Witches, recensione del documentario di Elizabeth Sankey

Il nuovo esperimento della talentuosa documentarista riflette in maniera audace sul rapporto tra maternità e stregoneria

-

Dopo il successo di Romantic Comedy (2020), in cui mescolava frammenti di film romantici a un’attenta analisi accademica per riconsiderare opere come Harry ti presento Sally e L’amore non va in vacanza alla luce del loro impatto sulle aspettative nella vita di tutti i giorni, Elizabeth Sankey torna con un nuovo progetto altrettanto ambizioso. Con Witches, dal 22 novembre disponibile in streaming su MUBI, si concentra su un altro insieme di archetipi cinematografici: le figure femminili legate alla magia e all’occulto.

 

Attraverso un’ampia selezione di immagini iconiche tratte da film come Il mago di Oz, Amore & Incantesimi e Giovani Streghe, il documentario di Sankey solleva interrogativi incisivi sul ruolo delle donne, sulla salute mentale e sulla maternità, intrecciando temi personali e universali in un’opera visivamente e intellettualmente coinvolgente.

- Pubblicità -
 
 

Caccia (volontaria) alle streghe dell’oggi

Spinta dalla sua passione di lunga data per il cinema, come dicevamo, la regista utilizza un’ampia selezione di materiale d’archivio che attraversa l’intera storia del grande schermo, da Il mago di Oz a Ragazze interrotte fino a Rosemary’s Baby. L’utilizzo di questi frammenti specifici è volto al lancio di un messaggio potente: la rappresentazione culturale delle streghe riflette molto di più sul modo in cui la società percepisce le donne, la maternità e la salute mentale. Intrecciando le proprie esperienze personali con interviste ad accademici e donne che condividono vissuti simili, Sankey inserisce il tutto in un contesto storico più ampio, legato alla caccia alle streghe del passato e al persistere di norme culturali contemporanee che continuano a opprimere il femminile. In questo senso, Witches si distingue come un’intensa testimonianza personale, un’appassionata celebrazione del cinema e una lezione essenziale di storia femminista.

Il documentario diventa per Sankey un veicolo per condividere le sue dolorose esperienze con la psicosi post-partum. Durante la pandemia, lei e il suo neonato hanno affrontato un ricovero in un reparto psichiatrico, un periodo che lei racconta con una sincerità che trascende il termine “coraggiosa”. Un sostegno fondamentale le è giunto da Motherly Love, un gruppo WhatsApp di madri accomunate dall’esperienza di malattie mentali post-partum. Come anticipavamo, Witches raccoglie testimonianze potenti, sia di donne che di esperti del settore, che offrono uno sguardo crudo e realistico su queste condizioni. Tra queste, spicca la storia di David Emson, unica voce maschile che fa capolino nel documentario, ricordando il tragico giorno in cui la moglie, affetta da psicosi post-partum, si tolse la vita dopo aver ucciso la loro neonata, Freya, nel 2001. Catherine Cho, autrice del memoir Inferno: A Memoir of Motherhood and Madness, racconta invece di aver vissuto visioni terrificanti, popolata da demoni.

La talentuosa cineasta arricchisce poi la narrazione con documenti storici sui processi alle streghe, sollevando l’ipotesi affascinante che alcune donne preferissero confessare la stregoneria, accettando la condanna al rogo, pur di sottrarsi ai tormenti mentali seguiti al parto. Tuttavia, nonostante la forza di questa tesi, il tentativo di coniugare tale prospettiva storica con le dinamiche pop-culturali esplorate nel documentario, come quelle legate ad alcuni dei film citati in apertura, rimane parzialmente irrisolto. Vale comunque la pena notare che, sebbene i due temi principali del film sembrino richiedere spazi narrativi distinti, l’opera rimane una pionieristica indagine sulla psicosi post-partum.

Pur con qualche disomogeneità, il lavoro di Sankey si conferma senza dubbio di straordinaria rilevanza e impatto. Witches, infatti, affronta il persistente stereotipo secondo cui la maternità dovrebbe garantire alle donne un amore immediato e sconfinato per i propri figli, considerandola un’esperienza magica e appagante. Questa narrazione idealizzata, radicata nella società, ha però danneggiato gravemente le donne che non si riconoscono in questa visione, facendo sentire isolate coloro che non percepiscono la maternità come un completamento della propria vita.

Scena dal documentario Witches (2024)
Scena dal documentario Witches (2024) – Cortesia di MUBI

Il rogo come “alternativa” alla tortura mentale e sociale

Il film intreccia questa analisi personale con una riflessione storica e culturale: Sankey esplora come, in passato, le donne fossero spesso etichettate come “streghe” quando osavano sfidare l’autorità maschile. Queste figure erano spesso le guaritrici delle loro comunità, emarginate e perseguitate, i cui disturbi mentali, anziché essere compresi, venivano demonizzati. La depressione, l’istinto suicida e il senso di oppressione erano visti come segni di stregoneria, e non come manifestazioni di sofferenza interiore.

Witches diventa così un’analisi intima e universale che collega la rappresentazione delle streghe nella cultura pop alla condizione delle donne, ieri e oggi. Sankey decifra, con uno sguardo femminista, il confine tra la “strega buona” e la “strega cattiva”, esplorando ciò che queste immagini rivelano sul modo in cui la società tratta la salute mentale e la maternità.

Quando i due temi principali si intrecciano, emergono spunti illuminanti: Sankey evidenzia come, nel corso della storia, le donne abbiano spesso sofferto in silenzio, prive del linguaggio necessario per esprimere il dolore legato alle malattie mentali post-partum. In un passato oscuro, molte confessavano la stregoneria, preferendo il rogo alla tortura psicologica e sociale derivante da una condizione incomprensibile per la loro epoca. Tuttavia, il passaggio tra i fatti storici e le esperienze contemporanee è spesso poco fluido, con salti narrativi che lasciano i concetti chiave in sospeso.

Un esperimento audace che merita la visione

Con Witches, Elizabeth Sankey tenta di unire una narrazione educativa e profondamente personale, ma il risultato oscilla tra momenti d’impatto e una struttura sbilanciata. Il documentario si propone di collegare la rappresentazione e la storia delle streghe con le malattie mentali post-partum, ma impiega tempo a trovare un equilibrio, lasciando spesso agli spettatori il compito di colmare i vuoti narrativi.

La depressione post-partum è il cuore pulsante del discorso, analizzata con una schiettezza rara. Attraverso le interviste, molte donne condividono le loro esperienze, in alcuni casi raccontandole per la prima volta; il termine “stigma” ricorre spesso, risuonando con forza, mentre il senso di colpa e la vergogna emergono chiaramente dai volti delle intervistate, testimoniando l’impatto devastante di questa condizione. Nonostante i suoi limiti, Witches rimane un esperimento audace, capace di aprire un dialogo su temi raramente affrontati con tale profondità.

Witches
3

Sommario

Elizabeth Sankey esplora i tropi cinematografici delle donne legate all’occulto in un affascinante documentario che intreccia salute mentale e maternità.

Agnese Albertini
Agnese Albertini
Nata nel 1999, Agnese Albertini è redattrice e critica cinematografica per i siti CinemaSerieTv.it, ScreenWorld.it e Cinefilos.it. Nel 2022 ha conseguito la laurea triennale in Lingue e Letterature straniere presso l'Università di Bologna e, parallelamente, ha iniziato il suo percorso nell'ambito del giornalismo web, dedicandosi sia alla stesura di articoli di vario tipo e news che alla creazione di contenuti per i social e ad interviste in lingua inglese. Collaboratrice del canale youtube Antonio Cianci Il RaccattaFilm, con cui conduce varie rubriche e live streaming, è ospite ricorrente della rubrica Settima Arte di RTL 102.5 News.

ALTRE STORIE