Billy: recensione del film di Emilia Mazzacurati

L'esordio della regista è un coming of age fuori dal comune, guidato da leggerezza e stupore. Al cinema dall'1 giugno

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“Un’avventura corale vissuta attraverso la crescita di un ragazzo e i passaggi naturali che questa comporta. Un coming of age contemporaneo e fuori dal comune, in cui sono quasi più gli adulti a cercare, e trovare, una guida nei ragazzi”. Basterebbe questo breve scampolo. Poche parole, estrapolate dalle note di regia del film. Sarebbero sufficienti a cogliere l’essenza dell’esordio cinematografico di Emilia Mazzacurati, figlia di Carlo. Basterebbero, ma Billy merita qualcosa in più. Perché non di rado ci si accosta alle prime volte con diffidenza, con preconcetto; lasciando che la paura dell’inesperienza di un nuovo sguardo si sostituisca alla curiosità si svelarne le vedute. E Dimenticando che, non di rado, emergono prodotti, opere o anche solo intuizioni di fronte alla cui leggerezza, timori e pregiudizi, semplicemente, svaniscono.

 

Billy: la trama

La prima volta di Emilia Mazzacurati ci trasporta presso una tranquilla cittadina di provincia. Ci trasporta da Billy. Il ragazzo (Matteo Oscar Giuggioli), abbandonato dal padre quando era ancora piccolo, è un ex bambino prodigio e inventore di un podcast musicale di successo. Ora, a diciannove anni, vive con la madre Regina (una eccentrica Carla Signoris) e trascorre buona parte del suo tempo in una roulotte, a giocare con Roberto (8 anni) ed altri bambini della città. Billy soffre da sempre di attacchi di panico, è segretamente innamorato della vicina di casa Lena (Benedetta Gris), sorella di Roberto, e non sa che fare della sua vita.

Billy Alessandro Gassman

L’arrivo nel quartiere di Zippo (Alessandro Gassmann), un tempo rocker di grande fama scappato nel bel mezzo di un concerto ed eclissatosi dalla scena, cambia però le carte in tavola. L’incontro con Billy smuove qualcosa; e tra fughe, chiacchierate e lunghi silenzi si delineano per i due nuove strade, nuovi sbocchi; in un andirivieni di bizzarri personaggi a cavallo tra passato, presente e timore per il futuro.

Terra di frontiera

Emilia Mazzacurati torna in “provincia”, in quei grovigli semi sconosciuti di vie che a lungo hanno accompagnato il percorso cinematografico del padre. A incorniciare il suo racconto d’esordio è una cittadina del nord, non luogo (quasi) senza tempo, scandito solo dal silenzioso susseguirsi delle fasi lunari. Una terra di frontiera dalle sfumature western (il soprannome del protagonista è Billy the Kid), segnata da una sua pacifica ritmicità e abitata da caratteristici figuri – uno su tutti Massimo (Giuseppe Battiston), timido pompiere innamorato di Regina che vive in una casa-barca ormeggiata sul fiume per fare fronte al pericolo incendi.

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L’inaspettata intrusione di Zippo, in questo senso, è allora per certi versi assimilabile alla venuta del cowboy, dello straniero senza nome, giunto da lontano nel tempo e nello spazio. Un selvaggio Ethan Edwars, un oscuro Django, qui localmente e brutalmente rivisitati nello spaesamento esistenziale di un Alessandro Gassmann che è fallito tra i falliti, dimenticato uomo di mezza età con pochi sogni e troppi rimpianti.

Billy: un racconto di formazione “sui generis”

Quella dipinta dalla regista è una città isolata, “figlia d’arte” colma di padri senza figli e figli senza padri. Ma il legame generazionale tra i Mazzacurati non è questione esclusivamente geografica (o sarebbe meglio dire scenografica?). A connettere padre e figlia è infatti il cuore pulsante del film, la sua anima coming of age, le sue (a)tipiche dinamiche di “formazione”. Dinamiche a onor del vero trasversali nella storia del cinema che qui, oltre a farsi memoria quasi scontata del lavoro paterno (L’estate di Davide, 1998), avvicinano il film della Mazzacurati alle atmosfere di un altro esordio, quelle dell’indipendente How to be di Oliver Irving (2008).

Se il disorientamento adolescenziale di Davide e Art (un giovanissimo Robert Pattinson) rappresentano però il focus accentratore dei rispettivi racconti, la narrazione di Billy tenta una via leggermente diversa; facendo perno sulla vicenda di vita del ragazzo per delineare un esistere confusionario che è proprio dell’intera comunità che lo circonda. E tracciando i confini di una provinciale Isola che non c’è popolata di bimbi – più o meno cresciuti – sperduti.

Stupore e leggerezza

È forse in questo impeto, in questo coraggioso osare che Emilia Mazzacurati smarrisce alcuni punti di riferimento. E la sua “fiaba”, come del resto i personaggi della stessa, vaga a tratti scombussolata, faticando a gestire l’agognata coralità e non riuscendo a trovare un vero e proprio equilibrio coerente nella gestione dei suoi molti interpreti.

Rimane però un buon sapore, una curiosità sincera; il desiderio di scoprire, al di là dell’inesperienza, quali scorci sedurranno in futuro lo sguardo della regista e su quali strade Mazzacurati condurrà la propria macchina (da presa). Con la speranza, non così remota, di ritrovarci presto a riabbracciare la leggerezza e lo stupore di Billy. Lo stupore del bambino e del ragazzo, lo stupore dell’adulto che ancora non sa cosa lo attende lungo il cammino.

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