Mi chiamano Cipolla: la presentazione evento del documentario di FilmKultur e Soul Film

Nel centro culturale di Scena, l'associazione Greve61 ha introdotto il documentario realizzato da Giansalvo Pinocchio e Riccardo Baiocco

Mi chiamano cipolla evento

Nel centro culturale di Scena, collocato nel cuore verde di Roma e poco distante dalle acque del Tevere, si è tenuta la presentazione evento di Mi chiamano Cipolla, documentario di sessanta minuti prodotto da FilmKultur e Soul Film Production in collaborazione con l’associazione culturale Greve61, fondata nel 2013 da professionisti del cinema diplomati presso la Scuola d’Arte cinematografica Gian Maria Volonté. A dirigere il documentario, con protagonista Jasmin Ramovic, Giansalvo Pinocchio e Riccardo Baiocco (anche in veste di produttori esecutivi), il primo diplomato in Regia proprio alla Scuola Volonté, il secondo invece specializzato in critica cinematografica alla Scuola Sentieri Selvaggi. Ramovic, invece, che è fulcro e cuore della storia, è un rom nato in Bosnia, trasferitosi a Roma quando era bambino e che soffre di analfabetismo.

 

Il film nasce quattro anni fa proprio nella Scuola Gian Maria Volonté, per poi essere presentato nell’ambito del Torino Film Festival e proiettato anche in altre occasioni festivaliere quali il Laceno d’Oro e il Los Angeles Italia Film Festival. Inoltre, Mi chiamano Cipolla, era stato inizialmente pensato come un cortometraggio dalla durata di 34 minuti, in cui erano comprese solo le sequenze nel parcheggio della roulotte e nella casa popolare. Solo in seguito, nel 2021, dopo il COVID, le riprese sono proseguite, dando un taglio e un tono diverso a tutto il girato. E’ stata modificata la trama, alcune scene sono state tagliate e altre inserite, fino a trasformarlo nel documentario che oggi si conosce.

Poco prima della visione di Mi chiamano Cipolla, Greve 61 ha presentato il lavoro che si svolge all’interno dell’associazione e, poi, il contributo dato al documentario: “I membri dell’associazione spesso lavorano nei film e nelle attività cinematografiche, e una di queste è proprio Mi chiamano Cipolla, che la Greve61 ha sostenuto soprattutto all’inizio della lavorazione”, dicono, “lo abbiamo fatto principalmente perché era realizzato da uno dei nostri soci, ed era un lavoro interessante e soprattutto non piccolino. Per cui siamo molto felici di presentarlo.” “In questo momento stiamo rilanciando l’associazione dopo tanti anni di attività, che principalmente sono stati di promozione sul territorio di cinema, autoproduzioni, cortometraggi, facendo anche dei laboratori. Il nostro scopo è sempre stato quello di coniugare l’attività di produzione interna, anche creando rete, a quella di promozione e di attività sociale sul territorio. E poi abbiamo pensato di rilanciarci con un evento in cui potessimo conoscerci e in cui fosse presente anche un bel film (Mi chiamano Cipolla ndr).”

L’evento è dunque occasione per svolgere attività di promozione, ma si trasforma anche in un momento di aggregazione e incontro, sia con gli addetti ai lavori che con tutti coloro i quali vogliono affacciarsi a questo mondo e avere perciò un punto di contatto. Uno dei tramiti è, per l’appunto, proprio il documentario Mi chiamano Cipolla che, nella cornice di Scena, ha creato l’atmosfera giusta per spingere, chi volesse, ad addentrarsi nell’universo del cinema e dell’associazione, esprimendo le proprie idee e confrontandosi. Facendo al contempo conoscere un progetto molto toccante, nel quale vengono trattati argomenti profondi e molto attuali.

Mi chiamano Cipolla, la trama

Fiera di Roma. Jasmin Ramovic è un rom che vive in un campo fuori la Capitale insieme alla sua numerosa famiglia, con la paura costante di essere mandato via ancor prima che gli venga assegnata una casa popolare, avendo ricevuto un avviso di sfratto. Quando finalmente il Comune permette a parte del suo nucleo di trasferirsi, Jasmin, detto “Cipolla”, si trova davanti una serie di altre difficoltà, fra cui una discussione con il padre che lo caccia di casa. Mentre gira per Roma, recandosi spesso alla Comunità di Sant’Egidio, il protagonista deve fare i conti con la propria solitudine e le proprie fragilità, cercando di darsi ogni giorno la forza per andare avanti, anche quando sembra tutto andare a rotoli.

Il film

Mi chiamano Cipolla è un documentario che pone al centro della sua narrazione il protagonista, Jasmin, attorno al quale si ergono e ruotano i problemi burocratici in cui è invischiato, molti inerenti al suo inserimento nella società ma anche al suo non riuscire a comunicare a causa del suo analfabetismo, a cui si accostano conflitti familiari e tradizioni rom. La macchina da presa indugia sempre su di lui, lo segue ininterrottamente, costruendo una ricca galleria di primi piani. A queste immagini si alternano riprese fatte proprio dalla sua comunità oppure dallo stesso Jasmin, che si riprende nelle attività quotidiane per testimoniare il suo vissuto e il suo percorso, dialogando molto con i registi, i quali sono udibili in fuoricampo, fino a comparire nelle battute finali.

Mi chiamano Cipolla è un film che affronta le difficoltà degli stranieri, in particolar modo degli zingari, di coloro che faticano a trovare un posto nel mondo e spesso vengono anche dimenticati, diventando quasi dei fantasmi. Persone fragili ma che, come dimostra Jasmin, sono in grado di trovare la forza nelle piccole cose, credendo in un futuro migliore. Un racconto che pone l’accento sul nostro sistema sociale, e su quanto bisogna faticare per potersi guadagnare un misero tetto sotto cui dormire, sentendosi finalmente al sicuro e tranquilli.

Jasmin, che come dicono gli stessi registi è un tipo molto particolare e bizzarro, parla a cuore aperto, lo fa anche con il pubblico in sala quando ringrazia i suoi compagni di viaggio, e sia in quella circostanza che nel film si mostra senza filtri. A volte inciampa nelle sue stesse bugie, questo accade nel filmato, ma poi trova il modo, sempre, di rialzarsi. Mi chiamano Cipolla è un documentario in cui tutto quello che si vede è realtà, netta e chiara. Nessun fronzolo, nessun abbellimento, nessuna retorica. Solo tanta sincerità e voglia di vivere.

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Valeria Maiolino
Classe 1996. Laureata in Arti e Scienze dello Spettacolo alla Sapienza, con una tesi su Judy Garland e il cinema classico americano, inizia a muovere i primi passi nel mondo della critica cinematografica collaborando per il webzine DassCinemag, dopo aver seguito un laboratorio inerente. Successivamente comincia a collaborare con Edipress Srl, occupandosi della stesura di articoli e news per Auto.it, InMoto.it, Corriere dello Sport e Tutto Sport. Approda poi su Cinefilos.it per continuare la sua carriera nel mondo del cinema e del giornalismo, dove attualmente ricopre il ruolo di redattrice. Nel 2021 pubblica il suo primo libro con la Casa Editrice Albatros Il Filo intitolato “Quello che mi lasci di te” e l’anno dopo esce il suo secondo romanzo con la Casa Editrice Another Coffee Stories, “Al di là del mare”. Il cinema è la sua unica via di fuga quando ha bisogno di evadere dalla realtà. Scriverne è una terapia, oltre che un’immensa passione. Se potesse essere un film? Direbbe Sin City di Frank Miller e Robert Rodriguez.