Lo Hobbit – la Battaglia delle Cinque Armate: recensione dell’ultimo film

Alla fine di un lungo viaggio, alla fine di un’avventura, nessuno è lo stesso. Che questo viaggio sia una missione per salvare il Mondo dal destino di Oscurità o che sia un’enorme caccia al tesoro con tanto di Drago-Guardiano, poco importa, quando si ritorna a casa, nelle confortevoli stanze tonde sotto la Collina, tutto sarà cambiato per sempre. È un po’ quello che capita allo spettatore quando le luci si accendono e cominciano a scorrere i titoli di coda. Il viaggio è terminato, Lo Hobbit – la Battaglia delle Cinque Armate ha fatto calare (per ora) il sipario sulla Terra di Mezzo, e un’era cinematograficamente di grande importanza storica, tecnica, artistica si è conclusa.

 

Peter Jackson sembra aver fatto del suo meglio, ha raccontato l’avidità dei Nani, l’egoismo degli elfi, la cattiveria degli Orchi, l’astuzia degli Hobbit (di uno, a dire il vero), l’opportunismo degli stregoni e la meschinità degli uomini. È riuscito però allo stesso tempo a raccontarne anche il coraggio, la lealtà, la bellezza, la forza e il potere, portando ancora una volta sul grande schermo un pezzettino in più di Terra di Mezzo.

Lo Hobbit - la Battaglia delle Cinque Armate recensione

Lo Hobbit – la Battaglia delle Cinque Armate è un deciso miglioramento rispetto ai ritmi ripetitivi de La Desolazione di Smaug; non siamo nuovi a lunghi scontri armati (vedi il Fosso di Helm), e il racconto di tutti i fronti di una Battaglia che vede coinvolti ben cinque eserciti non è assolutamente da lasciare al caso. E infatti Peter Jackson è ormai maestro nel raccontare le dinamiche di attacchi, difese, arcieri che scoccano frecce e soldati che fendono l’aria con colpi coraggiosi e decisi. Il regista riesce finalmente a regalare alle scene quell’epicità che aveva inseguito invano e inutilmente nei due film precedenti; finalmente ci racconta una battaglia per la difesa della propria vita, della propria casa, dando così vero valore alle gesta eroiche del folle Thorin, imprigionato nella ‘malattia del drago’: l’avidità.

Lo Hobbit la Battaglia delle Cinque Armate, tra toni ed epicità

Proprio la rappresentazione dai toni onirici della follia del Re Sotto la Montagna è uno dei punti deboli del film; se il concetto dietro alle intenzioni è molto interessante, molto ‘umano’ (nonostante sia applicato ad un Nano), l’espediente per sviscerarlo è forse un po’ troppo enfatico e reiterato, oltre al fatto che ricorda vagamente le conversazioni tra Gollum e Smeagol in merito al suo ‘tesssoro’ e la ‘tentazione’ di Aragorn di fronte al Morannon.

Lo Hobbit La Battaglia delle Cinque Armate recensione

Altro elemento che stona con le intenzioni principali del film è il sub-plot romantico tra Tauriel e Kili. Non tanto la particolarità dell’assortimento della coppia o l’estraneità ai romanzi, quanto i toni, i dialoghi, persino la regia scelta per rappresentarli, riducono la storia d’amore ad una macchiettistica riproposizione dell’amore romantico in Tolkien, un affronto vero e proprio ad un autore che dell’Amore ha fatto il suo tema portante.

I momenti di debolezza vengono però riparati dalle autocitazioni, i riferimenti al Signore degli Anelli, all’Oscurità che ritorna, al Bianco Consiglio, alla potenza e alla purezza dei Tre e al Male che, mentre viene sconfitto da un lato, dall’altro si insinua nei posti più impensati.

Lo Hobbit La Battaglia delle Cinque Armate recensione

Dopo tutte le battaglie, i morti, il sangue versato e il coraggio dimostrato, si torna però, finalmente, a guardare ‘un panorama familiare’. Il ritorno è dolce, un po’ buffo, aperto ad un futuro che già ci è stato mostrato. Il cuore si riscalda quando, in un finale perfetto, Peter Jackson chiude il suo cerchio, il suo Anello dorato che porterà ad un’altra, maestosa, immortale avventura che tutti conosciamo bene, un’avventura che si concluderà, di nuovo, alla porta tonda e verde di Casa Baggins.

 

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