Andrea Magnani torna a dirigere con La lunga corsa, scegliendo come protagonista il giovane Adriano Tardiolo, che esordì con successo nel 2018 in Lazzaro felice di Alice Rohrwacher. Accanto a lui, nel ruolo di una bislacca figura “paterna”, Giovanni Calcagno. Così, dopo Easy – Un viaggio facile facile, suo esordio nel lungometraggio del 2017 con Libero De Rienzo e Nicola Nocella, Magnani prova a dar vita a una commedia dai toni surreali, quasi una favola sospesa nel tempo e nello spazio.
La trama de La lunga corsa
Giacinto, Adriano Tardiolo, è cresciuto in carcere, suo malgrado. I genitori, infatti, sono due detenuti e fin da piccolo Giacinto considera il mondo dietro le sbarre casa sua. Quello che per tutti è un luogo di reclusione e privazione della libertà diventa per lui anche il suo parco giochi e la sua finestra, seppur molto parziale, sul mondo. In questa crescita è aiutato dal capo della polizia penitenziaria, Jack, Giovanni Calcagno, che nonostante il carattere schivo, lo prende a ben volere. Così fa anche la direttrice del carcere, Barbora Bobulova, con cui Giacinto scoprirà di avere più di qualcosa in comune. Sua madre, invece, si occupa poco di lui e con difficoltà di sé stessa. Giacinto però, non sa come affrontare il mondo di fuori. Più diventa grande e più questa difficoltà si fa ingombrante. Al compimento dei diciotto anni si troverà a dover scegliere cosa fare della propria vita. Forse seguire l’esempio di Jack, la sua figura di riferimento? O forse trovare una strada che sia solo sua? Provare a camminare con le sue gambe, o magari a correre?
Una commedia stralunata e malinconica
La lunga corsa si autodefinisce una commedia stralunata. Come il precedente lavoro, un viaggio che partiva da un autoisolamento e poi si apriva verso il mondo, anche qui c’è una condizione di chiusura e poi un confronto arduo con il mondo esterno, nel quale il protagonista fatica ad entrare e a trovare una collocazione. L’impronta del racconto è leggera, con una nota di eccentricità e virate verso il surreale. A tratti divertente, ma lungi dall’essere francamente comico, il film fa sorridere, ma al tempo stesso si è accompagnati da una sottile vena di malinconia.
Adriano Tardiolo, da Lazzaro felice a La lunga corsa
La lunga corsa è imperniato tutto sul suo protagonista, Adriano Tardiolo, che sembra portare con sé il personaggio che lo aveva lanciato con Lazzaro felice. Anche qui, infatti, torna a toccare le corde che gli sono congeniali, interpretando un giovane ingenuo e stralunato, dal buon cuore e dai sentimenti puri, proprio come per la pellicola di Rohrwacher. Mentre però, il personaggio di Lazzaro era il punto focale all’interno di una costruzione variegata e complessa, con molteplici livelli di lettura, anche indipendentemente dal protagonista, qui il regista e sceneggiatore Magnani lavora forse poco sul contesto. Al mondo fuori dal carcere, ad esempio, dedica brevi momenti e qualche ironica frecciata, mentre sarebbe valsa la pena di approfondire di più, con la capacità che lo stesso regista ha dimostrato di avere. L’ambientazione in un luogo unico, uno spazio chiuso, povero di stimoli e la penuria di personaggi accanto a Giacinto, non aiutano. Di fatto, a parte Jack – Giovanni Calcagno è coprotagonista convincente – vi sono solo la detenuta Rocky – nell’efficace interpretazione di Nina Naboka – e la direttrice del carcere Barbora Bobulova ad accompagnare il protagonista. Tardiolo dunque ha la responsabilità di trasportare lo spettatore nella sua favola sbilenca e non sempre vi riesce. Quella di Giacinto è un’esistenza fatta di pochi elementi, cui si aggiunge la corsa, unico passantempo che appare possibile. Questa sembra poter rivoluzionare tutto, scuotere una certa fissità che caratterizza la vita del protagonista, ma forse non viene sfruttata in tutte le sue potenzialità, pur riuscendo a vivacizzare la seconda parte del racconto. Il film ha momenti ricorsivi e fatica così a diventare coinvolgente.
A La lunga corsa manca una spinta
Il nuovo lungometraggio di Andrea Magnani appare come una sorta di favola moderna e leggera. Un viaggio di formazione, al quale però manca una spinta in più per essere veramente coinvolgente e far arrivare lo spettatore al cuore del messaggio. Resta comunque una riflessione garbata sulla condizione della reclusione, sul concetto di libertà, ma anche sul pregiudizio e sul carattere spesso fuorviante dell’apparenza, veicolata da uno stile poetico e a tratti surreale. Il regista non esita a schierarsi dalla parte degli outsider come Giacinto, che forse troverà una sua via, eccentrica, bislacca, ma sua. A chiusura del film, una dedica sentita a Libero De Rienzo, anche lui un outsider nel panorama cinematografico italiano, che avrebbe dovuto far parte del cast, ma è prematuramente scomparso nel 2021. La lunga corsa è una coproduzione Italia-Ucraina, prodotto da Pilgrim Film, Bartleby Film, Fresh Production Group, con Rai Cinema e distribuito da Tucker Film, sarà nelle sale italiane dal prossimo 24 agosto.