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Philippe Le Guay racconta la sue donne del 6°

Parlando a margine della proiezione di Le donne del 6° piano, il regista del film, Philippe Le Guay, ha diffusamente discusso riguardo alle motivazioni che l’hanno spinto a concretizzare quest’opera, a partire dal desiderio, finora irrealizzato di lavorare con attori non francesi; il casting per i ruoli delle estroverse cameriere spagnole si è svolto a Madrid, dove il regista si è trattenuto per tre settimane, dividendosi tra lavoro e visite culturali: in proposito Le Guay ha raccontato di come, nel corso degli incontri pomeridiani con le aspiranti protagoniste, avesse l’impressione di ritrovarsi di fronte alle versioni in carne ed ossa dei protagonisti delle opere di artisti come Goya e Velazquez, visti nelle visite mattutine al Prado.

La vicenda prende spunto da un avvenimento storico ben preciso: il fenomeno migratorio che, a cavallo tra gli anni ’50 e ’60 portò tante donne spagnole, per la maggior parte provenienti dalle campagne, a fuggire dalla povertà (la Spagna all’epoca scontava un ritardo di quasi un secolo nel suo sviluppo economico rispetto alla Francia) e a farsi impiegare come domestiche, in particolare nelle case della medio-alta borghesia parigina.

Per accentuare il realismo della vicenza, Le Guay ha peraltro intervistato alcune di quelle donne, ormai anziane, oltre che attingendo dalla propria vicenda personale, con la quale peraltro quella del film ha molti punti di contatto. Come il protagonista del film, anche il padre del regista era un agente di cambio, professione peraltro tramandata in famiglia da generazioni, e come nel film, anche la famiglia di Le Guay aveva assunto una domestica spagnola. Come si evince dallo stesso titolo, si tratta di un film incentrato sulle donne: una scelta voluta da Le Guay, che nel film ha voluto riflettere l’allegria di quelle donne, felici del senso di libertà e di affrancamento dall’oppressione maschile, nonostante la durezza dei lavoro che dovevano svolgere e degli orari cui erano costrette.

Parlando del protagonista del film, il regista ha affermato di non aver voluto raccontare tanto la storia di una crisi di mezza età con tanto di innamoramento per una ragazza più giovane, quanto quella di una sorta di ‘risveglio’: anche la sua scelta di appoggiare il gruppo di domestiche, andando oltre i confini di classe e culturali, non è frutto di una posizione ‘a monte’, ma di un’evoluzione, di una presa di coscienza, dalla voglia di farsi coinvolgere e contaminare da una realtà prima sconosciuta, in contrapposizione con lo stile di vita ‘borghese’, rappresentato dai figli, ma anche contro la ‘resistenza’ alla modifica dello ‘status quo’ (e quindi all’andare oltre i rapporti stabiliti dalla società, come appunto quello domestica – padrone), rappresentato anche dal personaggio di Carmen Maura.

Nell’economia della storia, i figli impersonano certo i canoni più rigidi della borghesia francese, ma anche quelli più fedeli alla tradzione e le leggi: figli che allo spettatore possono sembrare meschini e un pò cattivi, ma che in fondo risultano anche divertenti, nel tradizionale rovesciamento di ruoli: a loro sta richiamare ai doveri famigliari un padre improvvisamente scopertosi ‘libero’. Il personaggio della moglie, interpretato da Sandrine Kiberlaine, potrebbe sembrare algido, incurante dei sentimenti del marito e dedito solo alla conservazione delle convenzioni sociali; tuttavia Le Guay ha invece spiegato di aver voluto piuttosto portare sullo schermo un modello di donna della provincia francese, che non vede (o non vuol vedere) il cambiamento del marito, ma non lo giudica nemmeno, in contrapposizione alle amiche cittadine subito pronte a consigliarle un buon divorzista.

Ciò che però il regista ha voluto rimarcare con più forza nel corso della conferenza stampa, è stato volere con questo film porre l’accento sul concetto di ‘comunita’: il film in fondo propone un’utopia, all’insegna dell’interclassismo, dell’accoglienza e del rapporto con ‘l’altro’ come occasione di cambiamento in contrapposizione con il clima attuale, che anche in Francia, soprattutto negli ultimi anni, è stato caratterizzato da una crescente spinta all’esclusione – e dunque all’espulsione – dello ‘straniero’.

Le donne del 6° piano: recensione del film di Philippe Le Guay

Le donne del 6° piano: recensione del film di Philippe Le Guay

In Le donne del 6° piano Jean-Louis è un agente di cambio che vive un’esistenza monotona, scandita dai ritmi sempre uguali del lavoro e da quelli ugualmente poco vivaci della vita famigliare, tra un moglie  troppo attenta ad apparenza e formalità e la poca comunicazione coi due figli pre-adolescenti. Sarà un gruppo di cameriere spagnole con la loro umanità calorosa e debordante a restituire al protagonista il gusto dei rapporti umani prima e dei sentimenti poi,  attraverso la storia d’amore con una di loro.

Le donne del 6° piano sarebbe passato probabilmente inosservato dalle nostre parti se non fosse stato per il successo riscosso in Francia (2 milioni di spettatori raggiunti in poco tempo), che gli ha fatto guadagnare la classica definizione di ‘caso cinematografico dell’anno’. La storia ce la racconta Philippe Le Guay, praticamente sconosciuto dalle nostre parti, e autore non troppo prolifico (“Le donne…” è la sua quarta pellicola in oltre vent’anni): il ‘canovaccio’ potrebbe forse apparire poco originale (il tipo un pò ‘piatto’, che sommerso nell’anonimato di una vita fin troppo convenzionale, ritrova il piacere della vita), così come lo svolgimento all’insegna di una certa prevedibilità, ma alla fine il tutto viene presentato con modi tali da poter sorvolare sulla scontatezza, anche grazie a una sorta di cambio di registro in corso d’opera: laddove ormai sembra di essersi incanalati nei binari della farsa, ecco che si devia verso la commedia sentimentale.

Una scelta comunque azzeccata, il cui limite è che forse il cambio di traiettoria è un pò  improvviso: a un certo punto le risate si esauriscono, e nel proseguio prevalgono i sentimenti, il film perde di ritmo e coesione, con sequenze che finiscono per sembrare un pò ‘giustapposte’, rendendo meno fluido lo scorrimento della storia. A salvare il film ci pensano comunque gli interpreti, a partire da Fabrice Luchini (una lunga carriera nel cinema francese, dall’esordio di In ginocchio da Claire di Rohmer, a Potiche – La bella statuina di Ozon) nel ruolo del protagonista, capace di dare vita a quel personaggio che, prima in modo titubante e poi sempre più convinto, si fa travolgere dagli eventi, con una mimica efficace sia nel suscitare la risata, che nell’evocare maggiore riflessività; con lui le convincenti Sandrine Kiberlaine (una moglie a cavallo tra conspavelozza e voluta indifferenza di fronte al mutamento del marito), Natalia Verbeke (che dipinge con delicatezza la cameriera della quale il Jean-Louis si innamora, dominata dalle incertezze derivanti da un vissuto in parte drammatico).

A fianco a loro naturalmente spicca il gruppo di esuberanti signore, guidate dall’attrice – feticcio di Alomodòvar, Carmen Maura, tra le quali vi è  un’altra frequentatrice abituale dei set del regista spagnolo, Lola Duenas.  Non a caso, la presenza delle due interpreti, accomunate alle altre dalla provenienza spagnola nella finzione cinematografica, può ricordare certe ‘comunità’ dei film di Almodòvar,  finendo in certi frangenti per spingere ad immaginare cosa sarebbe stato questo film nelle sue mani, senza peraltro nulla togliere alla capacità di Le Guay di dare comunque vita a un film gradevole.

Le donne del 6° piano pur con qualche passaggio a vuoto resta infatti un film efficace, divertente, che riesce a strappare in più di un’occasione risate di gusto, e che oltre a raccontarci il ritorno alla vita di un individuo schiavo delle sue abitudine, ci racconta anche di quanto il contatto con altre culture e modi diversi di affrontare la vita alla fine possa essere via per migliorarsi: un messaggio più che mai necessario in tempi nei quali l’immigrato è vissuto fin troppo spesso come una ‘minaccia’ o, nel migliore dei casi, come un problema del quale liberarsi in fretta.

Come l’acqua per gli elefanti: recensione del film

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Come l’acqua per gli elefanti: recensione del film

Arriva al cinema distribuito da Come l’acqua per gli elefanti, il film diretto da Francis Lawrence, con Robert Pattinson e Reese Witherspoon.

In Come l’acqua per gli elefanti  Jacob è un giovane studente di veterinaria, figlio di immigrati polacchi, che nel giorno del suo esame finale all’università perde entrambi i genitori in un incidente stradale. Siamo negli anni ’30 e gli Stati Uniti sono nel pieno della Depressione. Il ragazzo decide quindi di andare verso la città, ma sulla strada salta su di un treno che si rivela essere quello del circo itinerante dei fratelli Benzini. Entra subito nelle simpatie di un altro espatriato polacco, che gli troverà lavoro come spalatore di deiezioni degli animali. Il suo primo giorno di lavoro, Jacob rimane folgorato da Marlena, stella del circo oltre che moglie del bipolare August, capo della struttura. August alterna momenti di tenerezza e amore per la moglie a scatti d’ira che rivolge con la stessa violenza su esseri umani e animali. Dopo aver scoperto gli studi di Jacob, lo promuove veterinario del circo e in seguito addestratore della nuova attrazione: Rosie l’elefantessa. Grazie all’animale, ma anche a causa della sempre maggiore irascibilità del marito di Marlena, i due si avvicineranno inevitabilmente.

Come l’acqua per gli elefanti, il film

Francis Lawrence, regista di questo film, ha al suo attivo la regia di Constantine, film apocalittico con Keanu Reeves arcangelo e Io sono leggenda, altro film apocalittico con Will Smith. Anche in questo caso un animale accompagna la storia del film e c’è da dire che probabilmente è quello che riesce a procurare le maggiori emozioni. Come l’acqua per gli elefanti infatti, che vuole narrare una storia di amore osteggiato, durante la Depressione degli anni Trenta, non prende mai decisamente la strada del melodrammatico, i personaggi non sono mai delineati a livello caratterialmente profondo, non c’è un cattivo contro il quale opporsi e anche i buoni comunicano poca empatia. Christoph Waltz si impegna enormemente, riuscendo a caratterizzare con successo il suo personaggio come uno psicotico, non è alla fine il male assoluto, e dall’altro canto Robert Pattinson e Reese Witherspoon non sembrano mai disperatamente attratti l’uno dall’altra.

Le carte in tavola per un film che potesse sbaragliare il campo c’erano tutte: su tre personaggi principali, figurano due premi Oscar, con l’aggiunta da box office dell’idolo delle teenager in vena di riscatto attoriale. Il progetto però fallisce, visto che tra i tre non si percepisce un lavoro fatto in armonia, non ci sono tracce di chimica, ognuno recita  il suo ruolo a prescindere dalla presenza dell’altro. Di sicuro si cerca, anche attraverso la fotografia, virata sul giallo/ambra di Rodrigo Prieto di creare l’atmosfera di quegli anni, anche sottolineando l’assoluta assenza di idee riguardanti ad esempio, la violenza sugli animali o una certa etica professionale.

Inoltre, e questo è parte ormai delle strategie della distribuzione italiana, nel titolo si richiama il film di Alfonso Arau “Come l’acqua per il cioccolato”. Questo non vi tragga in inganno, i due non sono affatto tormentati, o osteggiati dalla società, la sicurezza della fuga che i due faranno insieme si percepisce già  dalle prime sequenze. L’elemento di distrazione da una storia essenzialmente lineare ce lo danno quindi gli animali, che come dice uno dei personaggi, sono al primo posto come importanza nello spettacolo. Anche in questo, inteso come opera filmica. La chiave di volta della storia Come l’acqua per gli elefanti, forse non a caso, ricade infatti nelle loro zampe.

Il ragazzo che vide la fine del mondo: Jake Gyllenhaal

Il ragazzo che vide la fine del mondo: Jake Gyllenhaal

Occhi azzurri e broncio da eterno ragazzino, Jake Gyllenhaal è entrato nell’immaginario collettivo dando corpo a Donnie Darko, il ragazzino un po’ asociale che tra disquisizioni pseudo dotte sul sesso dei puffi e visioni inquietanti ha previsto la fine del mondo nel 2001.

Dopo 10 anni di vita al cinema e dopo aver interpretato numerosi personaggi importanti per la filmografia mondiale a diversi livelli, Jake ritorna al cinema in Source Code, thriller fantascientifico magistralmente diretto da Duncan Jones, lo stesso del semisconosciuto e prodigioso Moon. In Source Code Jake mostra la sua padronanza della scena, seppur claustrofobica, palesando agli occhi dello spettatore che il ruolo del soldato è quello che gli si addice maggiormente, infatti già Sam Mendes nel 2006 ne aveva fatto un marines in Jarhead.

Una vita nel cinema: il nostro giovane Jake nasce in una famiglia inserita nell’ambiente, padre, Stephen Gyllenhaal, regista di origine svedese; madre, Naomi Foner, sceneggiatrice ebraica e newyorkese; ha anche una sorella maggiore, Maggie, splendida attrice cinematografica vista accanto a lui in Donnie Darko, ma anche in Secretary e soprattutto ne Il Cavaliere Oscuro nei panni di Rachel, amica e amata di Bruce Wayne/Batman. Non solo la famiglia ma anche la sua cerchia di amici e (come spesso succede) amori gira intorno ad Hollywood: fidanzato con Kirsten Dunst per due anni, poi con Reese Witherspoon e per un po’ di tempo anche con Taylor Swift; trai suoi migliori amici si contano la bella e più volte compagna di set Anne Hathaway, il compianto Heath Ledger, anche lui collega nel discusso I Segreti di Brokeback Mountain, ma anche il cigno Natalie Portman e i componenti dei Maroon 5.

Il ragazzo che vide la fine del mondo: Jake Gyllenhaal

Il giovane Jake Gyllenhaal Inizia la sua carriera all’età di 5 anni come protagonista nel video della canzone Lay It Down della band rock Ratt, ma il suo vero debutto sul grande schermo avviene nel 1991, all’età di 10 anni, nel film Scappo dalla città – La vita, l’amore e le vacche di Ron Underwood. Prima del diploma, l’unico film non diretto dal padre al quale ha potuto partecipare è Josh and S.A.M., un film d’avventura per bambini poco conosciuto. Dopo essersi diplomato alla Harvard-Westlake High School di Los Angeles nel 1998, si iscrive nel 2000 alla Columbia University di New York per seguire un corso di Religioni Orientali e Filosofia, ma dopo due anni abbandona gli studi per concentrarsi sulla sua carriera d’attore.

Il primo ruolo da attore protagonista ci sarà nel 1999 con il film Cielo d’ottobre di Joe Johnston, nel quale interpreta la parte di un figlio di minatori che, colpito dal lancio dello Sputnik, decide di costruire un proprio razzo per lanciarlo nel cosmo. Il film incassa 32 milioni di dollari e Jake riceve commenti molto positivi dalla critica per la sua performance; il ragazzino dallo sguardo imbambolato comincia a farsi notare e presto arriverà l’occasione di una vita: Donnie Darko. La notorietà internazionale e il plauso della critica arrivano infatti nel 2001 grazie al film cult di Richard Kelly. Presentato al Sundance Film Festival il 19 gennaio del 2001, il film non ottiene buoni incassi ma strega una solido gruppo d fan che ne porteranno avanti il ‘mito’ e o faranno diventare un piccolo cult. Elvis Mitcheel, giornalista del New York Times, dice: «La performance di Gyllenhaal è particolarmente inquietante: è probabilmente lontano solamente un paio di grandi ruoli dal diventare una star».

Nello stesso anno incontra Heath Ledger, con il quale partecipa al provino per Moulin Rouge! di Baz Luhrmann. Come sappiamo il ruolo fu poi affidato ad Ewan McGregor, ma Heath e Jake divennero molto amici da allora, tanto che l’attore prematuramente scomparso indicò proprio il nostro Jake quando si trattò di scegliere un padrino per la sua primogenita Matilda, nata dall’unione con Michelle Williams. Dopo Donnie Darko partecipa a diversi film più o meno indipendenti e recita accanto a Jared Leto (attore e front man dei 30 Seconds to Mars), Jennifer Aniston, Susan Sarandon, Dustin Hoffman, oltre a debuttare a teatro accanto a Hayden Christensen e Anna Paquin in This Is Our Youth di Kenneth Lonergan, che rimane in cartellone a Londra per 8 settimane.

Nel 2004, arriva una grande opportunità che purtroppo Jake non riesce a cogliere (non per suo demerito). Infatti Tobey Maguire rimase infortunato durante le riprese di Spider Man 2 e Sam Raimi prende in considerazione Gyllenhaal come sostituto di Tobey. Come sappiamo però Maguire si ristabilisce e Jake può così partecipare al catastrofico The Day After Tomorrow – L’alba del giorno dopo, del 2004, lavorando per Roland Emmerich accanto a Emmy Rossum e Dennis Quaid. Jake è Sam, brillante studente in visita a New York per una competizione insieme ad altri suoi compagni di scuola. In città, Sam rimarrà prigioniero nella biblioteca attanagliato dal gelo di una improvvisa, implacabile nuova Era Glaciale.

altMa il 2005 è l’anno del successo planetario: il regista Ang Lee lo sceglie per interpretare Jack Twist, mandriano che scopre l’amore in Ennis Del Mar, interpretato dall’amico Heath Ledger. Il film è I segreti di Brokeback Mountain e la performance dei due attori protagonisti viene acclamata, forse anche per scongiurare accuse varie di omofobia, all’unanimità da critica e pubblico: il film ottiene, infatti, 71 premi e 52 nomination. Il Jack interpretato da Jake è un uomo sensibile e innamorato, che non accetta la ritrosia del suo compagno e vive una vita priva di gioia, sempre in attesa che il suo Ennis faccia qualcosa per potergli stare accanto. Per la sua interpretazione, Gyllenhaal riceve numerosi riconoscimenti tra i quali un premio BAFTA, uno Screen Actors Guild, in entrambi i casi nella categoria di “miglior attore non protagonista” e un MTV Movie Award nella categoria “miglior bacio” con il collega Heath Ledger. Sempre nella categoria “Oscar al miglior attore non protagonista” riceve una candidatura al Premio Oscar.

È in questo film che Jake incontra anche Anne Hathaway, che interpreta Lureen Newsome, ricca e un po’ rozza texana che sposerà Jack. La coppia Gyllenhaal/Hathaway si è dimostrata vincente anche di recente al cinema, con Amori e altri rimedi, firmata Edward Zwick, dramma travestito da commedia, ridanciano e scollacciato in cui i due giovani attori sono due amanti e fanno bella mostra dei loro corpi belli e giovani. Lo stesso Zwick ha sottolineato: “Eravamo tutti d’accordo nel dare autenticità a questa relazione. Per quanto riguarda la mia esperienza, quando due persone si mettono insieme trascorrono un sacco di tempo a letto. Il letto diventa il loro mondo. Se Jake Gyllenhaal e Anne Hathaway avessero tenuto le lenzuola fino al mento sarebbe stato ridicolo”. Inoltre i due attori, amanti sul set, sono amici ‘di cucina’: sono soliti scambiarsi consigli e ricette culinarie; i due si sono ritrovati a scambiarsi SMS per qualche consiglio culinario, ma è soprattutto Jake – che è considerato un cuoco provetto, ad Hollywood – ad aiutare la collega, che invece non è particolarmente brava in questo campo. “Lei mi manda messaggi quando ha dei dubbi in materia di cucina” – ha rivelato Gyllenhaal – “L’altra sera Annie mi ha chiesto un consiglio su come fare velocemente il pangrattato, e io le ho scritto tutte le istruzioni, mettendoci 15-20 minuti. E lei mi ha risposto: “Ah sì, ci pensato. Ma non funziona.”

Nel 2005, recita nella pellicola del regista Sam Mendes sulla guerra del Golfo, Jarhead, assieme al cognato Peter Sarsgaard e in Proof – La prova di John Madden, accanto a Gwyneth Paltrow e Anthony Hopkins. Dopo una pausa di due anni, David Fincher lo vuole sul set di Zodiac, film che tratta dell’omonimo serial killer statunitense, mai catturato. Gyllenhaal interpreta Robert Graysmith, vignettista fanatico di parole crociate e rebus, che insieme all’ispettore David Toschi (Mark Ruffalo) ed al giornalista disfattista e alcolizzato Paul Avery (Robert Downey Jr.) proveranno a dare la caccia al serial killer Zodiac. Il ritmo dilatato del film di Fincher da ampio spazio alla prova attoriale di Jake che si mostra all’altezza del regista e dei suoi illustri colleghi.

Sempre nel 2007 esce Rendition – Detenzione illegale di Gavin Hood, accanto a Reese Witherspoon, Meryl Streep e di nuovo Peter Sarsgaard. Ma presta anche la voce al cortometraggio d’animazione The Man Who Walked Between the Towers di Michael Sporn, in cui commenta l’impresa dell’acrobata francese Philippe Petit che, il 7 agosto 1974, camminò su una fune da una Torre Gemella all’altra, venendo poi “condannato” ad esibirsi al Central Park davanti ad un pubblico di bambini. La stessa storia viene raccontata nel bellissimo documentario premio Oscar Man on Wire, presentato in anteprima mondiale al Festival di Roma del 2008.

Dal 6 luglio 2006 è tra i 120 nuovi invitati a far parte della Academy, con diritto di voto per le assegnazioni degli Oscar. La sua nomina, come le altre, è stata ufficializzata il 20 settembre 2006 nel corso di una cerimonia tenutasi al Fairbanks Center for Motion Picture Study di Beverly Hills. Considerato un sex symbol nel mondo dello spettacolo, nel 2006 viene confermata la sua posizione dalla rivista People che lo piazza nella classifica “50 Most Beautiful People” e in quella di “Hottest Bachelors of 2006”, ma Jake in realtà si contraddistingue proprio per la differenza tra la sua prestanza fisica, che si nota soprattutto in Prince of Persia del 2008, e il suo viso, da eterno ragazzo.

Del 2008 sono Brothers, film di Jim Sheridan, con l’amica Natalie Portman e l’ex ‘rivale’ Tobey Maguire, e Prince of Persia: Le sabbie del Tempo, film tratto dell’omonimo videogioco, in cui Gyllenhaal interpreta il principe Dastan, accanto a Gemma Artenton. Per questo ruolo Jake si è dovuto allenare molto, costruendosi una fisicità che prima non aveva affatto in modo da poter fare il più possibile a meno di controfigura e stun. Il 4 febbraio 2011 esce in Italia Amore & altri rimedi, di cui abbiamo già parlato e per la quale Jake ha ricevuto una candidatura ai Golden Globes.

E’ attualmente in fase di post produzione Nailed, commedia romantica che vede Jake Gyllenhaal recitare accanto di Jessica Biel e James Marsden. Nel film una giovane cameriera di una piccola città, in seguito ad un incidente, subisce sbalzi di comportamento. A Washington un giovane senatore la prende sotto la sua ala protettrice, ma l’amore ci metterà lo zampino. Alla regia il ritrovato David O. Russel reduce dal successo del suo The Fighter. Source Code, nelle sale italiane dal 29 aprile, aprirà il prossimo Southwest Film Festival.

Molto legato alla sua famiglia, ha più volte dichiarato di essere di fede ebraica, religione professata dalla madre e, all’età di 13 anni, ha celebrato il suo Bar mitzvah. Jake Gyllenhaal, come gli altri membri della sua famiglia, è impegnato in numerosi progetti che promuovono la cultura, l’educazione, i diritti umani, la non-violenza e la difesa dell’ambiente. È sostenitore dell’ACLU (Unione Americana per le Libertà Civili), dell’associazione Not in Our Name che promuove un patriottismo pacifico, e del College Summit, un’organizzazione no-profit che aiuta, anche economicamente, l’ingresso al college degli studenti poco abbienti. Nel 2004 ha partecipato alla campagna elettorale di John Kerry, candidato democratico alla presidenza USA. In occasione della 78ª Notte degli Oscar, si è recato al Kodak Theater di Los Angeles su una macchina che produce l’80% in meno di emissioni inquinanti, aderendo con vari altri candidati e presentatori all’iniziativa Red Carpet, Green Cars. L’attore, inoltre, sostiene le attività della CarbonNeutral Company in difesa dell’ambiente, e nel 2010 è entrato a far parte della campagna Stand Up To Cancer insieme ad altre star di Hollywood.

CURIOSITA’

  • Madrina di Jake è l’attrice Jamie Lee Curtis, mentre il suo padrino è Paul Newman. Il fascinoso attore dagli occhi di ghiaccio, che è un grande appassionato di motori, ha dato a Jake le prime lezioni di guida.
  • Jake Gyllenhaal ha rivelato che suo cognato Peter Sarsgaard gli ha fatto conoscere la comodità di correre a piedi nudi, o quasi. Jake infatti ha detto che non indossa normali scarpe da ginnastica, perchè le trova scomode, e preferisce quelle con una suola molto sottile, che gli garantiscono comodità e al tempo stesso gli impediscono di farsi male quando corre in città.
  • Il buio oltre la siepe è il libro preferito di Jake Gyllenhaal, tanto che l’attore ha chiamato i suoi due cani Boo e Atticus, come due personaggi principali del romanzo di Harper Lee.
  • Uno dei docenti di Jake Gyllenhaal ai tempi in cui frequentava la Columbia University, era Robert Thurman, padre di Uma Thurman.
  • Jake è inoltre discendente di Johan Abraham Gyllenhaal, geologo e mineralogista, uno dei membri della famiglia nobile svedese dei Gyllenhaal. Il cognome Gyllenhaal, in svedese, potrebbe significare “salone d’oro”.

The Dark Knight Rises: dettagli sulla location India!

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The Dark Knight Rises: dettagli sulla location India!

Dopo l’annuncio che alcune scene di The Dark Knight Rises verranno girate nella città indiana di Jodhpur, detta la Città Blu, e ecco arrivarealcuni dettagli aggiuntivi…Estratti dell’articolo del Times of India:

Il regista Christopher Nolan verrà a Jodhpur a girare The Dark Knight Rises con nientemeno che Christian Bale. Non è prevista la presenza di altri attori di Hollywood per questa porzione indiana di riprese.

Nolan era venuto in India a dicembre a fare un sopralluogo a Jodhpur: è stato allora che ha scelto di girare al Forte Mehrangar. La troupe principale inizierà ad arrivare il 1 maggio, Christian Bale arriverà in India il 4 o 5 maggio. Anche se sono stati chiesti permessi per girare lungo tutto il mese di maggio, la prima unità girerà solo un paio di giorni: il 6 e il 7 maggio.

Gli alberghi a Jaipur e Jodhpur sono già stati prenotati. Una fonte ci rivela che “Nolan aveva fatto sopralluoghi a Jodhpur e Jaipur: si è innamorato della prima città e ha deciso di girare lì. La troupe coinvolta sarà piccola, coinvolgerà una quindicina di persone, e gireranno un paio di giorni. Non ci saranno attori di Bollywood nel film, ma alcuni membri della comunità locale di attori e di lavoratori del settore potrebbero essere coinvolti. La troupe vuole utilizzare lo splendido Forte come sondo per il film. Comunque, non sappiamo se Jodhpur comparirà nel film come città indiana o meno.

La Bellucci interpreterà Oriana Fallaci?

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L’idea è di Andrej Wajda, regista di Katyn. Molti sono i progetti artistici che hanno come obiettivo quello di rappresentare e onorare forse la più importante scrittrice e giornalista italiana del ‘900: Oriana Fallaci. Dal cinema al teatro, fino alla televisione.

Twilight Saga Breaking Dawn: nuove foto!

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E’ cominciata la campagna di amrketing che la Summit Entertainment porterà avanti per Breaking Dawn, fino all’uscita in sala del film previsto per il 18 novembre del 2011. Ecco infatti alcune foto pubblicate da Entertainment Weekly, con tanto di copertina della rivista. Oltre a molte foto inedite, il servizio sarà corredato da numerose dichiarazioni dei protagonisti:Bill Condon, Kristen Stewart, Robert Pattinson eTaylor Lautner.

Ecco le foto:

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Fonte: moviesushi

Ken Loach: 44 anni di cinema senza mai perdere l’indignazione

Ken Loach: 44 anni di cinema senza mai perdere l’indignazione

Ebbene sì, a quasi 75 anni, il signor Ken Loach ancora s’indigna. E lo dimostra col suo ultimo film L’altra verità – Route Irish, da mercoledì scorso nelle sale italiane, in concorso a Cannes 2010, in cui affronta uno dei temi più controversi della nostra attualità: la guerra in Iraq.

E lo fa adottando un punto di vista vicino a chi la guerra l’ha subìta, senza esserne minimamente responsabile, ossia le vittime civili irachene. Il regista ha infatti affermato che questa guerra viene vista troppo spesso come una tragedia americana, mentre non è affatto così: “volevamo avvicinare la gente alle sensazioni del popolo iracheno: milioni di morti, quella è la tragedia”.

Ken Loach, filmografia

Ma ciò che intende fare con questo film, oltre a far luce sul fenomeno dei “contractors”, che ha portato alla “privatizzazione di fatto” della guerra, è anche suscitare la reazione del pubblico di fronte all’atteggiamento delle potenze occidentali in merito a ciò che è accaduto in Iraq – al fatto, ad esempio, che si sia praticata la tortura. Un atteggiamento di accettazione, di chi invita ad andare avanti, magari dimenticando. Lo ha detto senza mezzi termini il regista di Nuneaton, presentando il film a Cannes: “lo hanno fatto nel nostro nome, e coloro che reputano accettabile tutto ciò, i vari Blair, Bush e gli altri, sono ancora lì. Inoltre Blair, con grandissima ironia, è stato nominato Ambasciatore di pace in Medio Oriente (…) Quindi, se non possiamo farli giudicare da una corte di giustizia, dobbiamo almeno farli giudicare dall’opinione pubblica”. Perciò, obiettivo del film è “mantenere vivo il senso d’ingiustizia” rispetto ai crimini commessi in questa guerra.

Potremmo citare altre sue dichiarazioni – dalle prese di posizione nei confronti d’Israele, alla provocatoria definizione della Gran Bretagna come una “colonia culturale degli Stati Uniti” – ma ce n’è già abbastanza per farsi un’idea di chi sia Ken Loach e del suo cinema. Un cinema che pone domande, che scuote, che non lascia mai indifferenti e spinge a reagire di fronte alle ingiustizie e ai soprusi. Un cinema coraggioso e politico nel senso più ampio del termine, che gli è valso prestigiosi riconoscimenti internazionali.

Dal 1963 ad oggi, il regista, nato nel Warwickshire il 17 giugno del ’36, ha portato la sua denuncia sociale prima in tv, lavorando per la BBC assieme al produttore Tony Garnett, e innovando fortemente nei primi anni ’60 gli schemi televisivi, con i suoi docu-dramas, poi sul grande schermo.

Qui, dal 1967, si è dedicato al racconto del mondo operaio, che fa parte delle sue origini, ma ha saputo fotografare bene anche la borghesia inglese con pellicole come Family life (1971). La sua fama resta però indubbiamente legata alla produzione degli anni ’90, con pellicole come Terra e libertà, sulla guerra civile spagnola, e altre, dove torna a parlare del proletariato britannico, realtà da lui ben conosciuta. Così fa in Riff Raff, dove si scaglia con forza contro le politiche tatcheriane, o con la storia dell’ex alcolista Joe, o coi ferrovieri di Paul, Mick e gli altri, fino al più recente Il mio amico Eric. E in questa realtà marginalizzata include anche i nuovi poveri, gli ultimi arrivati nella scala sociale britannica, come in quella delle altre società occidentali: gli immigrati, costretti ai lavori più umili e spesso senza alcun diritto (Bread and roses, In questo mondo libero). Loach racconta la Storia, attraverso storie di persone ordinarie, cercando di capire e far capire i meccanismi secondo cui essa si muove, suggerendo strade di possibile cambiamento.

Sin dagli esordi cinematografici, con Poor Cow (1967) e Kes (1969), il regista mostra le sue doti, inaugurando l’indagine sulle condizioni esistenziali del proletariato britannico, che saprà dipingere sempre con efficace realismo: è attento e scrupoloso, ironico e tagliente, drammatico, ma non retorico. In questi suoi primi lavori, sceglie un approccio quasi documentaristico, per raccontare rispettivamente di una giovane donna e di un ragazzino ai margini della società, alle prese con continue sfortune, incontri sbagliati e vessazioni.

Nel ’71 esplorerà invece l’asfittico e tarpante universo borghese della sua Inghilterra, trattando in modo vivido e toccante il tema della malattia mentale, con Family life. Al centro, la vicenda umana della giovane Janice Baildon/Sandy Ratcliff, che non riesce a prendere in mano la propria vita ed è costretta dai genitori ad abbandonare amore, sogni e aspirazioni. Da tutto ciò fugge, scivolando lentamente ma inesorabilmente nella malattia mentale, che la condurrà in ospedale psichiatrico. A nulla valgono le insistenze della sorella Barbara, che, staccatasi dalla famiglia con cui è in aperto contrasto, inviterà più volte Janice a fare altrettanto. Loach pone domande e invita a riflettere sull’apparente normalità di una famiglia borghese, dietro cui si celano incomunicabilità e alienazione, ma anche su un apparato statale carente nell’affrontare il disagio sociale ed esistenziale. In seguito, il regista di Nuneaton torna a lavorare per la tv, dedicandosi solo di rado al cinema.

A inizio anni ’90, invece, il grande schermo è di nuovo una delle sue principali occupazioni. In questo decennio, e in quello successivo, la sua fama si consoliderà, facendolo entrare a pieno titolo tra i più grandi registi europei. Il decennio si apre con una pellicola d’impegno, componente irrinunciabile nel lavoro di Loach. Si tratta del thriller L’agenda nascosta, in cui il regista ci presenta l’annosa questione dell’IRA in Irlanda, da un punto di vista del tutto diverso da quello solitamente adottato. Ci parla, come farà spesso nel confrontarsi coi grandi temi storici, di verità nascoste, lati oscuri, responsabilità che non ricadono mai da una sola parte, come troppo spesso siamo portati a credere. Qui si tratta infatti di violazioni commesse dalle forze di polizia inglesi nei confronti di militanti irlandesi dell’IRA e dell’inchiesta che ne scaturisce; della morte di un avvocato americano, e della volontà di sua moglie di scoprirne il reale motivo. Abbiamo quindi – e le ritroveremo in molti film di Loach – delle storie personali dal forte valore emotivo, con un elevato potenziale di coinvolgimento, che sono l’occasione per mettere in moto una riflessione. La pellicola ottiene il Premio speciale della Giuria al Festival di Cannes.

Loach continua poi la sua indagine sulle problematiche della società britannica, e in particolar modo delle sue classi meno agiate, e lo fa con Riff, raff, in cui, attraverso le vicende di Steve/Robert Carlyle, ex galeotto che trova lavoro come operaio edile, punta il dito contro le politiche tatcheriane disinvoltamente liberiste, che lasciano le classi lavoratrici senza i più elementari diritti (emblematico il fatto che i protagonisti lavorino per trasformare un ex ospedale in un condominio di lusso). La vita di cantiere è dipinta con la consueta precisione e realismo. Accanto a Carlyle, che Loach sceglierà anche per La canzone di Carla, troviamo Peter Mullan, futuro protagonista del fortunato My name is Joe.

Per non farsi mancare nulla e tratteggiare un quadro completo della marginalità sociale inglese, Loach firma nel ’94 il commovente Ladybird, Ladybird, ritratto di Maggie/Crissy Rock, madre cui viene tolta la custodia di quattro figli, perché inadatta a crescerli, e poi ancora di altri due, avuti con un compagno assieme al quale cercava di rifarsi una vita. Il film è tratto da una storia vera, e non vuole certamente difendere ad ogni costo Maggie, che viene mostrata senza ipocrisie, in un ritratto fatto di luci e ombre. Piuttosto, ancora una volta, vuole restituire una visione complessa della realtà, mostrandoci un punto di vista che ci spinga a interrogarci sul tema dell’affidamento. Orso d’oro a Berlino per la Rock come Miglior Attrice.

Torna poi alle grandi vicende della Storia, raccontate però sempre dal basso, a partire dalla gente comune, con Terra e libertà (1995). In questo caso si parla della guerra civile spagnola del ’36, e di un giovane di Liverpool, David/Ian Hart, che parte per andare a combattere contro le truppe di Franco, a fianco del Partido Obrero de Unidad Marxista. Passerà attraverso l’ardore idealista degli inizi, sperimenterà difficoltà, vivrà anche una storia d’amore con Blanca/Rosana Pastor, militante del Poum, insieme si scontreranno con la disillusione di un triste epilogo. La disgregazione e le lotte interne al fronte d’opposizione contro Franco porteranno infatti allo scioglimento del Poum e lasceranno la strada aperta alla dittatura. Quando gli verrà intimato di deporre le armi e alcuni suoi compagni si rifiuteranno, a farne le spese sarà proprio Blanca, che morirà tra le braccia di David. Anche qui, c’è passione politica, c’è dramma, ma la crudezza e l’autenticità salvano dalla retorica. Il film ottiene il Premio della Giuria ecumenica al Festival di Cannes.

Loach non rinuncia poi a parlarci della guerriglia controrivoluzionaria dei Contras nel Nicaragua sandinista, scegliendo come protagonista di nuovo Robert Carlyle. Il film è La canzone di Carla. Siamo nel 1987 e questo racconto in due parti esplora da un lato, la realtà britannica – la prima parte del film è infatti ambientata a Glasgow – dall’altro, quella nicaraguense, poco conosciuta in Europa. Occasione per fare ciò, è una vicenda umana delle più semplici, e si direbbe banali: la storia d’amore tra l’operaio di Glasgow George Lennox/Robert Carlyle e la nicaraguense Carla, giunta in Scozia da rifugiata. Il film inaugura la lunga e fruttuosa collaborazione tra Loach e lo sceneggiatore Paul Laverty.

Nel ‘98 i due collaboreranno ancora, stavolta per tornare ad occuparsi esclusivamente di Regno Unito, con My name is Joe, storia di un ex alcolista che cerca di rifarsi una vita, ottimamente interpretato da Peter Mullan, che è premiato con la Palma d’Oro a Cannes. Ancora vite ai margini in cerca di riscatto e di giustizia, come sarà anche nel successivo Bread and roses (2000), che affronta il tema delle rivendicazioni di diritti civili da parte degli immigrati. Stavolta, però, Loach va in trasferta negli Usa, dove l’immigrazione è quella messicana. La protagonista, Maya, lotterà per i suoi diritti di lavoratrice, vedendoli riconosciuti. E di rivendicazione di diritti, stavolta da parte di un gruppo di ferrovieri inglesi in cassa integrazione, si parla in Paul, Mick e gli altri (2001), a sottolineare che, anche dopo l’era Tatcher – il film è ambientato negli anni Novanta, durante il governo di Major – le prospettive per la classe lavoratrice inglese non sono certo rosee. Loach sarà molto critico anche nei confronti del nuovo corso laburista, inaugurato da Blair, e sosterrà il movimento Respect, a sinistra del nuovo Partito Laburista.

Nel 2002, sarà tra i registi che realizzeranno corti sul tema dell’11 settembre 2001, e anche in questo caso lo farà in maniera del tutto peculiare, volgendo ancora una volta lo sguardo dove lo spettatore non si aspetta. Partendo infatti dalla data dell’attentato alle Torri Gemelle di New York, il regista britannico ricorderà un altro 11 settembre, quello del 1973, che vide in Cile il golpe di Pinochet e la morte del Presidente Allende, il sovvertimento dell’ordine democratico e l’instaurarsi di una dittatura che avrebbe portato a migliaia di morti innocenti e di persone torturate, sotto gli occhi di tutto il mondo occidentale, Usa compresi, che non fecero nulla per fermare Pinochet, e anzi lo considerarono interlocutore degno delle loro diplomazie. Anche qui, dunque, la prospettiva adottata fa sorgere vari quesiti: esistono vittime di serie A e vittime di serie B? Attentati alla democrazia di fronte ai quali è giusto indignarsi e altri verso i quali è opportuno restare indifferenti? Loach solleva la questione, allo spettatore il compito di farsi un’opinione in merito.

Il 2006 sarà invece l’anno che porterà al regista inglese la Palma d’Oro al Festival di Cannes, che ancora una volta dimostrerà grande apprezzamento nei confronti di questo arguto cineasta. Lo farà premiando Il vento che accarezza l’erba, in cui si riapre una delle pagine più dure della storia britannica: la guerra civile che dilaniò l’Irlanda negli anni ’20. Da una parte l’esercito inglese che vuole reprimere ogni residua volontà indipendentista in Irlanda, dall’altra il popolo irlandese, che si dividerà a sua volta tra chi accetterà un trattato che pone fine alle ostilità con gli inglesi e chi vi si opporrà, considerandolo un mero opportunismo. Ancora una volta, una guerra fratricida, inutile, anzi, dalle conseguenze disastrose. Loach ce la fa vivere attraverso le vicende di una famiglia irlandese, che si troverà su fronti opposti delle barricate. Sceneggiatura curata dall’ormai immancabile Paul Laverty, e massimo riconoscimento a Cannes per il film.

L’anno successivo, Loach e Laverty torneranno invece alla stretta contemporaneità e al mondo del lavoro, occupandosi della sua precarizzazione, di liberalizzazione e competizione selvagge. In questo contesto, Angie, la protagonista di In questo mondo libero, licenziata, si fa imprenditrice di una ditta di collocamento per immigrati e finirà per trattare le persone che le si rivolgono come fossero una merce. Loach torna dunque all’attualità, evidenziando i guasti prodotti nelle società occidentali dal liberismo selvaggio. C’è chi ha definito cinico il suo approccio in questa pellicola, ma a tale osservazione il regista di Nuneaton ha risposto rivendicando una necessità di realismo, che faccia comprendere il reale funzionamento dei meccanismi delle nostre società, come presupposto di un possibile cambiamento. Laverty si è guadagnato con questo lavoro l’Osella d’Oro per la sceneggiatura al Festival del Cinema di Venezia 2007.

Ancora una storia ai margini della working class britannica è quella di Il mio amico Eric (2009), sempre in collaborazione con Laverty. Eric è un uomo la cui esistenza è allo sbando, ma mentre sta andando alla deriva, sarà soccorso dal suo idolo, qui una sorta di angelo custode: Eric Cantona, calciatore del Manchester. Il film unisce toni leggeri e drammatici, e sperimenta elementi surreali, riuscendo ancora una volta a catturare il pubblico, anche trattando temi non facili. Premiato a Cannes dalla Giuria Ecumenica.

Siamo così ad oggi. Nel 2010 infatti, la premiata ditta Loach-Laverty torna ad occuparsi di questioni internazionali e di Storia, affrontando, da inglese, il tema della guerra in Iraq. E lo fa, come detto in apertura, con L’altra verità – Route Irish, affidando il ruolo del protagonista a Mark Womack, noto attore televisivo inglese al suo debutto cinematografico. Womack interpreta un ex contractor il cui miglior amico, contractor anch’egli, muore in circostanze poco chiare sulla tristemente nota strada di Baghdad. Qui, si mettono a nudo aspetti spesso taciuti di questo recente conflitto, ma indispensabili per comprenderlo, proprio perché, come ha affermato lo stesso Loach, il cinema ci aiuta a fare ciò che tutti dovremmo fare, essendo nel mondo: cercare di capirlo. E può talora suggerirci strade da percorrere, se ne vogliamo ottenere il mutamento. Se vi state chiedendo dove sia, allora, la differenza tra cinema e politica, beh, la risposta, con la consueta ironia, la dà lo stesso Ken, ricordando un vecchio slogan della sinistra americana: “scuotere (agitate), istruire (educate), organizzare (organize). I film possono scuotere un po’, non possono realmente istruire e neppure organizzare. Quindi, fateci fare ciò che possiamo, cioè scuotere, ma una volta che siete usciti dal cinema, per l’amor di Dio, organizzatevi!

I Baci Mai Dati: recensione del film di Roberta Torre

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I Baci Mai Dati: recensione del film di Roberta Torre

Una serie di sospiri accompagnano la soggettiva offuscata della statua della Madonna che apre il film premio Brian a Venezia 2010  come miglior film “che evidenzi ed esalti i valori del laicismo”. I Baci Mai Dati di Roberta Torre arriverà venerdì 29 nelle sale italiane a due anni dalla sua realizzazione e con due importanti festival alle spalle: Venezia (nella sezione Controcampo italiano) e il Sundance Film Festival.

I Baci Mai Dati narra le vicende di Manuela (Carla Marchese), una ragazza di tredici anni che, stanca dei disordini familiari, decide un po’ per gioco, un po’ per provocazione e un po’ per una qualche forma di convinzione di far credere agli abitanti del quartiere di aver parlato con la Madonna. Dopo lo scherno iniziale dei genitori che iniziano a rinfacciarsi le responsabilità per aver dato alla luce due figlie: una che “parla con la madonna” e l’altra che “sembra la figlia di Paris Hilton” la madre inizia a fiutare l’affare e mette in moto un grande business attorno alla presunta santità della figlia. La gente ha bisogno di sperare, ma la speranza è diversa dal “farsi prendere per il culo” come osserva la protagonista.

Il quartiere catanese di Librino fa da sfondo alla vicenda. Una vicenda siciliana ma non solo in cui i personaggi sono al tempo stesso tipici di una realtà locale (come il “biondo Librino” che caratterizza i capelli di Donatella Finocchiaro) ma anche stilizzati, personaggi fumetto, come stilizzate ed esagerate sono le scelte formali della regista. Il kitsch caratterizza oggetti e arredi legati al mondo della fede: una chiesa ridipinta di un blù elettrico in cui troneggiano statue e dipinti di dubbio gusto, cui fanno eco i gadget con la faccia della bambina “santa” voluti dalla madre.

Il colore è un tratto esuberante che caratterizza il film e che trova la sua massima espressività antinaturalistica nel salone della parrucchiera-fattucchiera interpretata da Piera Degli Esposti. Una parrucchiera che non si limita a curare l’estetica delle teste, ma che agisce magicamente anche sul loro contenuto, un’altra “spacciatrice di speranza” che viene messa in diretta relazione con la bambina. Nel finale il miracolo accade, o meglio, i miracoli accadono. Il primo è nel riavvicinamento tra madre e figlia, coronato da quei “baci mai dati” cui accenna il titolo. Il secondo apparentemente più inspiegabile è lasciato in sospeso e sorprende la stessa protagonista stanca del suo bluff.

In questo film delicato ma anche graffiante la regista (anche sceneggiatrice con Laura Nuccilli e anche produttrice con Amedeo Bacigalupo) si è avvalsa della collaborazione di attori di chiara fama e collaudatissimo mestiere come Piera Degli Esposti, Pino Micol, Donatella Finocchairo e Giuseppe Fiorello ma anche di due attrici giovanissime: Carla Marchese e  Martina Galletta al loro esordio cinematografico.

Voglia di tenerezza

Voglia di tenerezza Regia: James L. Brooks Anno: 1983 Cast: Shirley MacLaine, Debra Winger, Jack Nicholson.

Il film è tratto da un romanzo di Larry McMurtry del 1975, dall’omonimo titolo. Nel romanzo però non appare il personaggio di Garrett, ideato dallo stesso Brooks, interpretato da Jack Nicholson e centrale nel film. I protagonisti portano dentro di sé tristezza e insoddisfazione, cadendo così in sbagli continui arrecati proprio dalla loro fragilità.

Abbiamo Aurora, donna che non accetta di invecchiare e vorrebbe restare una single eternamente corteggiata dagli uomini; c’è Emma, la figlia, che è sempre più trascurata dal marito Flap, che di fatto la tradisce, causandone così il reciproco tradimento; c’è Garrett, ex astronauta vitellone. Ma il brutto male che colpisce Emma porterà un cambiamento positivo in ognuno di loro: Aurora accetterà di buon grado il ruolo di nonna, Flap si impegnerà di più come padre, Garrett si dedicherà anima e cuore ad Aurora, sbarazzandosi dal ruolo di scapolone negli “anta”. Commedia adatta per gli amanti dei film lenti e riposanti, romantici, strappalacrime.

Voglia di tenerezza ha avuto anche un sequel girato nel 1996, Conflitti del cuore: nel film Aurora ha una tormentata relazione con un giovane psichiatra (Bill Paxton) e Nicholson compare solo in un cameo.

Al ritiro dell’Oscar Shirley MacLaine, durante il suo discorso, si rivolse a Debra Winger, candidata per la stessa categoria e lo stesso film, e le disse: “Metà di questo è tuo”. La Winger le rispose: “Allora ne prenderò metà”.

Il periodo delle riprese coincideva con la disintossicazione di Debra Winger da una seria dipendenza dalla cocaina, che causò molti comportamenti scorretti sul set, che in un’occasione la portarono addirittura alle mani con Shirley MacLaine.

James L. Brooks ha lavorato solo occasionalmente come regista, in quanto la sua principale attività è di produttore televisivo. Tra i lavori più famosi c’è quello di produttore esecutivo dei Simpson.

In America è molto conosciuto anche per programmi televisivi quali Mary Tyler Moore, Rhoda e Taxi. Come regista ha firmato altri cinque film: Dentro la notizia (Broadcast News, 1987), Una figlia in carriera (I’ll Do Anything, 1994), Qualcosa è cambiato (As Good As It Gets, 1997). Spanglish – Quando in famiglia sono in troppi a parlare (Spanglish, 2004) e il recente Come lo sai (How Do You Know, 2010).

Sebbene Brooks non abbia diretto molti film, con Voglia di tenerezza ha proposto una pellicola che ha fatto incetta di premi. Cinque Premi Oscar: Miglior film a James L. Brooks, Migliore regia a James L. Brooks, Miglior attrice protagonista a Shirley MacLaine, Miglior attore non protagonista a Jack Nicholson, Migliore sceneggiatura non originale a James L. Brooks. Quattro Golden Globe: Miglior film drammatico, Miglior attrice in un film drammatico a Shirley MacLaine, Miglior attore non protagonista a Jack Nicholson, sceneggiatura a James L. Brooks. Quattro National Board of Review Award: Miglior film, Migliore regia a James L. Brooks, Miglior attrice protagonista a Shirley MacLaine, Miglior attore non protagonista a Jack Nicholson. Due Kansas City Film Critics Circle Award: Miglior film, Miglior attore non protagonista a Jack Nicholson. Un David di Donatello: Miglior attrice straniera a Shirley MacLaine. E ancora 5 premi al Los Angeles Film Critics Association Award e tre al New York Film Critics Circle Award.

Caro Diario, il film di Nanni Moretti

Caro Diario, il film di Nanni Moretti

Caro Diario è un film diretto da Nanni Moretti e con protagonisti nel cast lo stesso Nanni Moretti e Silvio Orlando.

Con questo film (Caro Diario), Nanni Moretti ci offre un autentico documentario sulla politica italiana tra il ’94 e il ’97. Un documentario filtrato dalle sue sensazioni, delusioni, gioie, ansie, aspettative; sentimenti che si mescolano causa la politica e la vita privata. Dalla vittoria di Berlusconi nelle elezioni politiche del ’94 alla vittoria del Governo Prodi del ’96, passando per l’attesa per la nascita del figlio che lo distrae dal lavoro fino alle delusioni arrecategli dalla “sua” parte politica.

Caro Diario si apre con il discorso di Emilio Fede al Tg4 che annuncia la vittoria di Silvio Berlusconi alle elezioni politiche del 1994. Nanni Moretti è sconcertato dalla vittoria della destra e pensa di girare un documentario a proposito della figura di Berlusconi e del conflitto d’interessi. Tuttavia il progetto verrà accantonato per fare posto ad un musical.

Ma nel 1996 ci saranno le elezioni anticipate e Moretti (che nel frattempo aveva sospeso a tempo indeterminato il musical per mancanza d’idee) ripensa al suo progetto del film politico. Contemporaneamente la moglie gli rivela di essere incinta e da quel momento la vita di Moretti si divide tra il lavoro sul documentario e il figlio a cui dedica tantissimo tempo.

Caro Diario, un film egocentrico

Incontra notevoli difficoltà professionali e soprattutto personali nel suo nuovo ruolo di padre. Il documentario non verrà realizzato in tempo, quindi Moretti abbandona il progetto (anche per via della vittoria della sinistra) e si dedica nuovamente al musical, con protagonista un pasticciere trotskista (Silvio Orlando) che balla dopo la morte di Stalin nella sua pasticceria.

Caro diario è il film più egocentrico di Moretti; ma anche il più politico, al pari solo de Il Caimano, presentato 8 anni dopo (2006). Tra le scene che restano più impresse, si ricorda quella famosa della canna fumata da Moretti dopo la vittoria di Berlusconi nel ’94, con la madre di fianco; mentre la più toccante è quella che lo ritrae giungere sulle coste pugliesi in occasione dell’affondamento di una nave albanese da parte della Marina italiana, con Moretti che critica i dirigenti di sinistra non accorsi sul luogo dell’atroce misfatto.

Li critica con ironia nevrotica, affermando che negli anni del fermento politico e civile, loro erano chiusi in casa a guardare Happy days. Altra scena famosa è quella in cui Moretti incita Massimo D’Alema, ospite di Porta a porta incalzato da Berlusconi, di dire “qualcosa di sinistra”; o quanto meno qualcosa, visto che era silente agli attacchi dell’avversario.

Tra i riconoscimenti, si ricorda il David di Donatello vinto da Silvio Orlando nel ’98 come migliore attore.

Penelope Cruz per Sergio Castellitto

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Dopo aver confermato che sarà nuovamente sul set del film “italiano” di Woody Allen, The Wrong Picture, che si girerà in estate a Roma, Penelope Cruz  ritornerà nuovamente in Italia per essere diretta da Sergio Castellitto dopo la fortunata esperienza di Non ti muovere.

Antje Traue contro Superman?

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Antje Traue contro Superman?

La  teutonica Antje Traue (Pandorum), potrebbe entrare a far parte del cast di Superman: man of Steel, di cui ricordiamo fanno già parte Michael Shannon nei panni del generale Zod, Henry Cavill per la parte dell’eroe d’acciaio e inoltre Amy Adams, Kevin Costner e Diane Lane Il ruolo della Traue dovrebbe essere quello di Faora, una kriptoniana che contrasterà la forza di Superman sulla Terra. Sul personaggio di Faora, apparsa nei comic book del supereroe alla fine degli anni ’70, era basato quello di Ursa, apparsa in Superman e in Superman II. Ricordiamo che Superman:Man of Steel diretto da Zack Snyder  e prodotto da Christopher Nolan uscirà nelle sale americane il dicembre del 2012.

Fonte:comingsoon

Aronofsky presidente di giuria a Venezia

Sarà il regista, produttore e sceneggiatore statunitense Darren Aronofsky (autore del film d’apertura della 67 Mostra, Black Swan, e  Leone d’oro 2008 per The Wrestler)  è la personalità chiamata a presiedere la Giuria Internazionale del Concorso della 68esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (31 agosto-10 settembre 2011).

La decisione è stata presa dal Cda della Biennale di Venezia, presieduto da Paolo Baratta, accogliendo la proposta del Direttore della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, Marco Mueller.

I protagonisti di Twilight sbarcano a Napoli

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Gli attori del cast parteciperanno dal 10 al 12 giugno a un incontro coi fan presso l’Hotel Futura di Casoria. Dopo il successo dell’edizione romana del 2010, torna la Twilight Ita Con 2, la prima convention italiana dedicata alla saga vampiresca di «Twilight».

Fast & Furious 5: recensione del film con Paul Walker

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Fast & Furious 5: recensione del film con Paul Walker

Dom Toretto (Vin Diesel) e la sua famiglia, composta dalla sorella Mia (Jordana Brewster) e dal di lei compagno Brian (Paul Walker), in Fast & Furious 5 si trovano, dopo la rocambolesca evasione di Dom, a Rio de Janeiro, per portare a termine un ultimo colpo che permetterà loro di rifugiarsi con un’altra identità in uno dei paesi che non applicano l’estradizione dei ricercati.

A Rio però il colpo si complica contro ogni aspettativa; vengono uccisi degli agenti federali e piomba in città, in tutto il suo splendore di muscoli e armi, l’agente speciale Hobbs (Dwayne Johnson), più che determinato a incastrare i Toretto. Intanto Dom ha spostato l’imprevisto del colpo andato a male su di un livello più personale e vuole affrontare una volta per  tutte il capo della malavita locale Reyes, depredandolo del suo potere e dei suoi soldi. Per fare ciò ha bisogno del migliore dei team possibili, e quindi  raduna i suoi uomini e donne migliori per portare a termine il colpo che metta in ginocchio il magnate del crimine.

Fast & Furious 5, il film

Fast & Furious 5 segna la riunione in grande stile del cast delle origini, per offrire due ore buone di intrattenimento composto da effetti sonori saturi, macchine veloci, sgommate, lotte tra culturisti e un po’ di Sudamerica. Questi elementi fanno di Fast & Furious 5 un prodotto completo per qualsiasi mercato: il cast di origine multietnica, le varie lingue in cui vengono declinati i dialoghi, i principi basici a cui il film è votato.

Non disattende la brama di azione, trucchi e astuzie da guardie e ladri, con una base di moralità legata al concetto di sacralità della famiglia. Quella che si è persa e per la quale si continua a lottare e quella che si allarga, dopo pochi minuti si scopre che la sorella di Dom è incinta di Brian, ex poliziotto ormai parte del team Toretto, e, per estensione, si parla anche di  famiglia acquisita, in questo caso formata dalla squadra di Dom che porta a termine il colpo.

Ovviamente in Fast & Furious 5 ci sono le macchine veloci, di cui tutti gli agenti specializzati sono esperti, e un’incredibile, anche se forse un po’ allungata, scena di inseguimento con cassaforte piombata a traino di due macchine ultrapotenti in pieno centro di Rio de Janeiro, con conseguente distruzione di molti edifici e carambole di macchine della polizia. Fanno perciò sorridere i disclaimer a fine film, che suggeriscono di non provare ad imitare queste scene, l’immaginazione porta immediatamente a una Maserati con attaccato un box di sicurezza delle poste che cerca di svicolare nel traffico del Lungotevere romano.

Fast & Furious  è una saga che ci accompagna da dieci anni, in cui i protagonisti si sono alternati attorno al nocciolo duro formato da Vin Diesel e Paul Walker e che ora ritorna al completo con l’aggiunta di Dwayne Johnson, che in più di una scena ci ricorda il perché un tempo non troppo lontano era conosciuto come The Rock e frequentava i ring del wrestling. La sua caccia a Toretto proseguirà nel prossimo (sicuro) capitolo. Un ultimo consiglio, questa volta più di altre  conviene restare oltre la fine dei titoli di coda: Eva Mendes è protagonista del teaser del prossimo film della serie, che vedrà il reintegro, per probabile riesumazione, di un’altra parte del cast.

Marlene Dietrich voleva uccidere Hitler?

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La clamorosa rivelazione è inserita nella biografia dedicata all’attrice, appena pubblicata negli Stati Uniti dalla scrittrice Charlotte Chandler.

L’era dei Remake e Reboot volge al termine?

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In un mondo di oggi saturo di remake e discretamente pieno di reboot fa un enorme piacere apprendere che la 20th Century Fox ha lanciato un’iniziativa molto interessante.

Box Office ITA del 25 Aprile 2011

Box Office ITA del 25 Aprile 2011

Rio continua a dominare al box office italiano, seguito dall’ottima tenuta di Habemus Papam e dalla new entry Faccio un salto all’Avana. Accettabile il risultato di Cappuccetto Rosso Sangue

Oltre ad aver conquistato da qualche settimana il box office internazionale, Rio sta ottenendo una buona prestazione anche qui in Italia, dove si conferma primo alla sua seconda settimana con 1,3 milioni di euro, giungendo a 3,7 milioni complessivi. Nel weekend pasquale, l’ottima tenuta può essere giustificata anche dal target di riferimento, visto che la pellicola di animazione in 3D è il tipico prodotto per famiglie.

Habemus Papam mantiene il secondo posto con un’ottima tenuta: in questo fine settimana, il film di Nanni Moretti ottiene un altro milione e supera i 3 milioni totali. Il passaparola e la prossima presentezione al Festival di Cannes potranno di certo apportare ulteriori benefici al film.

Faccio un salto all’Avana sorprende con il suo terzo posto: la commedia con Francesco Pannofino, dopo il deludente risultato di Boris – Il film, debutta con 975.000 euro e un’ottima media per sala, pari a 3000 euro.

Limitless scende dunque al quarto posto con altri 820.000 euro, arrivando a quota 2,2 milioni e confermando l’esordio positivo della scorsa settimana.

Risultato accettabile per la new entry Cappuccetto Rosso Sangue: la rivisitazione ‘gotica’ della celebre fiaba diretta da Catherine Hardwicke conquista 684.000 euro, attirando sostanzialmente lo stesso target della saga vampiresca da lei avviata al cinema, con Twilight. Desta quindi curiosità l’andamento della pellicola nelle prossime settimane.

World Invasion esordisce al sesto posto con un risultato modesto, pari a 354.000 euro. Seguono The Next Three Days, che arriva a 2,5 milioni con altri 337.000 euro, e Scream 4, che supera il milione complessivo con altri 255.000 euro.

Chiudono la top10 due commedie italiane: C’è chi dice no (229.000 euro), arrivato a 1,5 milioni, e Nessuno mi può giudicare (103.000 euro), giunto a 7,6 milioni.

Box Office USA del 25 aprile 2011

Box Office USA del 25 aprile 2011

Rio resiste in prima posizione anche questa settimana, nella classifica dei maggiori incassi negli Stati Uniti, aggiungendo altri 26 milioni di dollari al suo incasso totale che raggiunge così quasi 81 milioni di dollari. Lo segue una produzione tipica americana, il film demenziale con travestimenti: Madea’s big happy family, dell’attore Tyler Perry che riprende la tradizione di Eddie Murphy, diventando una grassa signora di colore che deve affrontare diverse avventure fuori dal comune.

Il film incassa quasi 26 milioni di dollari. Water for elephants, la nuova prova di Robert Pattinson con Reese Witherspoon, occupa il terzo gradino del podio del box office. Il film è diretto da Francis Lawrence, che dopo l’azione di Constantine e Io sono leggenda, si confronta con il mèlo. Hop, il concorrente di Rio, scende in quarta posizione, ma rispetto al pappagallo protagonista dell’altro film, è in programmazione da due settimane in più. Il film incassa altri 12,5 milioni di dollari, raggiungendo quindi la tonda cifra di 100 milioni di dollari.

A metà classifica troviamo  Scream 4, ultima fatica di Wes Craven, che ha resistito al fuoco incrociato di critiche che lo aspettava al varco nel giorno dell’uscita, conquistandosi settimana per settimana la sua fetta di pubblico. Ad oggi il film ha incassato 31 milioni di dollari. In sesta posizione c’è African cats, un documentario della Disney sugli animali della savana, di cui Samuel L.Jackson è il narratore, seguito dalla storia di volontà e coraggio Soul surfer che raggiunge  un incasso totale di quasi 29 milioni di dollari e il thriller low cost Insidious, ormai a 44 milioni di dollari di incasso.

Chiudono la classifica la spy story Hanna e Source code, che si appresta ad uscire dalla classifica dopo aver raggiunto quota quasi 45 milioni di dollari di incasso. La prossima settimana usciranno: il molto atteso quinto capitolo di Fast and Furious, Fast 5, in cui Vin Diesel è  alle prese nuovamente con macchine veloci e fuorilegge da acchiappare; esce anche la teen comedy Prom, che ha tutta l’aria di avere come riferimento il cinema anni 80 di John Hughes, creatore di The breakfast club e Pretty in pink, film che hanno segnato l’adolescenza e il look, dell’epoca, di molti trentenni di oggi.

Esce anche Dylan dog, che da noi è passato quasi inosservato, vedremo le reazioni in terra statunitense. Ultima uscita attesa è quella di Hoodwinked Too! Hood VS. Evil film di animazione  che realizza un mash up di favole, in cui Cappuccetto rosso  dovrà salvare Hansel e Gretel. Ovviamente il cast di voci è quello delle migliori occasioni, tra tutti spicca Glenn Close, che dà alla parola al personaggio Granny Pickett.

Prime foto di The 13 Women of Nanjing con Christian Bale

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Sono state diffuse le primissime immagini di , il kolossal diretto da Zhang Yimou: ecco il protagonista Christian Bale nei panni di un eroico sacerdote…

Ian Holm ritorna nei panni di Bilbo!

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Il regista Peter Jackson ha confermato, tramite la sua pagina Facebook, che Ian Holm riprenderà il ruolo di Bilbo Baggins in The Hobbit. Il film è finalmente andato ufficialmente in produzione da qualche settimana in Nuova Zelanda, ma non si sa ancora quale sarà il momento in cui entrerà in scena Bilbo in versione Signore degli Anelli.

Il terrorista Carlos arriva anche in Italia

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Il terrorista Carlos arriva anche in Italia

Su Sky in onda una miniserie di tre puntate del film che ha vinto un Golden globe. La miniserie Carlos, in prima assoluta in Italia, racconta la storia del terrorista internazionale anche noto come “lo Sciacallo” Ilich Ramírez Sánchez (l’attore Edgar Ramirez, nominato ai Golden Globe come miglior attore protagonista), che per due decenni è stato uno dei terroristi più ricercati del mondo.

Il Sesso Aggiunto: recensione del film con Myriam Catania

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Il Sesso Aggiunto: recensione del film con Myriam Catania

Il sesso aggiunto, primo lungometraggio del regista e autore televisivo Francesco Antonio Castaldo, ripercorre la storia di un ragazzo sulla trentina, Alan (Giuseppe Zeno), tossicodipendente. Alan ha costantemente un’unica ragione di vita: l’eroina. È completamente invaso dal desiderio di stare con “lei”, di innamorarsi di “lei”, di possederla.

Come ogni altro tossicodipendente, trascorre le giornate alla ricerca della roba, prelevando soldi alla madre, povera e forse troppo comprensiva, e alla sorella che dimostra continuamente il suo affetto per lui. Ha un rapporto complicato con una ragazza più giovane di lui, anche lei tossicodipendente, Laura (Valentina D’Agostino), una relazione che ruota totalmente attorno all’eroina, che li sovrasta e comanda ogni loro azione. Poi c’è Nancy (Myriam Catania) l’ex ragazza di Alan, ex tossicodipendente appena uscita dalla comunità. Nancy sente il peso di averlo fatto cadere nella trappola della droga e vorrebbe aiutarlo, ma in realtà sta cercando qualcos’altro, adesso lui è diventato il tramite per farle raggiungere il benessere più atteso, il suo unico desiderio: l’eroina che “ride alle loro spalle, quando decidono di farne a meno”.

Il Sesso Aggiunto, il film

Così Alan, circondato da “lei”, che incarna ogni persona che gli sta vicino, “lei” che rappresenta la sua vita, i suoi sogni disillusi, si sente abbandonato dal suo “Dio” e ha sempre meno spazio per l’amore e per la vita nel suo cuore. Gradualmente, insieme alle azioni quotidiane per raggiungere l’estasi, l’estremo orgasmo grazie all’eroina, Alan ripercorre con noi, che lo assistiamo, i momenti più importanti della sua vita come se fossero presenti; egli compie un percorso di auto-psicoanalisi per ritrovare se stesso, per riconciliarsi con quel “Dio”, quell’amore che risiede dentro ognuno di noi, quella parte interiore più pura di ogni altra. Ed è questo amore, quello che risiede dentro il suo cuore, e non in quello di altri, che Alan trova quel coraggio che gli permette divivere, di nuovo e di sconfiggere la dipendenza più grande.

Un contributo onesto quello di Castaldo, come lui stesso ammette nel corso della conferenza stampa, per trovare un modo per far capire ai giovani e ai meno giovani che cos’è la tossicodipendenza. Ma il lavoro del regista non è così scontato, se così qualcuno può immaginarselo,egli intraprende un viaggio nel mondo interiore della tossicodipendenza, per parlare dell’amore. Perché di questo si tratta, di un film sull’amore. L’amore di una madre per un figlio già morto, al quale supplica di rinascere. Un amore universale che permette di superare ogni ostacolo che la vita ci pone di fronte. Il regista e il produttore Giovanni Madonna, hanno spiegato come l’esigenza di fare questo film sia nata dalle ultime statistiche che affermano il grande aumento dell’uso di eroina negli ultimi tempi: stiamo parlando dell’incremento del 40% negli ultimi due anni.

Un dato che fa paura, considerando gli effetti dell’eroina, effetti che rendono l’uomo, un vegetale, una nullità, un uomo che non vuole e non può avere alcuna responsabilità. Come dargli torto? La nuova generazione, senza voler generalizzare, rappresentata anche nel film, quando esce la sera, si cala qualsiasi pasticca e droga presente nel commercio e la mattina, per calmarsi e rilassarsi dall’eccessivo uso di anfetamine, etc, decide di fumarsi l’ero, quasi fosse un semplice sonnifero. L’unica differenza rispetto al passato è che mentre prima la decisione dell’uso dell’eroina derivava forse dai grandi fermenti culturali, e i giovani erano (quasi) spinti dal potere a farne uso per bloccare le loro eccessive inquietudini, oggi si vive la situazione opposta, è la mancanza di ideali, di entusiasmo, di valori, la rassegnazione e la disillusione, che porta all’eccesso e alla decisione di uscire da se stessi attraverso lo sballo.

In definitiva, Francesco Antonio Castaldo, ha realizzato un buon film, anche grazie all’aiuto di tre bravi attori, in particolare di Giuseppe Zeno che ha interpretato genuinamente e in maniera molto personale un personaggio complicato. Il sesso aggiunto è un film che deve essere visto da tutti, nonostante la sensazione di angoscia e tristezza che ti pervade dopo averlo visto, perché ci fa conoscere e ci mostra non quello che un tossicodipendente fa ma quello che un tossicodipendente è. Il film che non sarà vietato ai minori di anni quattordici e uscirà nelle sale delle principali città italiane, distribuito da Iris Film il 29 aprile.

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Due nuove foto di Crazy, Stupid, Love con Steve Carell
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