In principio vi era la Scozia
selvaggia e le sue valli sterminate, i suoi contorni rigogliosi,
spigolosi, e il vento gelido fra gli arbusti e i capelli degli
uomini. Uomini mossi dalla rabbia, dalla fame di conquista, con le
mani sempre occupate da spade d’acciaio e sporche di sangue
scuro. Fra loro il più ambizioso fra tutti,
Macbeth, furioso e pieno di cieca
determinazione.
Protagonista del più conosciuto ed
essenziale lavoro di William Shakespeare, il
generale dell’esercito di Duncan torna a vivere sul grande schermo
cinematografico grazie allo sguardo visionario di Justin
Kurzel, a quattro anni di distanza da
Snowtown. Fra i mille approcci possibili
per un adattamento, il regista australiano sceglie una strada
curiosa: riprende alla lettera il testo classico dell’opera ma vi
costruisce attorno un mondo nuovo, imponente.
Lo fa usando un linguaggio visivo
assolutamente contemporaneo, colossale, aiutato dall’incredibile
talento di Adam Arkapaw che firma una fotografia
da premio. Una scelta che potrebbe far storcere il naso a molti,
eppure pensandoci in profondità si tratta di un modus
operandi perfettamente in linea con il
Macbeth originale. Ambientato durante il
basso medioevo, il dramma è ormai un archetipo della brama di
potere e della sua pericolosità. La storia di un Re talmente avido
da mettere da parte – pur di avere il controllo assoluto – i valori
fondamentali della vita e perdere tutto. La moglie, il figlio, la
lucidità mentale. Ogni cosa è sacrificata solo per poter indossare
una pesante corona sul capo. Un contesto antico che nasconde temi e
sfumature vivi ancora oggi, che serpeggiano nella società che noi
stessi abbiamo costruito.

Esistono ancora guerre in Africa o
in Medio Oriente per ideali ambigui, ma si combatte anche laddove i
campi di battaglia non sono espliciti. Non si affilano le spade e
non si dissemina morte nelle piazze, ma si trama segretamente sui
posti di lavoro, nelle lotte di camorra, o semplicemente ci si
annienta all’interno del nucleo familiare.
Dai tempi di Shakespeare sono
passati oltre quattrocento anni, quasi mille dalla vera leggenda di
Macbeth di Scozia, ma la storia ancora si ripete
uguale, imperterrita. Il risultato è stupefacente, l’attualità
delle immagini si fonde alle parole altissime del drammaturgo
inglese con potenza, richiamando alla mente alcune tinte
tarantiniane e i paesaggi desolati e inospitali dei
western di Sergio Leone. Kurzel gioca con i colori
e la saturazione, la velocità dei frames e le nebbie fitte
divertendosi e “divertendo”.
Meno lineare la direzione degli
attori: il testo di difficoltà estrema ha messo a dura prova
Michael Fassbender e
Marion Cotillard, che porta l’ulteriore
handicap di essere madrelingua francese. Il primo riesce a
lasciare un segno forte, epico, quando è presente sulla scena tutto
acquista spessore; la seconda appare più spaesata, confusa, inoltre
non regala a Lady Macbeth quella giusta perfidia
malcelata che dovrebbe forse avere. Se però i due si trovano nella
medesima inquadratura, il discorso cambia e insieme –
straordinariamente – si completano. Oltre agli interpreti, anche il
pubblico potrebbe subire la maledizione della lingua arcaica.
Macbeth
appare infatti, sin dalle sue prime battute, un prodotto di nicchia
destinato a spettatori dotati di una certa cultura e sensibilità.
Aspettarsi un episodio d’autore di Game of
Thrones lungo 113 minuti potrebbe essere un errore
fatale per molti, ma almeno oggi – forse – la tomba di William
Shakespeare è salva dall’avere particolari scossoni.