprio come ci ha meravigliosamente raccontato Lei oltre un decennio fa e il thriller M3GAN più recentemente, il nostro affidarsi alle nuove tecnologie per sopperire alle nostre mancanze emotive dice molto più di noi di quanto non dica sui prodigi dell’AI. Ci si trova infatti in una condizione per cui “la nostra disponibilità a interagire con l’inanimato non è dovuta ad un inganno, bensì alla voglia di colmare gli spazi vuoti” (Sherry Turkel, Insieme ma soli). È ciò che avviene anche in Companion, con Josh che confessa di essere un outsider incapace anche di trovarsi una vera compagna di vita.
Ma in particolare, sono l’avidità e le menzogne dei protagonisti umani a descriverli maggiormente, fornendo quindi un ritratto dell’umanità tutt’altro che positivo. Di nuovo, rimaniamo nel niente di nuovo e soprattutto nel niente di non già trattato dai film poc’anzi citati o anche dal bellissimo Ex Machina, ma è comunque interessante notare come nel giro di qualche anno lo sguardo si stia spostando da quello dei protagonisti umani a quello dei personaggi animati dall’AI. È questo aspetto, unito ai validi elementi precedentemente menzionati, che pur al netto dei difetti fanno di Companion un film che, pur non avendo poi molto da dire, qualcosa quantomeno ci bisbiglia.
Companion
Sommario
Companion offre un racconto piuttosto semplice, fortunatamente ravvivato da alcuni colpi di scena che deviano dall’eccessivamente prevedibile. Si rimane però nel territorio del niente di nuovo e soprattutto del niente di non già trattato. Pur non essendo poi mai né del tutto horror né del tutto commedia, ciò non toglie che visto senza pretese offre un discreto intrattenimento.