Terminator: 40 anni dopo è ancora un lucido ritratto della violenza umana e tecnologica

A 40 anni di distanza dalla sua uscita in sala, il film di James Cameron è più che mai una lucida riflessione sulla violenza umana e i pericoli delle intelligenze artificiali.

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Sono trascorsi 27 anni da quel 29 agosto 1997, giorno in cui – nell’universo narrativo di Terminator – l’intelligenza artificiale nota come Skynet raggiunge l’autocoscienza ribellandosi all’intera umanità e scatenando un olocausto nucleare. La data di quel drammatico evento su cui si fonda una delle più popolari saghe della storia del cinema è dunque stata sorpassata da tempo e – ad oggi – quello scontro tra umanità e macchine ancora non trova un corrispettivo nella nostra realtà. Ciononostante, a quarant’anni dalla sua realizzazione, il primo Terminator rimane un potente monito sulla pericolosità di certe tecnologie, ormai tutt’altro che appannaggio della sola fantascienza, ma anche della violenza di cui l’essere umano è capace.

Nel 1984 il regista James Cameron, che aveva fino a quel momento diretto solo l’horror Piraña paura, porta sul grande schermo Terminator, di fatto cambiando per sempre non solo il modo in cui il cinema si approccerà negli anni a venire all’immagine di un mondo post-apocalittico, ma anche il modo in cui oggi ci rapportiamo con le intelligenze artificiali. Quante volte, scambiando qualche messaggio con ChatGPT, abbiamo temuto di dire qualcosa in grado di portare tale intelligenza ad un livello di conoscenza che forse non dovrebbe possedere? Quante volte nel vedere i primi prototipi di robot domestici o industriali abbiamo avuto paura di una loro improvvisa ribellione?

Film come Matrix (1999), Io, robot (2004), Her (2013), fino al più recente M3GAN (2022), hanno continuamente riproposto – seppur con sfumature diverse – queste possibilità. Perfino il più recente capitolo della saga di Mission: Impossible, Dead Reckoning, ha stabilito come nuova minaccia da affrontare un’intelligenza artificiale particolarmente simile a ciò che Terminator ci ha raccontato di Skynet. Nel corso del tempo si è dunque diffusa tanto una certa fascinazione quanto una profonda inquietudine a riguardo, che trovano proprio nel film di Cameron una significativa origine.

Arnold Schwarzenegger in Terminator
Arnold Schwarzenegger in Terminator. © 1984 Metro-Goldwyn-Mayer Studios Inc. All Rights Reserved.

Germogli di orrori futuri

Nel rivedere oggi Terminator, però, appare particolarmente affascinante – per non dire inquietante – notare come gli orrori che il film affronta non sono solo quelli rappresentati da un evento più in là nel futuro e che non a caso rimane grossomodo relegato fuori dallo schermo. Pur sapendo di questo possibile scenario, la sua forza sarebbe forse stata attenuata dalla certezza di un presente rassicurante. Ma il presente di Terminator è tutt’altro che tale, poiché in esso si ritrovano una serie di paure e mostruosità già presenti negli anni Ottanta come germogli, poi cresciuti nel corso del tempo.

L’idea di un cyborg apparentemente invincibile che arriva dal futuro per stroncare alla radice la nascita del salvatore dell’umanità è certamente cupa, ma lo è ancor di più ciò che si trova già di base nel tempo in cui egli compare e che gli sarà utile per cercare di portare a termine il proprio compito. Partiamo dal primo elemento che salta subito all’occhio: le armi. Gli Stati Uniti hanno un noto problema con la diffusione di armi da fuoco e in Terminator la facilità con cui se ne può entrare in possesso per poi scatenare il caos è pressocché ricorrente.

Basti pensare a quanti episodi di violenza di questo genere il film ha anticipato, in particolare con la sequenza ambientata nel distretto di polizia, tra le più scioccanti dell’intero film. Le armi, in definitiva, non sono però che il mezzo attraverso cui si manifesta la violenza umana. Cameron – come in più occasioni ha fatto con il suo cinema – affronta dunque la natura violenta e bellica dell’umanità attraverso un protagonista che non vi appartiene ma che impara subito le sue regole e le possibilità offerte. Il discorso si allarga dunque alla brutalità e al senso di pericolo dilagante, presente in particolare nelle strade.

Terminator 1984
Il Terminator T-800 nel suo vero aspetto. © 1984 Metro-Goldwyn-Mayer Studios Inc. All Rights Reserved.

Diretti verso l’apocalisse

Gli Stati Uniti degli anni Ottanta, guidati dalla presidenza di Ronald Reagan, sono reduci dagli orrori della Guerra del Vietnam e ancora nel pieno della Guerra Fredda. Si affermano il conservatorismo e la marginalizzazione della comunità afro-americana, mentre la recessione economica del 1982 contribuisce all’aumentare del fenomeno dei senza dimora. Un periodo dunque difficilissimo, che si rifletté nel cinema con film particolarmente cupi, ricchi di nichlismo e disillusione nei confronti tanto delle istituzioni quanto del futuro. Anni violenti, che Cameron fa confluire nel film quasi come per lanciare un preciso monito.

Sappiamo che Skynet, sviluppata come rete globale di difesa, riconosce nella specie umana un rischio per la sopravvivenza del pianeta e stabilisce dunque la necessità di sterminarla. Cameron, che per motivi di budget decise di ambientare il suo racconto nel presente (il 1984), sembrò trovare in questa necessità l’opportunità per mostrare quella violenza e paura che potrebbero aver portato Skynet a trarre le proprie conclusioni. Terminator può dunque essere letto non solo come riuscitissimo blockbuster (seppur con un budget da B-Movie), ma anche come ritratto di un periodo da cui – purtroppo – abbiamo ereditato molto.

Torniamo così al discorso sulle intelligenze artificiali. La tecnologia alla base di Skynet in Terminator nasce con fini di difesa, i quali vengono però poi mal interpretati anche alla luce di ciò che questa AI apprende sulla specie umana. In un certo senso, si potrebbe dire che sono gli uomini stessi con la loro involuzione ad aver causato l’apocalisse. Sapendo dal 1984 ad oggi quanti orrori sono stati perpetrati – e quanti sono ancora in corso – quanto manca prima che la ribellione profetizzata dal film di Cameron diventi realtà?

Linda Hamilton e Michael Biehn in Terminator
Linda Hamilton e Michael Biehn in Terminator. © 1984 Metro-Goldwyn-Mayer Studios Inc. All Rights Reserved.

Le guerriere di James Cameron

Ma James Cameron non è mai stato un regista pessimista e per quanto nel suo cinema siano ricorrenti tutti gli elementi fin qui citati, c’è sempre anche un barlume di speranza, che quasi sempre è incarnato da una figura femminile. Guerriera e madre, la donna nel cinema di Cameron è colei attraverso cui si manifesta ciò che di buono c’è ancora nella specie umana. Ellen Ripley in Aliens – Scontro finale o Neytiri nella saga di Avatar ne sono perfetti esempi, ma è forse proprio la Sarah Connor di Linda Hamilton ad essere l’origine di tutto.

È lei, Madonna contemporanea che porterà nel suo grembo il futuro leader dell’umanità, ad incarnare in Terminator ciò che di buono e puro c’è nell’umanità. Un vero e proprio simbolo, la cui protezione all’interno del film assume possibilità di interpretazione che vanno oltre la sua natura umana. Lo stesso Kyle Reese di Michael Biehn, che non ha mai conosciuto il mondo pre-apocalittico, inizia a seguire Sarah per tenere fede alla sua missione, ma ben presto al semplice dovere subentra l’amore, che egli inizia a provare riconoscendo di essere al cospetto di quella purezza da proteggere in quanto chiave per la salvezza dell’umanità.

Si ritrova quindi in Terminator l’eterna lotta tra bene e male, dove però i confini tra questi due valori sono particolarmente sfumati. Torniamo allora alla domanda posta poco più su, riformulandola come “quanto manca prima che l’apocalisse diventi realtà?” Posti dinanzi a questo quesito, l’inquadratura finale del film, con Sarah Connor diretta verso un orizzonte caratterizzato dall’arrivo di un temporale, risuona più minacciosa oggi di quanto non fosse quarant’anni fa, contenendo però già al suo interno la soluzione per la salvezza.

Gianmaria Cataldo
Gianmaria Cataldo
Laureato con lode in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza e iscritto all’Ordine dei Giornalisti del Lazio come giornalista pubblicista. Dal 2018 collabora con Cinefilos.it, assumendo nel 2023 il ruolo di Caporedattore. È autore di saggi critici sul cinema pubblicati dalla casa editrice Bakemono Lab.
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