Dopo due anni da quella terribile fine del primo ciclo, torna House of the Dragon, dal 17 giugno disponibile su NOW, con un nuovo episodio ogni lunedì.
House of the Dragon, dove eravamo rimasti
Dicevamo, il terribile finale di stagione 1, in cui il giovanissimo Lucerys, erede al titolo di Lord delle Maree e secondogenito di Rhaenyra, trova la morte, insieme al suo drago Arrax, per mano del temibile Vhagar, il più grande dei draghi in vita nei Sette Regni, cavalcato dall’altrettanto temibile Aemond Targaryen, suo zio. Una scena potente e dolorosa, se pensiamo al fatto che non solo è causa di un lutto inqualificabile e cieco per la madre, Rhaenyra Targaryen, ma è a tutti gli effetti l’atto di guerra che i Neri e i Verdi aspettavano per poter aprire i conflitti.
House of the Dragon 2, la trama
Così, la seconda stagione di House of the Dragon comincia con la guerra. Una guerra pianificata, attesa, caldeggiata, ma anche temuta e rimandata, sempre raccontata e quasi mai mostrata. Una fase di stallo dettata non solo dal fatto che la serie deve riposizionare i pezzi sulla sua scacchiera, ma anche dalle decisioni dei personaggi. Sebbene Rhaenyra si contenda il trono con il fratellastro Aegon, la sua vera avversaria è Alicent, che fu sua migliore amica e che adesso è la Regina Madre.
Le due donne, entrambe più sagge di quanto non siano e non mostrino gli uomini di potere a Westeros, cercano di muoversi con grande cautela; la risposta immediata sarebbe quella di scatenare la potenza dei draghi, cosa che caldeggia Daemon, ma Rhaenyra è restia, dal momento che conosce e teme la potenza delle bestie e soprattutto quello che si lasciano alle spalle (ricordate il finale di Game of Thrones?). “Ho ereditato 18 anni di pace da mio padre, Re Viserys” continua a ripetere Rhaenyra, quando ancora spera che la guerra sia inevitabile.
La Danza dei Draghi
Questa situazione di stallo permette alla narrazione di impostarsi principalmente sulle lunghe conversazioni e i concilii di guerra, in cui sembra che non si faccia altro che parlare, mentre fuori campo avviene l’azione, quella guerra che non vediamo mai. O almeno non nei primi due episodi. Lo scontro arriverà, ma bisognerà aspettare la metà della seconda stagione di House of the Dragon. E la pazienza verrà ripagata con soddisfazione, giustificando ampiamente il nome che questa guerra civile assume negli annali di storia di Westeros: La Danza dei Draghi. Prima di arrivare all’azione, però, la serie si rifugia, come accennato, nei rassicuranti saloni di fortezze e palazzi, in cui assistiamo alla guerra raccontata.
I Principi Targaryen
Ora, invece di relegare
questi momenti a puri “‘o dimo” di borisiana memoria,
House of the Dragon stagione 2 sceglie di sfruttare questi
confronti per strutturare al meglio i personaggi che fino a questo
momento erano stati poco approfonditi. Su tutti i due fratelli
Targaryen, Aegon e Aemond. Il primo, interpretato da Tom
Glynn-Carney, era apparso solo come un re riluttante nella
prima stagione, che accetta la corona; il secondo, che ha il volto
espressivo di Ewan Mitchell, era stato invece dipinto come
un devoto figlio della corona, asservito alla famiglia e piuttosto
prepotente.
Nella prima metà della seconda stagione di House of the Dragon, entrambi i personaggi crescono e si colorano di toni e sfaccettature, complici anche le buone interpretazioni degli attori: Aegon viene fuori come un giovane re ambizioso ma anche volenteroso di imparare e di fare bene, soggetto all’impulso ma anche sensibile ai cauti suggerimenti materni; Aemond invece irrompe sulla scena come ambizioso e violento, insidioso non solo per i nemici ma anche per i familiari, in combutta con Ser Criston Cole, personaggio al quale incomprensibilmente si dedica molta attenzione ma che fatica a trovare l’affetto del pubblico (complice forse il suo tradimento ai danni dell’allora principessa Rhaenyra nella prima stagione).
I figli di Alicent sono la vera scoperta
E dal momento che il
personaggio di Daemon (Matt Smith) viene relegato a una
specie di esilio pieno di incubi e visioni in un contesto separato
dalla narrazione principale (non ci addentriamo oltre per non fare
spoiler, ma speriamo che questa scelta narrativa possa poi trovare
una svolta importante per la storia in generale), è proprio Aemond
a farsi carico della quota di arguzia, cattiveria e fascino che il
marito di Rhaenyra aveva incarnato così bene nella prima
stagione.
Sono i due figli di Alicent la vera scoperta di questo secondo ciclo, che ripropone tutti i pregi e i difetti della prima stagione (comuni alla serie “madre”, Game of Thrones): l’azione è relegata a pochi momenti, di grandissima televisione, con livelli produttivi che erano inimmaginabili fino a qualche anno fa per un serie tv.
HBO sfodera gli artigli e fa fuoco sulla concorrenza. Difficile che la stagione televisiva riesca a regalare un prodotto di uguale valore per quello che riguarda spettacolo e messa in scena.
Persino il lavoro di Ramin Djawadi, così caratteristico del mondo di Westeros, si allontana un po’ di più dalle tracce familiari già ascoltate in Game of Thrones, e se i temi dedicati ai Verdi ricordano vagamente Le Piogge di Castamere, la colonna sonora di questa seconda stagione riesce a essere evocativa e originale, in un continuo crescendo emotivo che enfatizza lo spettacolo. Inoltre, la struttura della serie che non si serve più dei salti temporali, abbondanti e frequenti nella prima stagione, concede una visione maggiormente continua a ordinata.
La Regina Nera e la Regina Verde
Menzione d’onore alle due Regina, Olivia Cooke e Emma D’Arcy. A loro è affidato il compito più arduo, quello di raccontare la contemporaneità attraverso il genere fantasy, ed entrambe, in maniera diversa e coerente con le loro caratteristiche, si fanno carico delle sfumature caratteriali e morali attribuite ai loro personaggi, nel bene e nel male. Raccontano il peccato e il pentimento, la libertà e il potere di autodeterminarsi, ma anche la cautela e la gentilezza, la capacità di mettersi in dubbio, di fare un passo indietro se questo comporta la salvezza e il benessere di molti. Per quanto ormai nemiche naturali, Rhaenyra e Alicent sono ancora il cuore del racconto.
House of the Dragon – guerra tra consanguinei
Come dice la Principessa Rhaenys Targaryen (altro personaggio eccezionale con il volto della splendida Eve Best), non c’è nessuna guerra che sia più invisa agli dei che quella tra consanguinei. Eppure, La Danza dei Draghi riesce ad essere appassionante e coinvolgente e, con grande onestà e coerenza, si rivolge principalmente a quel pubblico che aveva amato le strutture narrative di Game of Thrones.
In questo caso, il racconto è più ordinato, ci sono meno personaggi da inquadrare, ma è anche difficile individuare i buoni e i cattivi, e la maggiore complessità dei rapporti trai personaggi, causata dai legami di sangue, rende tutto più crudele. Questa guerra è egoista, ottusa e determinata da ambizioni personali, non c’è onore o senso della giustizia o del dovere, la serie non si sforza di mettere in scena nessun eroe positivo, e forse proprio un questo cuore viziato risiede il fascino dei personaggi.
House of the Dragon stagione 2 mantiene le promesse fatte dal primo ciclo, riservando allo spettatore intrighi di corte e strategie di conquista, ma anche la prospettiva di un grande spettacolo, che dovrebbe arrivare nella parte finale della stagione (come da tradizione di Westeros!).