Un nucleo familiare si sgretola in
un’asfittica cittadina della provincia sarda, in cui personaggi
alla deriva cercano aiuto nelle “conoscenze” o in una fede che sa
di superstizione. La morte della madre, un padre, Peppino (Mario
Olivieri), e un figlio, Angelo (Stefano Deffenu), insieme da
sempre, ma che non si conoscono. Restano soli e si accorgono l’uno
dell’altro. Peppino è ormai anziano e cerca maldestramente di
aiutare il figlio, trentenne rimasto bambino, a trovare una strada
per il futuro. Angelo non capisce la realtà che lo circonda, non vi
si adatta e passa vuote giornate al bar. L’incontro tardivo di
queste due solitudini nasce senza speranza.
Potrebbe essere un moderno
I pugni in tasca, o ricordare
L’ora di religione o, nell’affresco di
una periferia e di un’umanità perfide, lavori
come È stato il
figlio. Ma non c’è traccia di grottesco o venatura di
commedia in questo lavoro, che deve interesse e originalità a un
impasto di noir e tragedia greca, arcaico come certi retaggi
nostrani, eppure intriso dello spirito dell’oggi.
Così Bonifacio
Angius prosegue dopo saGràscia
(2011), presentando con coraggio un lavoro per nulla consolatorio,
Perfidia. Duro, ma autentico, definitivo
e aspro come la roccia sarda, che spicca maestosa nel grigiore
circostante.
A far pensare a Bellocchio – che
Angius afferma non essere tra i suoi riferimenti, citando piuttosto
lo Scorsese di Taxi driver – sono la
descrizione lucida del disagio esistenziale e mentale, non solo di
Angelo, ma di un intero nucleo, dei suoi legami malati; e lo
smascheramento della religiosità ottusa, della devozione meccanica
e infantile che qui è nella madre (apparizione fugace ma
significativa) prima ancora che nel figlio.
Sguardo acuto sulla provincia (non
solo sarda): realtà senza sbocchi, dove s’invidia il vicino e ci si
abbandona a sfoghi violenti, dove l’amico è al tempo stesso
nemico.
Al centro di questo universo dalla
struttura ben calibrata, un protagonista per cui il mondo è
semplice, come per i bambini, diviso tra bene e male. Angelo si
sente buono e aspetta dal cielo l’aiuto che è convinto di meritare.
Ma spreca la sua possibilità, arrivata sotto forma di una ragazza
carina e per bene, perché non sa vivere nella realtà, ma solo nel
mondo immaginario della sua fantasia (come rivela un efficace
inserto onirico). In Angelo si fondono il disadattamento patologico
e l’apatia ora comune a molti trentenni e giovani: quasi
anestetizzati, apatici, impantanati in un eterno presente, figli
incapaci di crescere sia per propria responsabilità, che per
mancanza di opportunità. Non era semplice interpretare questo
personaggio, fatto più di silenzi che di parole, ma Deffenu riesce
a dargli profondità. Ottima performance anche da Mario
Olivieri, efficaci Alessandro Gazale, Andrea
Carboni e Domenico Montixi – gli amici di
Angelo.
Un buon montaggio e un uso
espressivo della musica completano un lavoro d’impatto di
Perfidia, non adatto a chi cerca “raggi
di luce” in sala.