Road to Oscar 2024: la migliore sceneggiatura originale e adattata

Il racconto dei dieci film nominati agli Oscar 2024 per la migliore sceneggiatura, originale e adattata. Chi saranno i vincitori?

Oscar 2024

Come ogni anni, gli Oscar 2024 prevedono due categorie di eccellenza dedicate alla sceneggiatura, la prima per la migliore sceneggiatura originale, ovvero la storia che è frutto dell’invenzione dell’autore della stessa, e la seconda è per la migliore sceneggiatura adattata, che parte invece da un’opera pre-esistente, più spesso un libro, ma può essere anche un articolo di giornale, un’inchiesta, un fumetto, insomma un’altra storia che già esiste e che viene declinata nel linguaggio cinematografico.

Le categorie dedicate alle sceneggiature, in occasione dei grandi premi di cinema, sono da sempre quelle che si aggiudicano gli Autori. Branagh, Fennell, Peele, Jonze, Tarantino, Ivory, Allen, Coppola, Almodovar, Coen sono solo alcuni dei nomi che impreziosiscono il palmares di una categoria dei Premi Oscar che più di ogni altra rappresentano l’aspetto culturale e alto della grande macchina cinematografica. E se da una parte è vero che la sceneggiatura è una scrittura di servizio, che per esistere davvero deve essere trasformata in film, è anche vero che la scrittura, la parola sono il seme dal quale poi germoglia il cinema.

Di seguito, ecco i candidati agli Oscar 2024 per migliore sceneggiatura originale e adattata.

3Migliore Sceneggiatura (Originale)

 

Apriamo le danze con una delle sceneggiature che, in quest’anno cinematografico, sembra brillare di più per costruzione, originalità e interesse. Lo script di Anatomia di una caduta firmato da Justine Triet e Arthur Harari è un animale insolito e seducente, così come il film che ne è stato desunto, capace di insinuare il dubbio nella mente dello spettatore con un abilissimo gioco di non detti, mentre sposta continuamente il fuoco del suo discorso, passando con eleganza dal linguaggio procedurale a quello da thriller, fino a quello drammatico e romantico.

Al suo esordio con la sceneggiatura per il cinema, David Hemingson ha offerto a Alexander Payne, autore riconoscibile e ricercato, lo script di The Holdovers – lezioni di vita. La storia si innesta alla perfezione dentro la filmografia e la poetica di Payne, raccontando la vicenda di umanità perse che imparano a essere famiglia, arrangiandosi con quello che hanno e allo stesso tempo riscoprendo per se stessi uno spiraglio di futuro che pensavano non potesse esistere. È facile cadere nella definizione, a volte svalutante, di feel good movie, tuttavia The Holdovers rivendica con fierezza questa etichetta, innalzandone il livello.

Tra le modalità di racconto cinematografico, il biopic rientra in quelle più rischiose, perché si fa interpretazione di personaggi realmente esistiti, adottando un punto di vista, a volte anche solo un momento storico preciso, in cui questa “vita famosa” viene messa in scena. Bradley Cooper e Josh Singer sono consapevoli di questo rischio, tuttavia i potenti mezzi messi a disposizione di Maestro, inclusa la benedizione (e la produzione) di Steven Spielberg, permettono ai due massima libertà. E così, Cooper si prende la briga di non compiere apparentemente nessuna scelta e di bypassare l’importanza della parola come germe vitale del cinema. Lo script diventa strumento per la messa in scena di sé nei panni di Leonard Bernstein. Il risultato è uno sforzo egoriferito in cui l’attore, regista e sceneggiatore vuole a tutti i costi trovare un posto nell’Olimpo di Hollywood, che a tutti gli effetti lo premia (misteriosamente) e lo pone in compagnia di artisti di ben altro calibro.

Come nel caso di Hemingson, anche Samy Burch, esordiente alla sceneggiatura per il cinema, si fa affiancare da un solido narratore per immagini, Todd Haynes, per trasformare in film la sceneggiatura di May December. Il film, unico in categoria ad aver ottenuto una sola nomination, avrebbe mirato anche a dei cenni nelle categorie dedicate agli attori, cenni che non sono arrivati per una concorrenza serrata. Tuttavia è riuscito a spuntarla in questa divisione, che, dicevamo, celebra la potenza della parola. E effettivamente il film è scritto in maniera raffinata, riuscendo a districarsi con leggerezza, mai con superficialità, nei meandri di una storia torbida che manifesta da subito le sue pieghe più oscure. La sensazione generale però è che il film sia finito in cinquina principalmente come omaggio al percorso festivaliero abbastanza luminoso dei mesi scorsi.

Vero e proprio colpo di fulmine di questa stagione cinematografica, Past Lives di Celine Song ha conquistato un posto in cinquina a buon diritto. Ridefinendo i canoni narrativi della “storia d’amore”, la scrittura di Song si presenta delicata e leggera, è capace di raccontare un “amore in potenza” (in mancanza di una definizione migliore) attraverso i non detti, il silenzio e le pause. Il suo compito di sceneggiatrice è facilitato dal fatto che lei stasse ha diretto il film (è il suo esordio), facendo così coincidere le scelte della messa in quadro con l’intenzione dietro le parole stesse. Seppure le possibilità di vittoria sono esili per questi Oscar 2024, la sceneggiatura di Past Lives è un vero e proprio gioiello.

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