Kung Fu Panda 4: recensione del film di Mike Mitchell e Stephanie Ma Stin

Il nuovo capitolo della saga arriva al cinema il 21 marzo.

Kung Fu Panda 4 arriva in sala. Il nuovo progetto Dreamworks Animation, diretto da Mike Mitchell e Stephanie Ma Stin, esce al cinema in data 21 marzo e riprende le fila di un franchise che, iniziato nel 2008, ha sempre ottenuto un buon successo di pubblico e critica.

 

Affidato a un autore di comprovata esperienza e musicalmente accompagnato dal solito Hans Zimmer, il film si appoggia a un cast corale capeggiato dal solito Jack Black (Fabio Volo nella versione italiana) e composto anche dalle new entry Awkwafina/Alessia Amendola, Viola Davis/Laura Romano e Ke Huy Quan/Francesco Pezzulli.

Kung Fu Panda 4: la trama

Riscoperta appieno la propria identità grazie alla precedente avventura nel villaggio di suo Padre, Po ha fatto ritorno al Palazzo di Giada e continua a difendere la Valle della Pace assolvendo al proprio ruolo di Guerriero Dragone. Quando però il saggio maestro Shifu gli affida il compito di trovare, nominare e allenare un suo sostituto per poter diventare guida spirituale e quindi salire al livello successivo, il panda si trova decisamente in difficoltà.

Come se non bastasse la notizia di una nuova minaccia giunge ben presto a palazzo e Po viene a conoscenza dell’esistenza della Camaleonte, maga malvagia capace di assorbire la forza di chiunque e perfino assumerne le sembianze. L’obiettivo della perfida nemica è rubare il Bastone della Saggezza che Shifu ha consegnato a Po, per poter riportare indietro gli spiriti dei vecchi antagonisti del panda e rubare anche il loro potere.

Dal momento che i Cinque Cicloni sono impegnati in altre missioni collaterali, Po si mette dunque in viaggio in compagnia di Zhen, una volpe molto scaltra ricercata per furto. Ad attenderlo – al di là di strani incontri e un lungo peregrinare – c’è un nuovo entusiasmante scontro.

La legge del 4

La legge del 4 ha colpito anche Kung Fu Panda. E no, non stiamo parlando del complicato enigma proposto da Martin Scorsese nel suo Shutter Island del 2010; bensì della bizzarra maledizione che, all’interno del mondo dell’animazione, sembra abbattersi su qualsiasi franchise osi avventurarsi al di là del confine del terzo capitolo. È accaduto in casa Pixar, con il ben poco esaltato (ed esaltante) Toy Story 4, ed è invero già accaduto anche in casa Dreamworks, in attesa del ritorno a Molto molto lontano e alle avventure dell’amatissimo orco Shrek – prossimamente su grande schermo per la quinta volta.

Kung Fu Panda 4

Marzo 2024, come accennavamo, segna invece la caduta di un altro florido marchio dell’industria, e a farne le spese è una delle saghe animate più riuscite e apprezzate degli ultimi quindici anni. Le mirabolanti imprese del Guerriero Dragone e dei fidati Cinque Cicloni si sono infatti negli anni rivelate un importante punto di riferimento generazionale, capace persino di trascendere il medium cinematografico – come dimostrano le 26 puntate di Kung Fu Panda – Mitiche Avventure andate in onda su Nickelodeon nella stagione 2011. Segno del successo di un brand che, prendendo in esame le sole peripezie su pellicola, ha saputo negli anni reinventarsi sia in termini narrativi che estetici, senza mai disperdere la propria matrice identitaria e scandendo sapientemente il processo di crescita del suo protagonista.

Operazione nostalgia

Se tra primo e terzo film la saga si era dedicata alla progressiva presa di coscienza di Po in qualità di combattente, figlio e panda – all’interno di riconoscibili stilemi wuxia valorizzati da uno sguardo attento all’interiorità dei personaggi – l’aspetto più concettualmente interessante (e insieme demoralizzante) di Kung Fu Panda 4 risiede allora nel suo tentativo di “asciugare” il materiale della storia per focalizzarsi sugli elementi fondativi del franchise. In linea infatti con i principi distributivi e creativi tipici della modernità, il film non solo elimina i Cinque Cicloni per fare di Po l’unico (o quasi) centro gravitazionale del racconto; ma provvede a un sostanziale riciclaggio di codici e situazioni che, come spesso accade, si specchia nella scelta del cattivo di turno.

La Camaleonte, villain in grado di assumere le sembianze di tutti i precedenti antagonisti, diviene infatti il simbolo di una “operazione nostalgia” a cui il mondo dell’audiovisivo di oggi cede con sempre maggiore frequenza, sostituendo appunto qualsiasi volontà di ricerca e innovazione con un rasserenante ripescaggio di dinamiche e volti già noti – e per questo rassicuranti.

Kung Fu Panda location

Il risultato di tale operazione, volta forse a rispondere anche al preoccupante calo delle capacità di concentrazione di un pubblico ormai sovrastimolato, è – prevedibilmente – un road movie piuttosto classico che prepara il terreno a un prevedibilissimo scontro finale con insegnamento al seguito. Un prodotto purtroppo fiacco e privo del coraggio dei suoi predecessori, privato di qualsivoglia velleità artistica e rimpinguato di gag per lo più pigre e senza mordente. Con tanto di morale “da biscotto” a completare l’opera.
Un prodotto che, ancora una volta, getta ben più di un’ombra sulle capacità di progettazione a lungo termine di buona parte delle grandi case di produzione animate (e non solo), e dovrebbe convincerci della necessità di quale riflessione in più sullo stato di salute dell’intero settore.

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