Bentornati nella Terra di Mezzo, dove gli stregoni possono essere anche simpatici, i nani affascinanti e anche “la persona più piccola può cambiare il corso del futuro”. Con Lo Hobbit: Un Viaggio Inaspettato, Peter Jackson da inizio alla sua seconda trilogia tolkieniana, con l’intento o forse la speranza di doppiare il successo planetario che ebbe con quella de Il Signore degli Anelli.
In principio era Dale, una magnifica e prosperosa città ai piedi della Montagna Solitaria, che sorgeva nelle vicinanze di Erebor, ultimo grande Regno dei Nani nella Terra di Mezzo. Fino a che Smaug il Terribile portò la sua tremenda forza devastatrice a Dale, bruciando e distruggendo ogni cosa, e impossessandosi di Erebor e del tesoro dei nani.
A distanza di quasi duecento anni, Thorin Scudodiquercia, figlio di Thrain, figlio di Thror, decise di dare inizio all’impresa per la riconquista di Erebor. Insieme a 12 fidati nani e a Gandalf il Grigio si reca a Hobbiville, nella Contea, per reclutare un Scassinatore. Il Signor Bilbo Baggins sarà il prescelto e si unirà all’impresa, la più grande avventura della sua vita. Comincia così la prima di tre pellicole dedicate allo Hobbit, in cui Peter Jackson ci racconterà le avventure mirabolanti e spesso quasi mortali che portarono i 13 nani e Bilbo a riconquistare il tesoro usurpato da Smaug.

E da grandissimo lettore del Professore, Jackson premia tutte le aspettative dei fan hard core della mitologia tolkieniana, regalandoci un film avventuroso, emozionante, fedelissimo all’originale di carta e inchiostro, con l’aggiunta di informazioni, situazioni e sequenze che nel libro (o nelle varie appendici al lavoro) vengono solo accennate e che giustificano la divisione della storia in tre capitoli.
Proprio questo era uno degli elementi che generava maggiore perplessità: in che modo realizzare tre film da una storia tutto sommato breve e coesa? Il buon Peter ha attinto dall’immenso corpus tolkieniano, raccontandoci di figure lasciate in ombra nei romanzi (Radagast il Bruno), di eventi che conosciamo solo perché raccontati in terza persona (il Bianco Consiglio), aggiungendo quel tocco di avventura e di mostri che abbiamo imparato ad amare.
Lo Hobbit: Un Viaggio Inaspettato

Straordinario, come da copione, il lavoro di Howard Shore alla composizione che riprende i temi della trilogia originale, strizzando l’occhio allo spettatore e allo stesso tempo reinventandosi in una sinfonia di suoni ora poderosa, ora delicata, altre volte invece malinconica, in perfetto stile Terra di Mezzo.
Eppure Lo Hobbit: Un Viaggio Inaspettato qualche difetto ce l’ha, a partire dal formato, questo famigerato 48 fgps (48 fotogrammi per secondo al posto dei classici 24 fgps) che rende l’immagine televisiva, eliminando l’effetto cinema, e i movimenti apparentemente velocizzati, producendo un effetto di straniamento almeno all’inizio della storia, prima che l’occhio si abitui al nuova qualità dell’immagine. Questo aspetto, e una innegabile lentezza della storia nella prima parte, sono due nei che macchiano un film altrimenti eccezionale.
Così come accadde per Il Signore degli Anelli, il vero punto di forza di questo film è la resa emozionale che si rivela ancora una volta fedelissima al materiale di partenza. Con poche inquadrature e giusti accorgimenti, Peter Jackson ci invita ad alzarci, a fare i bagagli e a tornare nella Terra di Mezzo, per un’altra eccezionale e pericolosa avventura.


