Alain Guiraudie, regista francese de Le Roi de l’évasion e Lo sconosciuto del lago, torna dal 16 gennaio nelle sale italiane con L’uomo nel bosco (Miséricorde). Coprodotto da Albert Serra, la sua ultima fatica dietro la cinepresa è un brillante mix di thriller rurale, dramma di provincia e commedia picaresca, sulla scia dell’eccellente As Bestas di Sorgoyen.
In un’apparentemente tranquilla cittadina di provincia francese, Saint-Martial, dove sembra non vivere nessuno tranne la decina di protagonisti, si svolge questo film mutevole che all’inizio sembra prediligere un approccio drammatico alla parola carica di significato usata per il titolo originale (Misericordia), ma che a poco a poco si rivela un brillante esercizio comico con una buona dose di humour nero e di irriverenza anticlericale, entrambe specialità del suo regista, il grande Alain Guiraudie.
Ritorno al villaggio che non c’è
Tutto inizia con l’arrivo di un’auto nel villaggio in questione: il conducente è Jérémie (Félix Kysyl), un giovane rientrato al paesino natale per prendere parte al funerale dell’anziano panettiere del villaggio, che si fermerà per qualche giorno a casa della vedova, Martine (Catherine Frot). Il rapporto di Jérémie con il defunto – pare che da adolescente lavorasse nella sua panetteria – e con la sua famiglia non è del tutto chiaro, ma notiamo fin da subito cmhe ha un rapporto caloroso con Martine e uno più teso con il figlio Vincent (Jean-Baptiste Durand) e con il solitario Walter (David Ayala), un amico di famiglia, entrambi in qualche modo emarginati.
Man mano che Jéremie prolunga la sua permanenza nel villaggio e che i fratelli si innervosiscono a vicenda e lo affrontano – ognuno a modo suo, l’uno con un combattimento fisico impressionantemente appiccicoso, l’altro accampando scuse, fuggendo o bevendo troppo – la tensione inizia a crescere, così come le confusioni sessuali e altri misteri. A loro si aggiunge il curiosissimo prete locale, Padre Grisolles (Jacques Develay), che sembra essere ovunque e, quando avviene un atto criminale, la polizia avrà gli stessi poteri di aprire le porte delle stanze dei sospettati quando dormono.
Tutti vogliono Jérémie
L’uomo nel bosco è un film tanto intrigante quanto scomodo: mette lo spettatore tra l’incudine e il martello, costringendolo a entrare nella situazione, oppure invitandolo o ipnotizzandolo, piuttosto, grazie al puro intrigo, squisitameante costruito. Fin da subito si capisce che c’è qualcosa di molto sbagliato e che ci sono segreti che verranno alla luce. C’è, ovviamente, un interesse malsano e morboso nel volerli scoprire, per quanto oscuri possano essere. Più sono perversi, meglio è.
Religione, sesso, segreti e bugie di ogni tipo vengono alla luce in una combinazione molto acida che Guiraudie gestisce con eleganza e leggerezza. Per qualche motivo non del tutto chiaro, Jérémie suscita passioni nel villaggio, e nessun sesso o credo può resistere al suo fascino misterioso. Come in Strangers By the Lake, sesso e crimine si mescolano in modi impensabili nell’opera di questo regista francese iconoclasta, libero e felicemente irrispettoso.
Chiusure che diventano spazi labirintici
I film di Guiraudie tendono sempre a concentrarsi su una parte della Francia, sulla sua terra natale, l’Occitania, e da lì si proiettano in luoghi sconosciuti, in un mistero mai definito. La storia che racconta L’uomo nel bosco non si allontana di una virgola dal realismo, eppure nega la realtà rappresentata per avvolgerla in un’atmosfera strana e inquietante, vicina alla fiaba o alla favola. Il bosco in cui si svolge gran parte del film sembra essere un luogo astratto costruito in modo frammentario, attraverso inquadrature che lo delimitano ma che lo aprono anche a molteplici interpretazioni, così come la fila di alberi che lo compongono sembra sempre nascondere qualcosa. La casa della vedova, così come la stanza in cui vive il protagonista, è uno spazio labirintico che non viene mai mostrato nella sua interezza. E il protagonista stesso, intrappolato in questo clima ossessivo, non può fare altro che vagare in questi spazi come se non potesse sfuggirvi, come se fosse condannato a vagarvi per tutta la vita.
In questo microcosmo opprimente, in cui finisce per svolgersi una commedia dell’intreccio dai toni piuttosto cupi, Guiraudie introduce diverse questioni apparentemente trascendentali, che nelle sue mani finiscono per costruire una sottile e assurda metafisica: il desiderio porta alla notte, che a sua volta porta alla morte. E questi tre temi, intrecciati in un rondò dalla struttura perfetta ma pieno di punti di fuga, danno vita a una ragnatela che contraddice la pulizia delle inquadrature: il mondo è un luogo apparentemente semplice in cui tutto cospira per complicarci la vita. Tuttavia, la misericordia, intesa come canalizzazione del desiderio per ricomporre l’ordine perduto, è sempre in grado di offrire consolazione. Il protagonista può finire intrappolato nel villaggio, ma raggiunge anche una certa pace interiore: la felicità consiste in quell’equilibrio tra l’accettazione della morte e il traboccare della vita.
L'uomo nel bosco
Sommario
La nuova opera di Guiraudie è una delle più accessibili della sua intera filmografia, senza rinunciare comunque al suo sguardo acuto, incisivo e provocatorio.