Un amore difficile quello di Elsa
Morante per il cinema. Ad indagare questo rapporto passato per lo
più in ombra è stato Marco Bardini, professore di Letteratura
italiana contemporanea dell’Università di Pisa, nel suo ultimo
libro Elsa Morante e il cinema (2014, Edizioni ETS), un volume
ricco di inediti e frutto di un intenso lavoro documentario.
“A differenza di molti altri
scrittori italiani del Novecento Elsa Morante sembra non aver
lasciato traccia visibile nel mondo del cinema – spiega Marco
Bardini – Eppure la scrittrice è stata amica sincera e consigliera
di tanti attori, sceneggiatori e registi come Anna Magnani, Laura
Betti e Carlo Cecchi; Tonino Guerra e Basilio Franchina; Mario
Soldati, Bernardo Bertolucci e Liliana Cavani; ed è stata, in modo
discreto e talvolta anonimo, soggettista, sceneggiatrice,
aiuto-regista, attrice, consulente musicale per colonne sonore,
paroliera e contestato critico cinematografico”.
In particolare, Marco Bardini ha
studiato il rapporto complesso di Elsa Morante con il cinema
attraverso il lungo sodalizio con Pasolini, passando per la
collaborazione con Alberto Lattuada, l’innamoramento per Luchino
Visconti e l’amicizia con Franco Zeffirelli.
“Della decennale contiguità con il
Pasolini regista, sono noti ai più, perché accreditati, il cameo
della detenuta Alina che la scrittrice interpreta per Accattone
(1961), e la collaborazione per l’allestimento della colonna sonora
di Medea (1970) – racconta Bardini – Ma è ancora poco risaputo
quanto le idee di Elsa Morante fossero rilevanti per il regista,
com’è testimoniato dall’attrice Laura Betti e da molti altri. In
via amichevole e non ufficiale, tra il 1961 e il 1970 la scrittrice
partecipò alla realizzazione di quasi tutti i film di Pier Paolo
Pasolini e nel 1964 fu addirittura sul set del film Il Vangelo
secondo Matteo come aiuto-regista non accreditato”.
“Qualche anno prima, all’inizio
degli anni Cinquanta, – continua il professore dell’Ateneo pisano –
Elsa Morante aveva vissuto un amore burrascoso con Luchino Visconti
e in quell’occasione era divenuta amica di Franco Zeffirelli.
Proprio per il suo auspicato debutto da regista cinematografico la
Morante elaborò il soggetto per una commedia cinematografica
ambientata nel mondo della lirica. La protagonista sarebbe dovuta
essere Lucia Bosé. Ma il progetto non vide mai la luce, forse a
causa della definitiva rottura con Visconti.”
In ogni caso, l’amicizia con
Zeffirelli e l’aspirazione a collaborare con lui continuarono e
dopo vari altri programmi mai realizzati, Elsa Morante ebbe
l’occasione di dare il suo contributo al film Romeo e Giulietta
(1968): sue sono le parole della celebre canzone d’amore composta
da Nino Rota. Ma anche questa collaborazione passa sotto
pseudonimo: Elsa Morante sceglie di non apparire nei titoli, e
attribuisce i versi a Peppino Caruso, che in realtà era il nome del
suo gatto siamese di allora.
“In realtà, gran parte dei progetti
di Elsa Morante scrittrice per il cinema – racconta Marco Bardini –
non andarono mai a buon fine. Negli anni Trenta, già prima della
guerra, elaborò, per poi abbandonarlo incompleto, un soggetto
intitolato Il diavolo, la storia di una malvagia femme fatale,
probabilmente scritto per l’amico Carlo Ludovico Bragaglia, uno dei
più noti registi dei “telefoni bianchi”. Nel dopoguerra, attraverso
il marito Moravia, Elsa Morante entrò in contatto con Alberto
Lattuada con cui progettò di realizzare un ambizioso film dal
titolo Miss Italia, per il quale scrisse un lungo
trattamento-sceneggiatura, ma i produttori della Lux, che stavano
cercando il film giusto per lanciare a livello internazionale
l’astro nascente di Gina Lollobrigida, respinsero il soggetto,
ritenendolo troppo “impegnato” e per nulla commerciale.
“Il film Miss Italia, di
Duilio Coletti, che comparve sugli schermi all’inizio del 1950 –
conclude Bardini – è solo un banale fotoromanzo che non
conserva nulla dell’originario progetto Lattuada-Morante. Al di là
del fallimento, comunque, tra i due dovette passare qualche
incomprensione: Elsa Morante non farà mai più parola con nessuno di
questo lavoro a quattro mani; mentre Lattuada trovò modo di
‘vendicarsi’ di lei, alludendo cripticamente alla sua durezza nel
suo film successivo Luci del varietà (1950), co-diretto con
Federico Fellini”.