Ospite a Roma per presentare il suo
Steve
Jobs, il regista premio Oscar Danny
Boyle ha risposto alle domande degli addetti ai lavori,
che hanno assistito alla proiezione del suo ultimo film, dal
prossimo gennaio 2016 nelle nostre sale. A introdurre una
conversazione divertente e interessante è stata la domanda
d’obbligo, quando si tratta di un personaggio così celebre e
controverso come Jobs.
Cosa pensa Danny Boyle di
Steve
Jobs?
L’immagine che avevo di lui era
quella che vedevo durante il lancio dei suoi prodotti, fare questo
film ha significato indagare cosa c’era dietro quegli eventi. Jobs
non è il mio eroe, sono molto più simile a Wozniak e alla sua
filosofia, ma credo abbia profondamente cambiato il nostro mondo.
Nel bene e nel male. Sono le persone come Steve
Jobs che governano il mondo, molto più che i
politici ormai. È importante parlare di questi personaggi e
dobbiamo poterlo fare senza essere controllati, senza la necessità
di santificarli. I veri eroi, per me, sono quelli che offrono dei
beni inestimabili liberamente e gratuitamente, pensate a chi tiene
in piedi Wikipedia. Questi sono gli eroi che ammiro.
Il film ha una costruzione
teatrale in quanto è ambientato sempre su un palcoscenico, o dietro
le quinte di esso. Come ha lavorato alla messa in scena dello
script?
È stato affascinante mettere in
scena una sceneggiatura così, avevamo 200 pagine di dialogo senza
nessuna descrizione. Ho fatto molto teatro e lo amo, mi piacciono
le sue forme, ma è uno spettacolo che si guarda da lontano, a
differenza del cinema che invece è un’esperienza davvero immersiva,
anche se si tratta di immagini registrate prima. Volevo dare allo
spettatore un’esperienza cinematica interattiva. Per questo volevo
a tutti i costi Michael Fassbender, perché è un attore che riesce a
centrare il punto, e con lui ho avuto una squadra di
protagonisti magnifica (tra cui Kate Winslet e Jeff Daniels,
ndr).
Seguendo quale criterio
sono stati scelti i tre momenti importanti nel film che strutturano
tutto il racconto?
I periodi scelti secondo me
sono i momenti fondamentali della sua vita. Nel 1984 è stato
presentato il primo Mac, ha avuto un’eco importantissima e da quel
momento è cominciata a rivoluzione. Nel 1988 Jobs ha presentato
Next, un prodotto che si è rivelato un enorme fallimento ma che
allo stesso tempo è stato il suo complicato sistema di vendetta
contro chi l’aveva fatto fuori alla Apple quattro anni prima. Con
questo fallimento lui è tornato di nuovo in gioco. Infine il 1998,
quando venne lanciato l’iMac, un oggetto che ha cambiato tutto. Fu
il primo vero computer che la gente voleva possedere non solo per
farci qualcosa ma perché era bello, la gente lo mostrava in casa
come parte dell’arredamento per fare colpo, lo tenevi sulla
scrivania come una bella lampada.
La sceneggiatura così densa
e presente farebbe pensare a Steve
Jobs come a un film di Aaron Sorkin, non a un film
di Danny Boyle. Si sente un po’ come Wozniak? Relegato al reparto
tecnico?
Wozniak è stato sempre presente
sul set, è stato gentile venendo ad aiutarci. Ora non parla più di
computer ma adora fare trucchi di magia. Lui e Seth Rogen, che lo
interpreta nel film, hanno legato molto, sono diventati molto
amici. Li vedevo uscire insieme e notavo alcune somiglianze fra le
loro vite. Anche Seth, che è un grande attore comico, sente che non
gli verrà mai riconosciuto lo stesso credito degli attori
drammatici. Per lui è stata un’illuminazione. Parlando di Aaron,
beh, ero contentissimo di poter lavorare con lui. Questa
sceneggiatura era stata pensata per Fincher, come era già successo
con The Social Network, poi non so cosa sia successo e David non
c’è più stato e quindi il compito è stato affidato a me. Ho
riguardato The Social Network prima di iniziare le riprese e mi
sono reso conto è che davvero un’opera d’arte.
Pur raccontando la vita di
un personaggio famoso, Steve Jobs è un biopic molto diverso dalla
forma classica che siamo abituati a vedere spesso negli ultimi
anni…
Hollywood ha subìto una vera e
propria mancanza di sicurezza nelle storie originali. Per questo
vediamo sempre più sequel, reboot. Quest’anno abbiamo avuto
Jurassic World, Fast and Furious, Spectre e a breve arriverà
Star
Wars. Sono tutti sequel. Allo stesso modo se da una parte ci
sono grandi film ad alto budget, dall’altra ci sono quelli che
puntano sulle grandi storie e i grandi personaggi, ed ecco i
biopic. Non credo che il mio film sia un classico biopic, abbiamo
corso dei rischi allontanandoci dalla forma usuale di racconto e
alternando diversi formati. La prima parte del film è girata in 16
millimetri, la seconda in 35, la terza è tutta in digitale. Ci
siamo messi alla prova con i ritmi e la qualità dell’immagine,
sperando di riuscire a fare qualcosa di diverso.
Nel film c’è molta
atenzione al concetto di separazione tra brava persona e genio. È
possibile essere una persona per bene ed essere al contempo un
genio?
C’è un momento bellissimo nel
film in cui Woz chiede a Steve cosa sa fare lui; non è un
programmatore, non è un ingegnere, apparentemente non sa fare
nulla, eppure tutti dicono che il genio è lui. A volte penso a Jobs
come a un regista: noi non riprendiamo, non sistemiamo
concretamente le luci, ma abbiamo l’idea, il quadro generale. Come
dice Steve nel film ‘Suoniamo l’orchestra’.
E senza dubbio Boyle, questa volta
ha diretto una magnifica orchestra, supportato da un primo violino
di prim’ordine, la sceneggiatura di Sorkin, e da fiati da primi,
tutto il cast capeggiato da uno strepitoso Fassbender e da una
luminosa Winslet.