Alien: Romulus, recensione del film di Fede Alvarez

Al cinema dal 14 agosto, il film riporta con successo la saga alle sue origini.

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Avevamo lasciato la saga di Alien al tentativo di raccontarci le proprie origini, con Prometheus e Alien: Covenant incentrati sugli eventi che avrebbero portato all’Alien di Ridley Scott del 1979. Ad oggi il futuro di quella narrazione prequel è ancora incerto, ma quello della saga nel suo complesso sembra non correre questo rischio. Grazie ad Alien: Romulus, settimo capitolo del franchise (se non si contano i due Alien vs. Predator), si ha infatti un ritorno alle origini capace però non solo di rivisitare determinati scenari, ma anche di aggiungere qualcosa di nuovo alla mitologia fino ad oggi costruita.

 
 

Diretto da Fede Alvarez, regista distintosi grazie agli horror La casa e Man in the Dark, questo nuovo capitolo – che si colloca temporalmente tra l’Alien di Scott e l’Aliens – Scontro finale di James Cameron – offre dunque un’esperienza particolarmente soddisfacente. Forse, all’apparenza, potrà sembrare un ricalco troppo marcato del primo film – e non si vuole negare che lo sia – ma è nella messa in scena concepita da Alvarez che emergono momenti di grande impatto, che permettono di non avvertire la sensazione di “già visto” bensì quella fascinazione che altrove nella saga è mancata.

La trama di Alien: Romulus: ritorno alle origini

Alien: Romulus Isabela Merced
Isabela Merced è Kay in ALIEN: ROMULUS. Photo courtesy of 20th Century Studios. © 2024 20th Century Studios.

Nelle colonie umane gestite dalla Wayland-Yutani, la speranza di una vita degna e la libertà sono concetti del tutto privi di significato. Ecco perché la giovane Rain Carradine (Cailee Spaeny), insieme al suo “fratello” droide Andy (David Jonsson), accetta di compiere una pericolosa missione che potrebbe però permettergli di ambire ad un futuro migliore. Insieme ad un gruppo di altri ragazzi loro amici, si intrufolano in una base spaziale apparentemente abbandonata per recuperare delle capsule per l’ipersonno. In quel luogo spettrale, tuttavia, scopriranno a loro spese orrori indicibili.

Un gioco da ragazzi

Se nei precedenti film del franchise i protagonisti erano esperti di vari campi e, aspetto non secondario, degli adulti, in Alien: Romulus al centro della narrazione vi sono invece un gruppo di ragazzi. Giovani nati e cresciuti nel contesto disumanizzante delle colonie umane e per questo attratti da quelle alternative che altri luoghi nell’universo sembrano promettere. Tutto nasce dal loro desiderio di fuga, dalla volontà di smarcarsi da un percorso di vita che appare drammaticamente già scritto e apparentemente privo di ogni possibilità di fuga.

Raccapricciante e Avvincente

D’altronde Alvarez aveva dichiarato che se mai avesse avuto l’occasione di lavorare con il franchise di Alien, gli sarebbe interessato esplorare la vita di quei bambini e adolescenti intravisti nelle colonie dei precedenti film. Ha dunque ora realizzato questo suo desiderio, facendo di Alien: Romulus un film fortemente incentrato su questo tipo di personaggi e le tematiche che gli sono proprie, dal sognare una vita da persone libere al “peso” delle figure genitoriali. La sessualità, più o meno latente, è infine – come già visto accadere nella saga – elemento centrale con cui bene o male tutti si scontrano.

L’avere dei ragazzi come protagonisti, però, non rende in alcun modo questo film un’opera più “adolescenziale” rispetto agli altri lungometraggi. Non c’è alcuna variazione di tono, che rimane invece particolarmente cupo per l’intera durata del film. Anzi, l’avere dei giovani inesperti potenzialmente inclini agli errori dettati dall’impulsività rende il tutto ancor più avvincente. Si seguono con apprensione i loro spostamenti e le loro decisioni, con un’attesa (che si potrebbe definire famelica) di ciò che potrebbe loro capitare.

L’orrore di Scott, l’azione di Cameron, l’uso degli spazi di Alvarez

Alien Romulus Cailee Spaeny
Lo Xenomorfo e Cailee Spaeny nel ruolo di Rain Carradine in ALIEN: ROMULUS. Photo courtesy of 20th Century Studios. © 2024 20th Century Studios.

Alien: Romulus non si risparmia dunque alcune sequenze particolarmente scioccanti – più disgustose che non spaventose (Isabela Mercedes ci aveva messo in guardia a riguardo) -, terrificanti creature già note o inedite e momenti di grande tensione messi in scena con grande gusto per l’immagine. Alvarez segue dunque le orme di Ridley Scott, sempre cercando però di offrire un punto di vista nuovo su quanto da lui già compiuto nel 1979. Se nella costruzione dell’orrore è lui il punto di riferimento, Alien: Romulus presenta però anche una forte componente bellica e, in generale, d’azione, che si rifà all’Aliens – Scontro finale di James Cameron.

Il film di Alvarez si muove dunque su questo equilibrio, omaggiando così i due grandi capolavori di questo franchise e facendo propria la loro lezione per dimostrare di saperne trarre qualcosa di buono. A tutto ciò il regista aggiunge la sua grande padronanza degli spazi, che aveva già mostrato con i suoi primi film. Ogni ambiente di Alien: Romulus viene costruito e gestito con grande attenzione, facendone quasi un susseguirsi di livelli dove la pericolosità e la difficoltà aumentano prepotentemente.

Si possono citare sequenze come l’attraversamento della sala piena di facehuggers, il “tunnel” organico pullulato da Xenomorfi o l’ambiente dello scontro conclusivo per rendere l’idea. Per ognuno di questi, ma anche per i tanti altri che rendono il film particolarmente entusiasmante per la semplice gioia degli occhi, Alvarez riesce a trasmettere quella certa sensazione di claustrofobia, di pericolo potenzialmente proveniente da ogni angolo, costringendo così alla massima attenzione.

Alien: Romulus possiede il giusto mix tra tensione e adrenalina

Alien: Romulus David Jonsson
David Jonsson è Andy in ALIEN: ROMULUS. Photo courtesy of 20th Century Studios. © 2024 20th Century Studios.

Tutte queste sfumature rendono dunque Alien: Romulus un film particolarmente entusiasmante, che non vuole avere la pretesa di affermarsi come migliore dei suoi predecessori bensì di offrire un ritorno alle origini che sappia di nuovo. Ci riesce anche grazie ad un paio di personaggi piuttosto interessanti, su cui spicca l’Andy di David Jonsson, capace di rubare la scena in più occasioni ai suoi co-protagonisti. Con lui la figura dell’androide si conferma particolarmente interessante, capace di farsi carico di tutta quella serie di discorsi da Scott affrontata anche in Blade Runner.

Attorno a lui, gli altri personaggi non spiccano per originalità, ma perlomeno la Rain di Cailee Spaeny non risulta – come si temeva – una copia della Ripley di Sigourney Weaver, riuscendo ad avere una propria identità. Così come riesce ad averla nel suo complesso Alien: Romulus. Se si accetta di chiudere un occhio sulle somiglianze strutturali con il primo film e si guarda oltre queste, ci si troverà davanti ad un film che senza pretese offre un sano intrattenimento, suscitando quel giusto mix di tensione e adrenalina e riaccendendo (ammesso che si fosse mai spento) il fascino nei confronti di questa saga.

Alien: Romulus
3.5

Sommario

Poco spaventoso ma indubbiamente avvincente, ben concepito e raccapricciante il giusto, il nuovo capitolo del celebre franchise rappresenta un ritorno alle origini capace però di aggiungere anche qualcosa in più alla mitologia della saga. Numerose le sequenze di grande impatto, rese tali anche da una regia che sa come sfruttare al meglio questo immaginario e i suoi spazi.

Gianmaria Cataldo
Gianmaria Cataldo
Laureato in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza di Roma, è un giornalista pubblicista iscritto all'albo dal 2018. Da quello stesso anno è critico cinematografico per Cinefilos.it, frequentando i principali festival cinematografici nazionali e internazionali. Parallelamente al lavoro per il giornale, scrive saggi critici e approfondimenti sul cinema.

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