The Host: la spiegazione del finale del film con Saoirse Ronan

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Andrew Niccol è un regista noto per aver realizzato pellicole dal forte impianto concettuale come Gattaca (1997) e In Time (2011). Subito dopo quest’ultimo, ha nel 2013 diretto un altro titolo appartenente allo stesso genere, The Host. In questo caso ci si confronta però con una fantascienza romantice e più giovanile, adattamento dell’omonimo romanzo di Stephenie Meyer, autrice della celebre saga Twilight, che si sposta con questo racconto dal teen drama soprannaturale al genere della fantascienza distopica, mantenendo però alcuni elementi centrali del suo stile, come il triangolo amoroso e il conflitto interiore dei protagonisti.

Cosi è anche per Niccol, che porta sullo schermo un tipo di fantascienza diverso dai suoi soliti, cercando di bilanciare l’introspezione dei personaggi con le esigenze spettacolari del cinema di genere, pur muovendosi su un terreno fortemente condizionato dalla materia originale. Ciò che è interessante di The Host è che affronta una serie di temi centrali del nostro mondo, tra cui la perdita dell’identità, il libero arbitrio, la resistenza e la capacità umana di provare empatia. Si immagina infatti un futuro in cui una razza aliena parassitaria prende il controllo del corpo umano cancellando la coscienza del suo ospite.

Questo spunto narrativo permette dunque al regista di esplorare il dualismo mente-corpo, l’alienazione e il senso di appartenenza, temi già presenti anche nei suoi precedenti film. A differenza di altre opere fantascientifiche che mettono in scena guerre tra umani e alieni come Sono il numero 4 e La quinta onda, dunque, The Host si concentra su un conflitto più intimo e psicologico, dove la battaglia per la sopravvivenza si svolge all’interno di un’unica mente. In questo modo, il film si distingue per un approccio più emotivo e riflessivo rispetto al canone del genere. In questo articolo, andiamo allora ad approfondire il suo finale.

Saoirse Ronan in The Host
Saoirse Ronan in The Host. Foto di Alan Markfield – © 2012 – Open Road Films

La trama e il cast di The Host

La storia racconta di una devastante invasione aliena da parte di esseri denominati Anime, che lavorano come parassiti e adoperano i corpi degli esseri umani e tolgono loro qualsiasi personalità. La resistenza è alle corde: tra loro c’è la ribelle Melanie Stryder (Saoirse Ronan) che viene catturata e resa schiava di un alieno chiamato Wanderer, famoso per aver sottomesso numerose popolazioni nelle galassie. Ma, lungi dal perdere la propria identità, Melanie continua a bruciare d’amore per Jared (Max Irons): profondamente toccata da questo sentimento, l’aliena cercherà di trovarlo, alleandosi con Melanie nel tentativo di salvare la specie umana.

La spiegazione del finale del film

Alla luce di questa premessa, il finale di The Host rappresenta il culmine dell’evoluzione interiore dei suoi personaggi principali e, più in profondità, la sintesi dei temi portanti del film: il conflitto tra identità individuale e collettiva, l’empatia come forza di riconciliazione e la possibilità di coesistenza tra specie diverse. Dopo un lungo percorso di resistenza interiore, Melanie, la ragazza il cui corpo è stato colonizzato dall’aliena Wanderer – detta anche Wanda – riesce dunque a stabilire una relazione non distruttiva con l’entità ospite. Invece di essere cancellata, la coscienza umana di Melanie sopravvive e dialoga con Wanda, al punto che le due finiscono per diventare amiche e alleate.

Questa condizione, unica nel suo genere, è al cuore del climax del film. Nel momento in cui Wanda si rende conto che la sua presenza impedisce a Melanie di riprendersi la propria vita e di vivere il suo amore con Jared, prende la decisione di sacrificarsi: intende abbandonare il corpo ospite, sapendo che questo comporterà la sua morte. Questo gesto altruista rappresenta quindi la massima espressione del tema dell’empatia, che si contrappone al colonialismo silenzioso con cui i suoi simili hanno invaso il pianeta. Wanda, infatti, è l’eccezione che dimostra come anche una creatura “invasiva” possa imparare a rispettare e amare ciò che è altro da sé.

In questo modo, il film scardina la rigida contrapposizione tra alieni e umani, suggerendo che l’identità può essere un processo fluido, in cui la contaminazione non è necessariamente sinonimo di distruzione. Il colpo di scena finale arriva quando, invece di lasciarla morire, riescono a salvare Wanda trasferendola nel corpo di un’umana che è rimasta in stato di morte cerebrale dopo la rimozione dell’anima che la ospitava. Le viene così permesso di vivere la propria vita in modo autonomo, senza più essere un’intrusa. Questo finale riflette dunque la visione ottimistica del film: la convivenza pacifica tra specie diverse può generare un’identità ibrida capace di scegliere, amare, sacrificarsi e ricominciare.

Saoirse Ronan e Max Irons in The Host
Saoirse Ronan e Max Irons in The Host. Foto di Alan Markfield – © 2012 – Open Road Films

L’utopia proposta da The Host è dunque fondata sull’accettazione dell’altro come parte di sé, in netto contrasto con la logica distruttiva spesso tipica della fantascienza distopica. Il finale si lega però anche alla sottotrama più ampia della resistenza umana. Gli ultimi sopravvissuti, guidati da Jeb (William Hurt), inizialmente diffidenti nei confronti di Wanda, imparano a conoscerla e rispettarla, dimostrando che la paura del diverso può essere superata attraverso la conoscenza e la relazione personale. Questa componente narrativa fa dunque eco a un messaggio più ampio di tolleranza e dialogo, che si estende oltre la finzione fantascientifica e parla direttamente alle paure sociali e politiche contemporanee.

Il fatto che siano proprio i ribelli a riconoscere il valore della “nemica” Wanda suggerisce che la vera rivoluzione non è solo la liberazione del corpo umano, ma anche la liberazione delle coscienze dal pregiudizio. Infine, The Host termina con l’apertura verso un mondo possibile, in cui altri alieni come Wanda potrebbero scegliere la via della coesistenza piuttosto che quella dell’annientamento. Nelle scene conclusive, infatti, si apprende che vi sono molti altri casi di collaborazione fra umani e Anime “redente”.

Il messaggio è chiaro: non tutti i cambiamenti devono essere sinonimo di perdita, e la contaminazione culturale o biologica non equivale sempre alla distruzione dell’identità. Questo epilogo, più speranzoso che realistico, rispecchia la poetica di Stephenie Meyer, in cui l’amore e la scelta individuale diventano strumenti di cambiamento radicale. Per quanto criticato per il suo tono sentimentale e per alcune debolezze narrative, il finale di The Host lascia un’impressione di coerenza tematica e chiude il cerchio di una storia che non parla solo di alieni, ma anche – e soprattutto – di umanità.

Gianmaria Cataldo
Gianmaria Cataldo
Laureato con lode in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza e iscritto all’Ordine dei Giornalisti del Lazio come giornalista pubblicista. Dal 2018 collabora con Cinefilos.it, assumendo nel 2023 il ruolo di Caporedattore. È autore di saggi critici sul cinema pubblicati dalla casa editrice Bakemono Lab.
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