Selma: recensione del film di Ava DuVernay

Selma è il primo film non indipendente di Ava DuVernay, dopo il successo di Middle of Nowhere. David Oyelowo è Martin Luther King e il lavoro racconta pochi mesi della sua vita, storici non solo per gli Usa: dal premio Nobel per la Pace nel dicembre ’64 all’arrivo a Selma, in Alabama, alle tre storiche marce con cui, assieme a un gruppo di attivisti per i diritti civili, portò l’allora presidente Johnson (Tom Wilkinson) a firmare il Voting Rights Act per porre fine alle discriminazioni che di fatto impedivano ai neri, specie al sud e nell’Alabama del governatore segregazionista Wallace (Tim Roth), di votare, come sancito dalla legge. In particolare la prima marcia da Selma a Montgomery (7 marzo ’65), la cui brutale repressione fu trasmessa in diretta tv, risvegliò le coscienze di migliaia di americani bianchi e neri, fu un punto di svolta della lotta e portò al successo finale: la grande marcia del 21-25 marzo e la firma del Voting Rights.

 

Selma: luogo simbolo della lotta per i diritti civili, ma più in generale della presa di coscienza dell’intera America, impersonata a livello più alto dal suo presidente. È questo l’approccio che la regista sceglie, tratteggiando una battaglia di popolo, più che il trionfo di un solo uomo – Martin Luther King – e della sua strategia politica. Il film è un racconto corale intenso, è la scoperta di uomini e donne che hanno reso possibile il cambiamento. Storie semplici rese con partecipazione da attori tutti molto coinvolti, dal forte impatto emotivo: gli stretti collaboratori di Luther King, come Amelia Boynton o James Bevel, e i cittadini di Selma come Jimmie Lee Jackson, John Lewis, oggi deputato, e Annie Lee Cooper (Oprah Winfrey). Splendido cameo di Tim Roth, che dà corpo invece al feroce cinismo del governatore Wallace.

Selma filmDunque non tanto un film su King, anche se il suo ruolo di catalizzatore e leader carismatico è indiscusso. Qui, poi, abbiamo un King inedito, anche privato, persona comune: la famiglia, le tensioni con la moglie Coretta (Carmen Ejogo), i dubbi, la stanchezza. Oyelowo tiene insieme il leader e l’uomo e rende al meglio il fervore del pastore nei suoi celebri discorsi.

Soluzioni visive interessanti, uso espressivo della luce specie sui volti e uno stile personale prevalgono su qualche tocco di retorica; un approccio pragmatico traccia la relazione tra King e Johnson; il quadro è complesso, e comprende anche il costante controllo dell’FBI sull’attività di King, ma funziona e colpisce. D’impatto le sequenze sul ponte Edmund Pettus (il film è girato nei luoghi originali della vicenda), che includono immagini di repertorio. Il lavoro è in ideale continuità con pellicole come The Butler e 12 anni schiavo, pluripremiato agli Oscar 2014, che di recente hanno portato al cinema il tema del “riscatto nero”.

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Scilla Santoro
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Scilla Santoro
Giornalista pubblicista e insegnate, collabora con Cinefilos.it dal 2010. E' appassionata di cinema, soprattutto italiano ed europeo. Ha scritto anche di cronaca, ambiente, sport, musica. Tra le sue altre passioni, la musica (rock e pop), la pittura e l'arte in genere.
selma-recensione-del-film-di-ava-duvernaySoluzioni visive interessanti, uso espressivo della luce specie sui volti e uno stile personale prevalgono su qualche tocco di retorica; un approccio pragmatico traccia la relazione tra King e Johnson; il quadro è complesso, e comprende anche il costante controllo dell’FBI sull'attività di King, ma funziona e colpisce.