Attaccare sempre, negare tutto, mai riconoscere la sconfitta: sono queste le tre regole che l’avvocato Roy Cohn insegna al suo pupillo Donald Trump. Tre principi che, ripetuti quasi come fossero un incantesimo, hanno caratterizzato l’ascesa al potere dell’uomo che oggi, in un modo o nell’altro, tutti conosciamo. Ma mentre l’attenzione odierna è comprensibilmente tutta sul suo nuovo tentativo di insediarsi nella Casa Bianca, il regista iraniano naturalizatto danese Ali Abbasi (regista anche di Border e Holy Spider) ci porta con il suo The Apprentice – Alle origini di Trump a scoprire i primi passi mossi dal tycoon verso la conquista di quello che oggi è il suo impero industriale.
Presentato in concorso al Festival di Cannes, il film ha naturalmente sollevato numerosi dibattiti, essendo la figura di Trump non solo particolarmente attuale ma anche estremamente controversa. In molti hanno visto in The Apprentice – Alle origini di Trump un’opera pericolosa per le ripercussioni legali che potrebbe portare con sé, similmente a quanto avvenne nei primi anni Quaranta con il film Quarto Potere e la campagna di boicottaggio portata avanti dal magnate William Randolph Hearst. Il parere di Trump non si è infatti fatto attendere, con l’ex POTUS che ha definito disgustoso questo biopic a lui dedicato.
La trama di The Apprentice – Alle origini di Trump
Siamo a New York, negli anni 70. Determinato a uscire dall’ombra del potente padre e a farsi un nome nel settore immobiliare di Manhattan, l’aspirante magnate Donald J. Trump (Sebastian Stan) agli inizi della sua carriera incontra l’uomo che diventerà una delle figure più importanti della sua vita: il faccendiere Roy Cohn (Jeremy Strong) Vedendo del potenziale in Trump, il controverso avvocato — che aveva ottenuto le condanne per spionaggio contro Julius ed Ethel Rosenberg e aveva investigato sui sospetti comunisti insieme al senatore McCarthy — insegna al suo nuovo allievo come accumulare ricchezza e potere con l’inganno, l’intimidazione e la manipolazione mediatica.
L’apprendista del diavolo
Il titolo del film è ripreso dal noto reality show condotto da Trump dal 2004 al 2015, nel quale si giudicavano le capacità imprenditoriali di un gruppo di concorrenti. Proprio come i tanti giovani che si sono susseguiti nel corso delle varie stagioni, anche Trump a suo tempo è stato un giovane ricco di ambizioni e desideri di elevarsi al di sopra della massa, dimostrando tutto il suo potenziale come uomo d’affari. Come ogni origin story che si rispetti, però, c’è bisogno di un mentore e tale è stato per Trump l’avvocato Roy Cohn. Già raccontato in un avvincente documentario dal titolo Where’s My Roy Cohn?, è lui il burattinaio della situazione o – come lo ha definito Strong – il dottor Frankenstein alle prese con la sua creatura.
Eminenza grigia a tutti gli effetti, Cohn ha fornito a Trump non solo le tre regole riportate in apertura, ma anche quella dose di spregiudicatezza e di disgusto per il bene comune su cui il tycoon sembra poi aver basato le fondamenta del suo potere. Proprio come è stato nella realtà, anche in The Apprentice – Alle origini di Trump è il Cohn di Jeremy Strong a rubare in più occasioni la scena, a catalizzare su di sé tutte le attenzioni non perché egli lo voglia – anzi – ma perché risulta chiaro quanto sia lui l’origine di ciò che oggi vediamo nel suo discepolo. Neanche a dirlo, Strong fornisce una prova attoriale straordinaria, glaciale, riproponendosi sotto nuove spoglie in quel contesto da lui già affrontato con la serie Succession.
In quello che non vuole essere un classico biopic, bensì uno studio ravvicinato dell’uomo e della sua psicologia, si segue pertanto l’ascesa di Trump, che sembra ironicamente e drammaticamente coincidere con il declino dell’impero americano. Partendo dagli anni Settanta e arrivando fino alla metà degli Ottanta, si attraversa dunque quel cupo periodo che va dal cinismo degli anni di Richard Nixon all’ascesa dell’avidità aziendale durante la presidenza di Ronald Reagan. L’American Dream, complici gli avvenimenti di quegli anni ma anche del decennio precedente, è ormai un cadavere che si trascina stancamente per le vie d’America e a cui personalità come Cohn e Trump sembrano aver dato il colpo di grazia.
Capire, non giudicare
Sarebbe stato però fin troppo facile, dato tutto questo materiale narrativo, offrire un ritratto estremamente negativo di Donald Trump. A tal proposito non è secondario che a dirigere il film vi sia un regista non americano. Originariamente il progetto, scritto da Gabriel Sherman, era stato proposto a registi del calibro di Paul Thomas Anderson e Clint Eastwood, che pur essendo stato un sostenitore di Trump ha rifiutato l’offerta considerando il progetto un rischio troppo grande. La presenza di Abbasi dietro la macchina da presa permette dunque al film di dotarsi di quella giusta distanza che gli consente di non eccedere né nell’indulgenza né nella cattiveria.
È chiaro che il ritratto che se ne ricava al termine della visione non è per nulla positivo, ma risulta anche evidente come l’intento del regista – e dello sceneggiatore e dell’intero film – sia quello di esplorare e porre domande, anziché di giudicare o sentenziare. È stato proposto un confronto con Vice – L’uomo nell’ombra, il film con Christian Bale nel ruolo dell’ex vice presidente Dick Cheney. Mentre quel titolo è però una vivace satira che gioca con un linguaggio altrettanto sagace, The Apprentice – Alle origini di Trump non si spinge appunto fino a quel livello, costruendosi però una gravitas che ben gli si addice.
Aiuta in ciò un lavoro sulla messa in scena piuttosto importante, che tra una grana dell’immagine anni Ottanta all’utilizzo approfondito di New York come quarto grande protagonista (la terza è un’altrettanto magnetica Maria Bakalova nel ruolo di Ivana Trump), restituisce minuziosamente non solo un periodo ma anche un modo d’essere. Più Trump si evolve come personaggio, più cresce la sua sicurezza e più aumentano le sue ambizioni, più il film accompagna con tutto sé stesso il proprio protagonista verso il compimento del suo destino. Se sia l’origin story di un eroe o di un villain, però, è lasciato al giudizio del singolo spettatore.
The Apprentice - Alle origini di Trump
Sommario
Ali Abbasi, in quanto regista non americano, sembra possede le qualità giuste per raccontare di Donald Trump e della sua ascesa dalla giusta distanza. The Apprentice – Alle origini di Trump non cerca di essere una satira spara sentenze, bensì una ricerca quanto più approfondita possibile di una personalità quale è Trump, soprattutto alla luce del mefistofelico mentore a cui si è affidato nella sua giovinezza: un glaciale Roy Cohn interpretato da uno straordinario Jeremy Strong.