Diretto da Tim Trachte, Vicino all’orizzonte è un dramma sentimentale tedesco tratto dal romanzo autobiografico omonimo di Jessica Koch, pubblicato nel 2016. La pellicola si inserisce nel solco delle storie d’amore giovani e tormentate, come After, Colpa delle stelle, Noi siamo infinito o il recente Fabbricante di lacrime, affrontando tematiche profonde legate alla malattia, alla fiducia e all’elaborazione del dolore. Trachte, già noto per aver lavorato su progetti rivolti a un pubblico giovane e sensibile, adatta con delicatezza e realismo una storia vera che ha commosso migliaia di lettori in Germania e nel mondo.
Il film si basa infatti sulla reale vicenda vissuta dalla Koch nella seconda metà degli anni Duemila, quando conobbe Danny, un giovane dal passato traumatico e segnato da segreti dolorosi. La storia è narrata in prima persona nel libro originale e trasposta sul grande schermo mantenendo un forte focus sull’introspezione emotiva e sull’evoluzione psicologica dei personaggi. L’autrice ha poi raccontato pubblicamente come la scrittura sia stata per lei un modo per elaborare la perdita e condividere una storia d’amore tanto potente quanto tragica.
Proprio questa autenticità ha contribuito a rendere Vicini all’orizzonte un successo editoriale prima e cinematografico poi. Merito del suo affrontare questioni complesse come la violenza subita nell’infanzia, l’HIV, il rifiuto sociale e la capacità di amare nonostante il peso di un destino segnato. La pellicola, pur mantenendo i tratti del romanticismo adolescenziale, si distingue infatti per la crudezza di alcune rivelazioni e per il modo diretto con cui affronta il tema della vulnerabilità maschile. L’accoglienza del film è stata mista, ma la forza del messaggio – che l’amore può nascere e sopravvivere anche nel dolore – ha trovato un riscontro significativo presso il pubblico.
La trama e il cast di Vicino all’orizzonte
La vicenda ruota intorno a Jessica (Luna Wedler), solare ragazza di 18 anni, annoiata dalla routine della sua vita. Tutto cambia nel momento in cui, durante l’estate, incontra Danny (Jannik Schümann), più grandi di lei di qualche anno. Il loro amore, nato quasi inaspettatamente, sembra perfetto. Ci sono però aspetti del suo passato di cui Danny non parla. Nel momento in cui Jessica scoprirà le cicatrici sul suo corpo, tuttavia, lo costringerà a raccontarle cosa è accaduto. Danny sarà allora costretto a riportare alla luce il suo turbolento passato fatto di soprusi.
La spiegazione del finale del film
Nel corso del film, Danny apprende di avere un’aspettativa di vita di circa 15 mesi. Lui e Jessica decidono allora di fare il viaggio negli Stati Uniti che si erano promessi, ma lì Danny annuncia alla ragazza che non farà la possibile terapia che gli prolungherebbe la vita, perché preferisce morire in modo indipendente. Nonostante questo le spezzi il cuore, Jessica decide di accettare la sua volontà. In seguito trova una lettera di Danny in cui le dice addio e le augura il meglio, con un riferimento ad una poesia che entrambi collegano con l’inizio della loro relazione, riguardante la linea all’orizzonte dove si incontrano la terra e il cielo, la vita e la morte.
Nel finale di Vicini all’orizzonte, il film raggiunge dunque il suo momento più toccante e tragico, lasciando emergere con forza la componente autobiografica e il messaggio centrale della storia. Dopo aver affrontato insieme il dolore, le paure e le ombre del passato, Jessica e Danny giungono a un punto in cui la verità non può più essere evitata: la malattia di Danny – l’HIV contratto a seguito di abusi subiti in gioventù – lo sta consumando, e con essa si assottigliano anche le possibilità di vivere il loro amore in modo pieno e duraturo. Eppure, il film sceglie di non chiudere con la disperazione: l’ultimo periodo vissuto insieme diventa un testamento di amore autentico, un tempo sospeso in cui entrambi imparano ad accettare ciò che non si può cambiare e a vivere intensamente ogni istante.
La morte di Danny, che arriva nel silenzio e nella tenerezza di un addio inevitabile, non viene mostrata con toni enfatici, ma rappresentata con delicatezza, quasi come una naturale conclusione di un percorso già segnato. La regia di Tim Trachte evita il patetismo e sceglie invece di restare fedele all’intimità del racconto, focalizzandosi sugli sguardi, sulle carezze, sui piccoli gesti quotidiani che assumono un valore eterno. Il lutto di Jessica non è solo la perdita dell’amato, ma la fine di una fase di vita in cui ha imparato a fidarsi, ad amare senza riserve e a confrontarsi con la morte in modo lucido e consapevole. Il film chiude con un senso di pace malinconica, in cui la memoria si fonde con l’accettazione.
Tematicamente, il finale incarna alla perfezione il cuore del film: non è solo la cronaca di una storia d’amore impossibile, ma una riflessione sul coraggio di vivere nonostante la fragilità, sul potere redentivo dell’amore e sull’importanza di affrontare la verità. Il percorso di Danny è emblematico in tal senso: da giovane chiuso e segnato dal trauma, riesce ad aprirsi grazie alla relazione con Jessica, trovando in lei non solo una compagna, ma una via per riconciliarsi con sé stesso. Allo stesso tempo, Jessica – ancora adolescente all’inizio – evolve attraverso la sofferenza e l’empatia, diventando una donna capace di comprendere che l’amore non è fatto di promesse eterne, ma di presenza reale anche nel dolore.
Il messaggio conclusivo del film, così come del libro da cui è tratto, è che l’amore vero non si misura sulla durata, ma sull’intensità e sulla capacità di trasformare chi lo vive. In questo senso, il finale assume un valore universale, che trascende la specificità della vicenda: ognuno può riconoscersi nel bisogno di essere accolto, creduto e amato nonostante le proprie ferite. L’orizzonte, evocato nel titolo, non è tanto un luogo fisico da raggiungere, quanto una metafora della speranza, del futuro possibile nonostante tutto, e del confine sottile tra vita e morte, oltre il quale ciò che conta è ciò che si è stati capaci di donare.