Il documentario, scritto e diretto
da Francesco Zippel, è una coproduzione Quoiat Films, Rai Documentari e Luce Cinecittà con il contributo di Rai
Teche, distribuito da Lucky Red.
In occasione dell’uscita al cinema
del documentario il regista e il cast incontrano il pubblico in
sala con quattro proiezioni speciali a Roma. A questo link e di seguito le
info sul tour.
Lunedì 23 settembre al cinema Eden (Piazza Cola di Rienzo, 74)
alle ore 20.30, presenti il regista Francesco Zippel, Felice
Laudadio e Gianna Gissi;
Martedì 24 settembre al cinema Giulio Cesare (Viale Giulio Cesare,
229) alle ore 18:30, presenti Francesco Zippel e il fondatore
presidente di Lucky Red, Andrea Occhipinti;
Martedì 24 settembre cinema Greenwich (Via Giovanni Battista
Bodoni, 59) ore 21.00 con Francesco Zippel e Fabio
Ferzetti
Mercoledì 25 settembre al
cinema Troisi (Via Girolamo Induno, 1) ore 20.00
con Francesco Zippel, il consulente scientifico del film Alberto
Crespi e il produttore Amedeo Pagani
Volonté – L’uomo dai mille volti poster film – BOOM
PR
La trama di Volonté – L’uomo dai
mille volti
Il 2024
segna il trentennale della morte di Gian Maria Volonté, uno dei più
importanti e amati attori della storia del cinema italiano.
“Volonté – L’uomo dai mille volti” ne ricorda il percorso personale
e artistico sottolineando quanto Volonté sia ancora oggi un
riferimento assoluto per i più importanti interpreti contemporanei.
Saranno loro, insieme alla famiglia e agli amici, a raccontarne
l’unicità e l’attualità, accompagnandoci a scoprire le tematiche
che lo hanno definito nel suo cammino artistico e militante. Il
racconto è arricchito da immagini, clip e filmati inediti.
E’ affascinante notare come l’essere
umano sia sempre così particolarmente attratto dai misteri, come se
non riuscisse ad accettare che certe cose non possono semplicemente
essere spiegate in maniera chiara e razionale. Uno dei maggiori
misteri irrisolti dell’ultimo decennio è proprio la sparizione del
Volo MH370 della Malaysia Airlines l’otto marzo
del 2014; l’aereo portava a bordo 239 persone, anch’esse svanite
nel nulla. A nove anni dall’accaduto, Netflix punta a
ricostruire l’accaduto, riportando alla luce tre delle teorie più
plausibili per la scomparsa dell’aereo. La docuserie è composta da
soli tre episodi, ognuno da circa cinquanta minuti.
Volo MH370: la ricerca di una
spiegazione
Volo MH370 si apre
con un analisi dettagliata, ora per ora, del giorno della
sparizione dell’aereo. Vengono intervistati mariti, mogli, figli
dei passeggeri del volo scomparso, i quali, riportando le loro
singole storie, sono costretti a rivivere momenti strazianti.
Ogni episodio presenta una
teoria diversa sulla sparizione del MH370: il
primo episodio, Il Pilota, si concentra proprio sulla figura di
Zaharie Ahmad Shah, esperto pilota della compagnia aerea.
L’ipotesi di un omicidio suicidio sembra da subito essere la più
probabile e plausibile. Pur essendo stati disattivati i dispositivi
di localizzazione una volta lasciato lo spazio aereo malese alla
volta di una zona grigia di confine con il vicino Vietnam, è presto
emerso come l’aereo abbia continuato l’attività di volo per diverse
altre ore, fino ad esaurimento carburante. Questo elemento sembra
essere da subito controverso: se l’intendo di Zaharie era il
suicidio, perché aspettare così tante ore? Ciononostante,
questa sembra essere inizialmente la spiegazione dell’accaduto.
Tutto sembra risolto, fin quando un
altro Boeing 777, in partenza da Amsterdam, non registra un nuovo
incidente aereo in territorio ucraino, al confine con la Russia. I
primi mesi del 2014 nel panorama internazionale sono caratterizzati
anche da un altro importante avvenimento: l’invasione della Crimea
da parte della Russia il 23 febbraio. Le cause di questo secondo
incidente risultano essere da subito più chiare: si è trattato di
un abbattimento. A questo punto, si riconsiderano anche i possibili
eventi che abbiano potuto portare alla sparizione mesi prima del
MH370. Essendo stato individuato un cambio di
rotta durante il volo, dopo la disattivazione dei dispositivi di
localizzazione, viene considerata la possibilità di un
dirottamento dell’aereo da parte della Russia. Considerando la
nuova rotta, individuata tramite satelliti, l’aereo
sarebbe potuto andare a nord, atterrando in
Kazakistan. La teoria viene ideate dal giornalista di
aviazione Jeff
Wise, ma è accolta da pochi. La scoperta di detriti, resti
dell’aereo, nei mesi seguenti, renderà il tutto sempre più
confusionario: cosa è accaduto realmente al
MH370?
Una storia tragica di persone
vere
Troppo spesso, ascoltando le news o
leggendo i giornali, si finisce per dimenticarsi che le vicende che
ascoltiamo, sono storie di persone reali. Nella docuserie
volo MH370 si recupera il contatto con le singole
vittime, tramite le testimonianze di vari parenti e cari; questo è
un elemento che rende il documentario più autentico, e permette
allo spettatore di vedere questo semplice avvenimento di cronaca,
noto a molti, sotto un nuovo differente punto di vista.
Inoltre, per mantenere una sempre
maggiore autenticità, vengono riportate foto e video anche dei
parenti disperati durante le varie conferenze stampa ed anche
nell’aeroporto di Pechino-Capitale, in Cina, destinazione a cui
l’aereo MH370 non giunse mai.
Altri elementi interessanti ed anche
determinanti nella diffusione di informazioni furono i canali
social. Sull’allora molto utilizzato Twitter si riversarono
testimonianze dei parenti delle vittime, con una marcata
frustrazione col passare dei giorni dalla scomparsa dell’aereo; ad
esse si affiancarono tutta una bufera di commenti, like e nuove
teorie e fake news. Vennero date le spiegazioni più disparate
dell’accaduto, fino ad incolparne anche gli alieni!
La ricerca di un capro
espiatorio
Un fattore rilevante in volo
MH370 è la continua ricerca, in tutti e tre gli episodi,
non solo di una spiegazione della sparizione dell’aereo, ma anche
di un colpevole. In una tale situazione tragica e catastrofica, è
come se l’essere umano puntasse non solo a trovarne delle cause, ma
anche dei soggetti da accusare. Il primo capro espiatorio fu
proprio il defunto pilota Zaharie, nell’ipotesi di un omicidio
suicidio. Nella seconda ipotesi la Russia ed i tre passeggeri
russi a bordo vennero considerati responsabili dell’accaduto,
mentre nel terzo episodio si ipotizza un coinvolgimento americano
nell’accaduto.
Per tutti gli appassionati di
misteri, un caso che dal 2014 ad oggi ancora suscita grande
interesse e scalpore è quello della scomparsa del volo
Malaysia Airlines 370. Tale evento, particolarmente
drammatico per via delle sue presunte 239 vittime, ha nel tempo
generato tante teorie quanti tentativi di ricerca del velivolo,
divenendo ormai parte della cultura di massa. A distanza di 9 anni,
Netflix ha ora rilasciato una docuserie in
tre episodi intitolata proprio Volo MH370 – L’aereo
sparito nel nulla (qui la recensione), che oltre a
ripercorrere ciò che si sa di tale evento, approfondisce anche
alcune delle principali teorie formatisi riguardo la sua
scomparsa.
Distribuita a partire dall’8
marzo (anniversario della scomparsa del volo) e
diretta da Louise Malkinson, la serie si divide
dunque in tre episodi, intitolati Il Pilota, Il
Dirottamento e L’intercettazione, è stata
particolarmente criticata proprio per il suo concentrarsi troppo
sulle teorie cospirazioniste legate all’evento, discostandosi
talvolta troppo dai reali eventi avvenuti. Oltre a ciò, inoltre, la
docuserie omette anche alcuni dettagli particolarmente cruciali
riguardo a tale caso. Questo non ha però impedito a Volo MH370
– L’aereo sparito nel nulla di suscitare l’attenzione degli
abbonati alla piattaforma, tanto da essere ad oggi al 7°
posto nella Top 10 delle Serie TV più viste in Italia.
Scopriamo però ora la vera
storia dietro la docuserie e quali dettagli questa omette di
raccontare.
Cosa è accaduto al volo Mh370?
Tutto ha avuto inizio l’8
marzo 2014, quando il volo, operato da un Boeing
777-200ER, scomparve dai sistemi di localizzazione e venne
dato per disperso con un comunicato ufficiale dalla Malaysia
Airlines. L’ultima comunicazione con l’equipaggio risale a circa 38
minuti dopo il decollo, mentre l’aeromobile sorvolava il
Mar Cinese Meridionale. Pochi minuti dopo il volo
sparì definitivamente dai radar del controllo di volo, ma continuò
ad essere tracciato da radar militari per un’altra ora, mentre
deviava verso ovest rispetto al suo piano di volo.
Uscì infine dalla portata dei radar circa 200 miglia nautiche (370
km) a nordovest dell’isola di Penang.
L’ultimo messaggio del comandate
Zaharie Ahmad Shah, ricevuto alle ore 1.19 e 30
secondi dalla torre di controllo, riferva la transizione dal Lumpur
Radar all’ACC di Ho Chi Minh e augurava la buonanotte. Dalle ore
01:20 circa, però, i contatti con il volo si interrompono. Il
pilota automatico viene spento e l’aereo ha vira bruscamente verso
sinistra dirigendosi a sud-ovest verso l’Africa anziché a nord-est
in direzione Cina. Sono poi state rilevate, inoltre, anche alcune
manovre atipiche, come l’arrivo alla quota record di oltre
14mila metri, volta, probabilmente, a mandare in
asfissia tutti i passeggeri a bordo. Il primo indiziato
dell’accaduto è poi stato proprio il comandante Shah. L’ultimo
rilevamento noto, in un punto ai limiti del radar militare malese,
avvenne alle 02:22.
Le ricerche del volo MH370
La ricerca del velivolo, che divenne
la più costosa della storia dell’aviazione, si concentrò
inizialmente nel Mar Cinese Meridionale e nel Mare delle Andamane,
prima che l’analisi delle comunicazioni automatizzate del Boeing
con un satellite Inmarsat identificasse un possibile sito di
incidente da qualche parte nell’Oceano Indiano meridionale. Tra il
18 marzo e il 28 aprile, 19 navi e 345 aeromobili militari
perlustrarono una zona di oltre 4600000 km². Altri tentativi per trovare il
Boeing furono effettuati tramite un’indagine batimetrica,
ecoscandagliando il fondale marino, a circa 970 miglia nautiche
(1 800 km) a sud-ovest di Perth, nell’Australia
occidentale.
Il 17 gennaio 2017, la ricerca
ufficiale del volo 370 venne sospesa dopo non aver prodotto prove
diverse dal semplice ritrovamento di alcuni detriti marini sulla
costa africana. Il rapporto concluse che, utilizzando immagini
satellitari e analisi della deriva dei detriti, la posizione
dell’aereo era stata ridotta essere in un’area di 25000 km². Nel gennaio 2018, però, una società
privata di esplorazione marina degli Stati Uniti, Ocean
Infinity, riprese le ricerche proprio nell’area di 25000 km², ma anche questa si concluse senza
successo il 9 giugno 2018. Ad oggi, dunque, il velivolo non è
ancora stato ritrovato, il che non ha dato possibilità di risolvere
i misteri ancora in vigore, tra cui, in primis, cosa può aver
causato l’incidente.
Il documentario VoloMH370 ignora il ruolo
del governo malese
La docuserie di Netflix affronta
molti aspetti diversi della storia, ma una componente chiave che
ignora è il ruolo del governo malese. Il
documentario mostra la frustrazione dei cittadini in attesa di
risposte che non sono mai arrivate, ma con tutte le teorie che
presenta, non si approfondisce mai completamente ciò che riguarda
il governo malese. Mentre alcune teorie parlando di come il governo
abbia pianificato l’intera faccenda, un punto di vista più logico
da prendere per il documentario Netflix sarebbe stato relativo al
motivo per cui il governo ha dato così poche risposte a coloro che
vogliono disperatamente ricongiungersi con i loro familiari che
erano sul volo e perché abbia invece nascosto molte
informazioni.
La compagnia satellitare privata
britannica Inmarsat ha scoperto che l’MH370 aveva abbandonato il
suo percorso, dirigendosi verso il Vietnam invece di proseguire
verso nord. Il governo malese conosceva queste informazioni dal suo
radar militare, ma non le ha rilasciate fino a una settimana dopo
la scomparsa dell’aereo, portando i ricercatori a cercarlo nella
zona sbagliata. Probabilmente il governo stava cercando di
mantenere i cittadini calmi e di salvarsi dal subire critiche dopo
quello che era successo all’aereo. Sarebbe dunque stato
interessante vedere il documentario di Netflix affrontare anche
questo argomento.
Tralascia informazioni e
motivazioni relative al capitano Ahmad Shah
Una teoria nel documentario Netflix
fortemente enfatizzata è quella sul coinvolgimento del Capitano
Zaharie Ahmad Shah. Questa propone che Zaharie
abbia pianificato l’intera faccenda come un omicidio-suicidio di
massa. Sebbene non ci siano prove che fosse coinvolto, la teoria
sembra ad oggi la più quotata. Il documentario parla brevemente
delle possibili motivazioni di Zaharie, come le motivazioni
politiche e le passate lotte per la salute mentale, anche se molto
viene tralasciato. Invece, il film intervista i membri della sua
famiglia, che hanno solo cose positive da dire su di lui.
Naturalmente, questo è completamente parziale, poiché anche se
sapessero qualcosa di compromettente, avrebbero potuto
ometterlo.
Molti che erano vicini al capitano
hanno confermato che egli aveva confessato di sentirsi solo e
triste. Ad esempio, il suo matrimonio stava attraversando una
profonda crisi e Shah aveva tradito sua moglie diverse volte con
assistenti di volo, cosa di cui lei era a conoscenza. Questa non è
un’informazione sufficiente per giungere al consenso sul fatto che
ci sia Zaharie dietro la scomparsa dell’MH370, ma uno sguardo più
approfondito alla sua vita personale avrebbe potuto sostenere
meglio le teorie a riguardo, meglio di quanto presentato nel
documentario Netflix.
I contributi del Dr. Schalk
Lückhoff e di Richard Godfrey non sono inclusi
Quando si parla dei detriti
ritrovati dell’MH370, il documentario affronta la missione di
Blaine Gibson a riguardo, che ha appunto permesso
di ritrovare alcuni di questi frammenti. Tuttavia, c’è anche la
storia di un medico sudafricano di nome Schalk
Lückhoff, che si è imbattuto nei detriti a Mossel
Bay nel dicembre 2016. Lückhoff ha detto di aver ignorato
i detriti quando li ha visti per la prima volta perché avevano un
cattivo odore a causa delle cozze in decomposizione attaccate ad
essi. Lückhoff non è stato incluso nel documentario, e nemmeno la
sua storia dell’essersi imbattuto in tali detriti. Una storia che
invece avrebbe potuto fornire ulteriori spunti di riflessione sulle
possibili zone dell’impatto.
Richard Godfrey è
invece noto per aver svolto ricerche approfondite sull’MH370, ma
nel documentario non viene menzionato nulla di lui. Il documentario
Netflix non affronta dunque le informazioni che sono emerse negli
anni più recenti, come tutto ciò che Godfrey pensa di aver
scoperto. Ad esempio, egli ritiene di aver trovato la posizione
dell’MH370 nell’Oceano Indiano. Godfrey crede anche nella teoria
dell’omicidio-suicidio presentata nel documentario. Con tutte le
sue ricerche, avrebbe avuto molte informazioni da offrire al
documentario Netflix, ma è stato purtroppo escluso senza un chiaro
motivo. L’assenza di tutti questi elementi rende dunque Volo
MH370 – L’aereo sparito nel nulla piuttosto imprecisa, pur non
togliendo nulla al suo essere un prodotto comunque avvincente.
Il 17 luglio 2007, il Brasile ha
assistito al peggior incidente aereo della sua storia: lo schianto
di un aereo della TAM Airlines, che ha causato la
morte di 199 persone. L’incidente è anche considerato la più grande
tragedia aerea dell’America Latina ed è stato rivisitato nella
serie di documentari brasiliana Volo 3054 – Una tragedia
annunciata, disponibile su Netflix dal 23 aprile.
Il giorno del tragico incidente,
l’aereo, un Airbus A320 operato dalla TAM, non è riuscito ad
atterrare correttamente all’aeroporto di Congonhas a San Paolo. Ha
oltrepassato la pista e si è scontrato con un edificio della TAM e
una stazione di servizio in Avenida Washington Luís, causando
un’esplosione. Il documentario in tre parti esplora la
storia dietro l’incidente, incluso lo stato dell’aviazione
brasiliana all’epoca, le cause che hanno portato alla tragedia e
cosa è successo ai responsabili.
Il “blackout aereo” in Brasile
Quando si verificò la tragedia
dell’Airbus A320 della TAM nel 2007, il Brasile stava attraversando
quello che divenne noto come il “blackout aereo”, una crisi nel
settore dell’aviazione civile del Paese tra il 2006 e il 2007,
caratterizzata da massicci ritardi, cancellazioni di voli e caos
aeroportuale, che colpì milioni di passeggeri.
La crisi fu causata dalla mancanza
di investimenti nelle infrastrutture aeroportuali e nel controllo
del traffico aereo – conseguenza di anni di tagli al bilancio – e
dai bassi salari e dalle pessime condizioni di lavoro per i
controllori di volo. Ciò portò a scioperi e proteste di
“work-to-rule” (quando il rigoroso rispetto delle procedure viene
utilizzato per rallentare le operazioni), il tutto mentre il numero
di passeggeri cresceva senza una proporzionale espansione delle
infrastrutture.
La crisi peggiorò dopo lo schianto
del volo Gol 1907 del 29 settembre 2006, in cui persero la vita
tutti i passeggeri e l’equipaggio a bordo, entrando in collisione
con un altro aereo in rotta da Manaus a Brasilia. Questo incidente
aumentò l’insicurezza tra i professionisti dell’aviazione. Alcuni
controllori di volo furono sospesi per indagini su potenziali
errori operativi. In assenza di sostituzioni, altri dovettero
sostituirli, con conseguente ulteriore tensione. I controllori
chiesero migliori condizioni di lavoro e l’assunzione urgente di
altro personale.
Volo 3054 – Una tragedia
annunciata – Il peggior incidente nella storia dell’aviazione
brasiliana
Intorno alle 18:48 ora
locale del 17 luglio 2007, l’Airbus A320 della TAM, ora operativo
con il nome di LATAM, stava arrivando dall’aeroporto Salgado Filho
di Porto Alegre e tentò di atterrare all’aeroporto Congonhas di San
Paolo. La pista era bagnata e, a causa dei recenti lavori
di ristrutturazione, era priva della scanalatura che consente una
frenata più efficace degli aerei. La manovra di atterraggio
non ebbe successo: l’Airbus uscì di pista e si schiantò
contro un edificio cargo della TAM situato proprio di fronte
all’aeroporto.
L’aereo esplose, uccidendo
199 persone: 181 passeggeri, sei membri dell’equipaggio e
12 persone che si trovavano a terra o all’interno dell’edificio.
L’edificio fu successivamente demolito e trasformato in un
memoriale per le vittime, con 199 punti luce. In Volo 3054 –
Una tragedia annunciata, le famiglie delle vittime ricordano
il giorno dell’incidente e l’angosciante attesa per
l’identificazione dei corpi. Alcune famiglie non riuscirono a
seppellire i propri cari, poiché i corpi di alcune vittime furono
completamente polverizzati nell’impatto. Altri furono ritrovati
anche 30 giorni dopo l’incidente.
Le cause dell’incidente raccontato
in Volo 3054 – Una tragedia annunciata
L’incidente fu indagato da tre
agenzie brasiliane. Il CENIPA, il Centro per l’Investigazione e la
Prevenzione degli Incidenti Aeronautici, concluse che la tragedia
fu causata da una combinazione di errori umani e operativi. Secondo
il rapporto, durante l’atterraggio, i piloti hanno portato solo una
delle leve di comando del motore al minimo, mentre l’altra è
rimasta in modalità salita. Questo ha fatto sì che il sistema
dell’aereo interpretasse il tentativo di decollo, non di frenata.
Un ultimo segmento del registratore vocale della cabina di
pilotaggio ha registrato i piloti mentre notano che solo uno dei
comandi funzionava correttamente.
Tra gli altri fattori che hanno
contribuito alla segnalazione figurano la mancanza di un avviso
acustico per l’errata configurazione della manetta e carenze
nell’addestramento dell’equipaggio, basato principalmente su corsi
online. Sebbene esperto, il copilota aveva poche ore di volo su
A320. Inoltre, non esisteva alcuna normativa che impedisse gli
atterraggi a Congonhas con un inversore di spinta non funzionante,
nemmeno nei giorni di pioggia.
La CENIPA, in quanto agenzia di
prevenzione, non ha fatto i nomi dei responsabili. Tuttavia, il suo
rapporto ha contribuito a ulteriori indagini da parte della Polizia
Civile e della Polizia Federale, che hanno raggiunto conclusioni
diverse in merito alle responsabilità.
Chi è stato ritenuto
responsabile?
Inizialmente, la Polizia Civile
aveva incriminato 10 persone, tra cui dipendenti di Infraero
(l’autorità aeroportuale), dell’Agenzia Nazionale per l’Aviazione
Civile (Anac) e di TAM Airlines. La Procura di Stato ha aggiunto un
altro nome, portando il totale a 11 persone formalmente accusate.
Tuttavia, il caso non è stato portato avanti presso il tribunale
statale. È stato trasferito alla Procura Federale, con la
motivazione che si trattava di un reato commesso in precedenza
dalla sicurezza aerea, che ricadeva sotto la giurisdizione
federale. La Polizia Federale ha quindi preso in carico le indagini
e alla fine ha incriminato solo i due piloti: Kleyber Lima e
Henrique Stefanini Di Sacco.
Ciononostante, quando la Procura
Federale ha formalmente presentato le accuse, il procuratore
Rodrigo de Grandis ha scelto di incriminare altre tre persone: il
Direttore della Sicurezza dei Voli di TAM, Marco Aurélio dos Santos
de Miranda e Castro; il Vicepresidente Operativo dell’azienda,
Alberto Fajerman; e la direttrice dell’ANAC Denise Abreu.
Nel 2014, Fajerman è stato assolto
per mancanza di prove. Denise Abreu e Marco Aurélio sono stati
accusati di omicidio volontario, sostenendo di aver permesso al
velivolo di operare in condizioni inadeguate, ma nel 2015 tutti e
tre gli imputati sono stati assolti.
Cosa è cambiato dopo la tragedia di
Volo 3054 – Una tragedia annunciata?
Il rapporto del CENIPA ha emesso 83
raccomandazioni di sicurezza, indirizzate all’Organizzazione
Internazionale per l’Aviazione Civile (OCI), all’ANAC,
all’aeroporto di Congonhas, ad Airbus e a TAM. Una modifica
importante è stata l’installazione di sistemi di allarme visivi e
acustici per avvisare i piloti di possibili errori di
configurazione della manetta. Al momento dell’incidente, Airbus
aveva già sviluppato il dispositivo, ma non ne aveva imposto
l’installazione, poiché ciò avrebbe richiesto un costoso
richiamo.
All’aeroporto di Congonhas, la
modifica più significativa è stata la risistemazione della pista,
ora dotata di scanalature trasversali e di uno strato di attrito
poroso per migliorare il drenaggio dell’acqua e ridurre il rischio
di slittamento. La lunghezza utile della pista principale è stata
ridotta a 1.660 metri per consentire la creazione di zone di
sicurezza. Per quanto riguarda l’addestramento dei piloti,
l’Agenzia Nazionale per l’Aviazione Civile (ANAC) ha stabilito
standard minimi di addestramento specifici per i guasti al sistema
frenante.
Sebbene il Brasile abbia registrato
un aumento degli incidenti aerei negli ultimi anni – in particolare
nel 2024, che ha registrato 138 morti in 40 incidenti mortali ed è
stato considerato l’anno più mortale per l’aviazione brasiliana dal
2014 – queste cifre includono vari tipi di aeromobili, come
elicotteri e ultraleggeri, secondo i dati del Sistema di
Investigazione e Prevenzione degli Incidenti Aeronautici gestito
dall’Aeronautica Militare Brasiliana.
Nel caso dell’aviazione commerciale
regolare – la categoria a cui apparteneva il volo TAM 3054 – il
primo incidente mortale registrato dopo la tragedia del 2007 si è
verificato nell’agosto del 2024.
In quel caso, il volo 2283, un ATR
72-500 operato dalla compagnia aerea Voepass, si è schiantato a
Vinhedo, nello stato di San Paolo, uccidendo 62 persone. Fino ad
allora, il Brasile non aveva registrato incidenti mortali
nell’aviazione commerciale regolare per 17 anni – un dato che
rafforza l’idea che molte delle raccomandazioni di sicurezza
adottate dopo l’incidente del TAM abbiano avuto un impatto
duraturo.
In occasione della presentazione del
film al Festival di Berlino 2020, la 70° edizione
della Berlinale, 01 Distribution diffonde in
rete tre clip da Volevo Nascondermi, il
film di Giorgio Diritti in concorso al festival,
con protagonista Elio Germano.
Toni, figlio di una emigrante
italiana, respinto in Italia dalla Svizzera dove ha trascorso
un’infanzia e un’adolescenza difficili, vive per anni in una
capanna sul fiume senza mai cedere alla solitudine, al freddo e
alla fame. L’incontro con lo scultore Renato Marino Mazzacurati è
l’occasione per riavvicinarsi alla pittura, è l’inizio di un
riscatto in cui sente che l’arte è l’unico tramite per costruire la
sua identità, la vera possibilità di farsi riconoscere e amare dal
mondo. “El Tudesc,” come lo chiama la gente è un uomo solo,
rachitico, brutto, sovente deriso e umiliato, diventa il pittore
immaginifico che dipinge il suo mondo fantastico di tigri, gorilla
e giaguari, stando sulla sponda del Po. Sopraffatto da un regime
che vuole “nascondere” i diversi e vittima delle sue angosce, viene
richiuso in manicomio. Anche lì in breve riprende a dipingere.
Più di tutti, Toni dipinge se
stesso, come a confermare il suo desiderio di esistere al di là dei
tanti rifiuti subiti fin dall’infanzia. L’uscita dall’Ospedale
psichiatrico è il punto di svolta per un riscatto e un
riconoscimento pubblico del suo talento. La fama gli consente di
ostentare un raggiunto benessere e aprire il suo sguardo alla vita
e ai sentimenti che sempre aveva represso. Le sue opere si rivelano
nel tempo un dono per l’intera collettività, il dono della sua
diversità.
Volevo nascondermi è prodotto da
PALOMAR con RAI CINEMA
con il sostegno della REGIONE EMILIA-ROMAGNA in
associazione con COOP ALLEANZA 3.0,
DEMETRA FORMAZIONE SRL, FINREGG
SPA ai sensi delle norme sul Tax Credit
Dopo il primo poster ufficiale
arriva il trailer ufficiale di Volevo
nascondermi, il nuovo film del regista Giorgio
Diritti, con Elio Germano in uscita il 27
febbraio distribuito da 01 distribution.
Toni, figlio di una emigrante
italiana, respinto in Italia dalla Svizzera dove ha trascorso
un’infanzia e un’adolescenza difficili, vive per anni in una
capanna sul fiume senza mai cedere alla solitudine, al freddo e
alla fame. L’incontro con lo scultore Renato Marino Mazzacurati è
l’occasione per riavvicinarsi alla pittura, è l’inizio di un
riscatto in cui sente che l’arte è l’unico tramite per costruire la
sua identità, la vera possibilità di farsi riconoscere e amare dal
mondo. “El Tudesc,” come lo chiama la gente è un uomo solo,
rachitico, brutto, sovente deriso e umiliato, diventa il pittore
immaginifico che dipinge il suo mondo fantastico di tigri, gorilla
e giaguari, stando sulla sponda del Po. Sopraffatto da un regime
che vuole “nascondere” i diversi e vittima delle sue angosce, viene
richiuso in manicomio. Anche lì in breve riprende a dipingere.
Più di tutti, Toni dipinge se
stesso, come a confermare il suo desiderio di esistere al di là dei
tanti rifiuti subiti fin dall’infanzia. L’uscita dall’Ospedale
psichiatrico è il punto di svolta per un riscatto e un
riconoscimento pubblico del suo talento. La fama gli consente di
ostentare un raggiunto benessere e aprire il suo sguardo alla vita
e ai sentimenti che sempre aveva represso. Le sue opere si rivelano
nel tempo un dono per l’intera collettività, il dono della sua
diversità.
Volevo nascondermi è prodotto da
PALOMAR con RAI CINEMA
con il sostegno della REGIONE EMILIA-ROMAGNA in
associazione con COOP ALLEANZA 3.0,
DEMETRA FORMAZIONE SRL, FINREGG
SPA ai sensi delle norme sul Tax Credit
Arrivato in sala in un momento e un
anno decisamente particolare, era il 19 agosto del 2020, Volevo Nascondermi è un film di
Giorgio Diritti che racconta la parabola
turbolenta, umana e artistica, di Antonio Ligabue, impersonato da
un geniale Elio Germano.
Il film è stato presentato al
Festival di
Berlino 2020, dove ha vinto il premio per la migliore
interpretazione maschile, e ha trionfato ai David di Donatello 2021, con 7 premi su 15
candidature. Disponibile per molto tempo su Sky Cinema e in
streaming su NOW, adesso, l’approdo di Volevo Nascondermi su Netflix, gli sta facedno vivere una seconda
giovinezza, data la capillare diffusione della piattaforma
della N rossa in tutti il territorio italiano.
Il film è balzato in Top 10 dei film
più visti e per questo vi proponiamo una serie di curiosità sul
progetto, sui suoi realizzatori e sul suo eccentrico soggetto: il
pittore Antonio Ligabue.
Il trionfo di Volevo Nascondermi ai David ha visto il film
portarsi a casa molti premi, come abbiamo detto, e diversi nelle
categorie principali. Il film ha vinto nelle categorie Miglior
Film, Miglior Regia, Migliore attore protagoniste, oltre ai premi
per la fotografia, il suono, l’acconciatore e la scenografia.
Ai prestigiosi David e ovviamente
all’Orso d’Argento per il migliore attore conquistato a Berlino da
Elio Germano, si aggiungono
il Nastro dell’anno ai Nastri d’argento 2020, i premi per Miglior
fotografia e Migliori costumi agli European Film Awards e le tre
candidature ai Ciak d’oro.
La trama di Volevo
nascondermi
La trama di Volevo nascondermi si
concentra sulla vita del celebre artista
Antonio Ligabue, grande pittore naif emiliano. Una
delle figure più rilevanti dell’arte contemporanea, in Italia e
all’estero, che neanche a dirlo ha avuto una vita complicata,
affetto da sempre da problemi di salute, era rachitico, e che nella
pace assoluta delle banchine del fiume Po dipingeva leoni, tigri,
gorilla e giaguari.
Il film è una biografia classica che percorre tutta la sua vita.
Nella prima fase dell’infanzia, particolarmente complessa,
Antonio Ligabue trova nella pittura una forma di
riscatto. Attraverso di essa riesce a catapultarsi in un universo
tutto suo. Dato in affidamento a una coppia dalla madre in
Svizzera, Toni ebbe rapporti contrastati con la sua famiglia di
adozione, tanto che venne espulso dal Paese perché aggredì sua
madre. Si trasferisce così in Italia, dove si ritrova solo,
affamato e al freddo.
L’incontro con Renato Marino Mazzacurati cambia la sua vita:
Antonio comincia a dipingere sistematicamente, dedicando la sua
vita all’arte, unico modo per riuscire a emergere dalla sua
condizione di reietto affermando un’identità che faticava a
trovare.
Così che “El Tudesc”, nomignolo non troppo affettuoso che gli
era stato dato, si costruì un mondo su misura, e in quell’ambiente
sereno tutto sembrava possibile.
Il cast di Volevo
nascondermi
Protagonista assoluto di Volevo Nascondermi è come
detto Elio Germano, in una delle sue
interpretazioni più complicate e riuscite. Trasformato nel corpo e
nello spirito, Germano consegna allo schermo una performance
intensa e sopra le righe, apprezzata in tutta Europa. Non è la
prima volta che l’attore si cimenta con un grande artista, visto
che era già stato Giacomo Leopardi per Mario Martone.
Condividono il set con lui altri bravissimi interpreti:
Pietro Traldi è Renato Marino
Mazzacurati, Fabrizio Careddu nel ruolo
di Ivo, Orietta Notari è la madre di
Mazzacurati, Andrea Gherpeli è Andrea
Mozzali. Leonardo
Carrozzo e Oliver
Ewy interpretano rispettivamente Ligabue da bambino e
da giovane.
Volevo nascondermi su
Netflix
Presentato a febbraio 2020 a
Berlino, il film ha dovuto affrontare l’ormai nota chiusura delle
sale dell’anno della Pandemia di Covid-19. La sua distribuzione è
stata complessa, e il film è arrivato in sala il 19 agosto di
quell’anno, per poi essere disponibile per diverso tempo su Sky
Cinema e NOW. Adesso è visibile in abbonamento su Netflix.
Ecco il primo poster ufficiale che
ci mostra Elio Germano come Antonio
Ligabue in Volevo nascondermi, il nuovo film
del regista Giorgio Diritti, in uscita
il 27 febbraio distribuito da 01
distribution
Toni, figlio di una emigrante
italiana, respinto in Italia dalla Svizzera dove ha trascorso
un’infanzia e un’adolescenza difficili, vive per anni in una
capanna sul fiume senza mai cedere alla solitudine, al freddo e
alla fame. L’incontro con lo scultore Renato Marino Mazzacurati è
l’occasione per riavvicinarsi alla pittura, è l’inizio di un
riscatto in cui sente che l’arte è l’unico tramite per costruire la
sua identità, la vera possibilità di farsi riconoscere e amare dal
mondo. “El Tudesc,” come lo chiama la gente è un uomo solo,
rachitico, brutto, sovente deriso e umiliato, diventa il pittore
immaginifico che dipinge il suo mondo fantastico di tigri, gorilla
e giaguari, stando sulla sponda del Po. Sopraffatto da un regime
che vuole “nascondere” i diversi e vittima delle sue angosce, viene
richiuso in manicomio. Anche lì in breve riprende a dipingere.
Più di tutti, Toni dipinge se
stesso, come a confermare il suo desiderio di esistere al di là dei
tanti rifiuti subiti fin dall’infanzia. L’uscita dall’Ospedale
psichiatrico è il punto di svolta per un riscatto e un
riconoscimento pubblico del suo talento. La fama gli consente di
ostentare un raggiunto benessere e aprire il suo sguardo alla vita
e ai sentimenti che sempre aveva represso. Le sue opere si rivelano
nel tempo un dono per l’intera collettività, il dono della sua
diversità.
Protagonista di Volevo
Nascondermi di Giorgio Diritti è Elio Germano, nel ruolo del pittore e scultore
italiano Antonio Ligabue. Per questa interpretazione, Germano ha
vinto l’Orso d’argento per il miglior attore al Festival di
Berlino 2020. Il film ha inoltre ottenuto 15
candidature ai David di Donatello 2021.
Volevo nascondermi: la trama
Volevo Nascondermi
esordisce con una serie di flashback che ci mostrano l’infanzia e
la giovinezza di Ligabue, costellate da violenze, soprusi e
abbandono. Vediamo in primo piano il viso del pittore oscurato da
un drappo nero, da una cui fessura fa capolino l’occhio del
pittore, che rivolge lo sguardo anche a noi spettatori. È
un’immagine fortemente simbolica, che va a stabilire fin da subito
il senso della pellicola di Diritti: indagare il mistero e la
genesi dell’estro artistico e creativo del pittore, oltre
l’ottenebramento dei tormenti psichici interiori. Veniamo poi a
conoscenza di alcune tappe fondamentali della vita del pittore:
nato in Svizzera da una famiglia italiana e successivamente dato in
affidamento a diverse famiglie, la crescita del giovane pittore è
ostacolata dalle continue violenze perpetrategli, ragion per cui
sarà affidato a un istituto per ragazzi affetti da disagi mentali.
A vent’anni viene espulso dalla Svizzera e si ritrova nella
cittadina romagnola di Gualtieri, dove verrà conosciuto come “El
Tudesc”. In Italia non imparerà mai del tutto la lingua e sarà
cacciato dagli abitanti del paese, costretto a rifugiarsi in una
baracca nel bosco, fino all’incontro con lo scultore Renato Marino
Mazzacurati, che ne scoprirà l’estro e le capacità artistiche.
Un conflitto insolubile tra
l’emarginato e la comunità
La filmografia di Giorgio Diritti è
permeata da una visione tragica sul conflitto insolubile tra
l’emarginato, il disadattato, e la comunità. Si nota una
riflessione generale sulle parti più predatorie e ferine dell’animo
umano, anche visto come branco, che non solo espelle chi ne
ostacola gli equilibri ma punta a mettere in disparte e perfino
distruggere le componenti più fragili. Non si opta per una
conciliazione tra le parti, perché non è data alcuna possibilità di
riscatto ai più deboli. C’è piuttosto la presa di coscienza
dell’animo spietato ed egoistico che guida le azioni umane in
diversi contesti.
Ligabue rimarrà un’anima
fanciullesca e senza filtri, nascosta dietro la maschera del
reietto e del disadattato. Dalla radicale esclusione del pittore
alla vita comunitaria nasce la più totalizzante immedesimazione con
l’universo animale, che trova una propria dimensione su tela: tigri
inferocite, aquile che si avventano sulle prede con le ali
spianate, cavalli imbizzarriti, sono i soggetti più ricorrenti dei
suoi quadri. “Non sono una bestia”, dice in manicomio il
pittore, cercando di ritagliarsi una dimensione esistenziale
propria, sicura e incisiva, pur sapendo che solo nella libertà
d’animo di questi esseri egli può identificarsi.
“Volevo nascondermi” recita il
titolo del film: l’animo di Ligabue non si nasconde certo nei suoi
quadri, dove emerge prepotentemente la conflittualità dell’universo
e la rabbia dell’artista, ma anche la purezza ancestrale della
dimensione naturale. La sublimazione della propria essenza
attraverso l’arte gli conferisce una speranza tale da poter
ritenersi un individuo speciale, immortale addirittura, secondo
l’idea dell’opera che sorpassa l’autore, che si fissa come
immanente nel futuro incerto, come dice di sé stesso al suo
autista. Non riuscirà però ad essere un uomo integrato in una
comunità; l’essenza del pittore non è ancorabile a una dimensione
umana specifica, si presenta come anima vagante in cerca di un
rifugio in cui non doversi nascondere. Incapace di esprimersi in
maniera comprensibile, senza dimora, Ligabue si rispecchia
veramente soltanto nell’infanzia, nel mondo apolide dei circensi, o
nel provare ad essere altro da sé, figura femminile o animalesca
che sia.
L’arte di Ligabue è istintiva,
carica di pathos, bisogni e desideri di cui non riusciva ad
appropriarsi nella vita quotidiana. Il suo processo artistico passa
per l’immedesimazione totale nelle bestie che ritrae, da cui emerge
una rabbia repressa per la condizione affibbiatagli di reietto, di
escluso. Ligabue cerca allora di trovare una dimensione propria, di
affidarsi un ruolo, un posto nel mondo: agli innumerevoli dipinti
di animali, alterna autoritratti che vogliono segnalarne
rumorosamente il passaggio sulla terra, che vogliono lasciare
l’impronta di un’esistenza in sordina, ma che esplode
prepotentemente tramite l’arte. Anche quando il suo talento sarà
riconosciuto e omaggiato e gli verranno concesse mostre, Toni non
riuscirà a liberarsi della condizione di diverso, escluso: il
tenero amore verso Cesarina, una sua compaesana, per esempio,
rimarrà solo il desiderio irrealizzabile di un’esistenza che non
permette un percorso di vita canonico.
Elio Germano restituisce l’essenza
più pura di Ligabue
Elio Germano ci regala un’interpretazione
straordinaria nei panni di Toni Ligabue ed encomiabile è anche il
lavoro di Lorenzo Tamburini al trucco (già
vincitore di un David di Donatello per Dogman): questo diventa infatti supporto
aggiuntivo, mezzo tramite cui comunicare tutta l’intensità d’animo
di Ligabue, la sofferenza, il bisogno di amore di chi non vuole
essere definito bestia, ma che troverà il proprio riflesso compiuto
solo nelle rappresentazioni animali. Ligabue studia meticolosamente
gli animali per poterli riprodurre come scorcio sulla sua anima, e
solo in altre anime pure, quelle dei bambini, trova un
interlocutore ideale. Ne è un esempio la disperazione totale quando
muore una bambina di Gualtieri, lutto al cui il pittore risponde
ritraendola e gridando disperatamente “Dove sei?” al ritratto, con
una tenerezza ed umanità totalizzanti.
Un grande lavoro di messa in scena,
che abbraccia il realismo degli ambienti e degli spazi, scenografie
che ci fanno immergere nell’Emilia Romagna del tempo e la
suggestiva colonna sonora firmata da Daniele
Furlati e Massimo Biscarini, sono solo
alcuni dei punti di forza del film. Diritti ci consegna sprazzi
della vita del grande pittore, quelli necessari per poterne
cogliere la vera essenza, che combaciano con il suo anelito di
libertà e amore: i passaggi fondamentali che lo portarono al
successo come pittore, l’accettazione e derisione dei suoi
compaesani, l’acuirsi e l’attenuarsi delle sue crisi. La
narrazione non segue uno schema lineare, eppure i salti temporali
non disorientano lo spettatore, perché riescono a catturare
l’essenza del pittore e del disturbo così profondo alla base della
sua arte.
È maestosa la collaborazione tra la
conoscenza profonda del mondo rurale emiliano infusa nell’opera da
Diritti, unita al lavoro attoriale di Germano, non solo sul
rimodellamento della propria fisicità, per poterla meglio adattare
al personaggio, ma che abbraccia anche uno studio fonetico nei
riguardi delle capacità linguistiche del pittore, che si esprimeva
mischiando i diversi lasciti linguistici della sua vita. Partendo
da quel corpo che si nasconde sotto un indumento -che è allo stesso
tempo corazza- emerge uno sguardo che mischia timore a curiosità,
lo sguardo di un fanciullo sempiterno, che da voce a un’arte unica
nel suo genere, distinguibile per la vivacità cromatica e l’energia
intrinseca. “I quadri si vedono, non c’è bisogno di
parlare”, afferma Ligabue: i suoi sono quadri parlanti,
dipinti di una vita a cui non è concessa piena espressione verbale.
La tavolozza diventa strumento indispensabile per sfuggire a
un’esistenza marchiata dai disturbi mentali e dalla derisione
generale. Diritti non giudica né assolve chi, per ignoranza o
insensibilità, disprezza Ligabue e le sue opere, ma riesce a
ritrarre con delicatezza e dolcezza estrema i pochi che ne seppero
capire il tormento interiore e tentarono di essere per lui
casa.
Sulla sua tomba si legge: «Il
rimpianto del suo spirito, che tanto seppe creare attraverso la
solitudine e il dolore, è rimasto in quelli che compresero come
sino all’ultimo giorno della sua vita egli desiderasse soltanto
libertà e amore». Solitudine, dolore, libertà e amore: i
quattro pilastri di questo sodalizio tra Diritti e Germano, che
riesce a restituire appieno i tormenti, i desideri e l’essenza più
pura di un animo incompiuto.
Dopo la vittoria dell’Orso d’argento
per il Miglior Attore a Elio Germano, il premio come Film dell’Anno
ai Nastri d’Argento e il Globo d’Oro come Miglior Film e Migliore
Fotografia, VOLEVO NASCONDERMI di Giorgio
Diritti con Elio Germano, prodotto da
Palomar con Rai Cinema, uscirà di nuovo nelle sale con 01
Distribution da mercoledì 19 agosto.
SINOSSI
Volevo nascondermi…ero un uomo
emarginato, un bambino solo,
un matto da manicomio, ma volevo essere amato.
Toni, figlio di una emigrante
italiana, respinto in Italia dalla Svizzera dove ha trascorso
un’infanzia e un’adolescenza difficili, vive per anni in una
capanna sul fiume senza mai cedere alla solitudine, al freddo e
alla fame. L’incontro con lo scultore Renato Marino Mazzacurati è
l’occasione per riavvicinarsi alla pittura, è l’inizio di un
riscatto in cui sente che l’arte è l’unico tramite per costruire la
sua identità, la vera possibilità di farsi riconoscere e amare dal
mondo.
“El Tudesc,” come lo chiama la gente
è un uomo solo, rachitico, brutto, sovente deriso e umiliato.
Diventerà il pittore immaginifico che dipinge il suo mondo
fantastico di tigri, gorilla e giaguari stando sulle sponde del Po.
Quella di Ligabue è una “favola” in cui emerge la ricchezza della
diversità e le sue opere si rivelano nel tempo un dono per l’intera
collettività.
Arriverà al cinema a febbraio
Volevo nascondermi, il nuovo film di Giorgio
Diritti con protagonista
Elio Germano sulla vita di Ligabue, pittore e
scultore italiano, tra i più importanti artisti naïf del XX
secolo.
Volevo nascondermi: la trama
Toni, figlio di una emigrante
italiana, respinto in Italia dalla Svizzera dove ha trascorso
un’infanzia e un’adolescenza difficili, vive per anni in una
capanna sul fiume senza mai cedere alla solitudine, al freddo e
alla fame. L’incontro con lo scultore Renato Marino Mazzacurati è
l’occasione per riavvicinarsi alla pittura, è l’inizio di un
riscatto in cui sente che l’arte è l’unico tramite per costruire la
sua identità, la vera possibilità di farsi riconoscere e amare dal
mondo.
“El Tudesc,” come lo chiama la
gente è un uomo solo, rachitico, brutto, sovente deriso e
umiliato, diventa il pittore immaginifico che dipinge il
suo mondo fantastico di tigri, gorilla e giaguari, stando sulla
sponda del Po. Quella di Ligabue è una “favola” in cui emerge
la ricchezza della diversità e le sue opere si rivelano nel tempo
un dono per l’intera collettività.
Volevo nascondermi è prodotto da
PALOMAR con RAI CINEMA con il sostegno della REGIONE
EMILIA-ROMAGNA in associazione con COOP ALLEANZA 3.0, DEMETRA
FORMAZIONE SRL, FINREGG SPA ai sensi delle norme sul Tax
Credit
Colui che non deve essere nominato è
sempre stato… nominato male! A rivelarlo è stata la stessa
JK Rowling via Twitter.
Parliamo ovviamente di Lord
Voldemort, Voi Sapete Chi, il super cattivo della saga di
Harry Potter. A quanto pare si pronuncia
con la T muta, alla francese.
Il nome significa infatti, in
francese, “volo della morte”, e, come si legge su Twitter, gli
unici a pronunciare bene il nome del Signore Oscuro sono sempre
stati soli i francesi e la Rowling stessa.
In realtà, nei primi due audiolibri
della saga, incisi da Jim Dale, la pronuncia
è corretta, ma dopo l’uscita del primo film, Harry
Potter e la Pietra Filosofale, dove la T si sente
nella pronuncia, anche gli audiolibri si sono adeguati
all’errore.
Ricordate che “Bisogna
chiamare le cose con il loro nome, la paura del nome non fa altro
che aumentare la paura della cosa stessa”, ma se proprio
dovete chiamare il Signore Oscuro con il suo, che lo pronunciate
come si deve!
Ecco il fan trailer di
Voldemort’s Origins of the Heir, una storia che
tutti vorremmo ci fosse raccontata e che va a indagare l’infanzia
del temibile villain di Harry Potter.
Voldemort’s Origins of the
Heir – Fan Traielr
Come abbiamo visto in Harry
Potter e i Doni della Morte Parte 2,
Voldemort è stato ufficialmente sconfitto, ma il
mondo magico ha trovato il modo di tornare sullo schermo grazie
alle avventura di Newt Scamander in
Animali Fantastici e dove Torvarli.
Il sequel del film con Eddie
Redmayne è al momento in lavorazione.
Il film è uscito il 17 novembre
2016, e avrà come protagonista Newt
Scamandro, autore de Gli animali fantastici dove
trovarli, che ha esattamente 23 anni. Il film è
ambientato a New York, 70 anni prima delle vicende di Harry
Potter. Nel cast Eddie
Redmayne, Katherine Waterston, Ezra Miller,
Dan Folger e Alison Sudol.
Quando si pensa ai più grandi
villain del grande schermo, gli iconici Darth Vader e Voldemort occupano di sicuro un posto d’onore.
Antagonisti principali di entrambe le saghe che li hanno resi noti
al grande pubblico – rispettivamente Star Wars e Harry Potter -, i due cattivi,
sebbene godano di una fama che si potrebbe considerare paritetica,
non hanno in realtà gli stessi poteri.
Provando a divertirci nel mettere le
loro abilità a confronto, quali pensate siano i punti di forza
dell’uno e quali invece quelli dell’altro? Abbiamo messo “allo
specchio” le loro personalità, cercando di rispondere ad un’ardita
domanda: chi è più potente tra Darth Vader e Voldermort? Scopriamolo insieme…
Discendenza
Il primo confronto tra i due
personaggi si basa sulle loro origini. La famiglia di Voldemort ha
profondi legami con la magia oscura, legami “di sangue” che
risalgono alla figura di Salazar Serpeverde. Per liberarsi dalla
discendenza Babbana del padre e della povertà in cui caddero i
Guant, Voldermort ha dovuto necessariamente ‘trasformarsi’ in
qualcosa di più grande. Parallelamente, anche le origini di Anakin
Skywalker erano alquanto umili…
Giovane ragazzo schiavo, è cresciuto
al fianco della madre per servire gli Hutt su Tatooine, per poi
essere venduto a Watto. Si dice che il piccolo Anakin sia stato
concepito senza un padre, creato dalla Forza attraverso
l’Immacolata Concezione. In questo prima testa a testa, è
sicuramente Darth Vader a spuntarla.
Abilità naturali
Quando si
tratta di abilità, sia grazie ai libri che ai film sappiamo quanto
Voldemort sia sempre stato dotato. Anche da bambino, durante gli
anni trascorsi in orfanotrofio, ha dato sfogo ai suoi poteri, tanto
per imparare a padroneggiarli quanto per vendicarsi dei torti
subiti. Le sue abilità non passarono inosservate neanche a Silente,
che una volta giunto nell’orfanotrofio lo convinse a frequentare la
scuola di magia di Hogwarts.
Per quanto riguarda
invece Anakin, le sue abilità naturali non si sono manifestate
perché collegate alla Forza (almeno da ciò che abbiamo visto nei
film), come ad esempio la sua capacità di pilotare navi e veicoli,
che non ha mai avuto eguali. Inoltre, ha sempre avuto il più alto
numero di midi-chlorian di chiunque altro i Jedi avessero mai
scoperto. Potrebbe forse non essere così evidente, ma siamo
convinti che a livello di abilità Anakin e Voldemort gareggino al
medesimo livello.
Abilità acquisite
I due villain hanno anche una
formazione ed un background educativo sorprendentemente simili.
Voldemort frequentò una delle più grandi scuole di magia del Mondo
Magico, eccellendo in tutto ciò che faceva; solo in seguito si
sarebbe dedicato alla scoperta di tutti i segreti che la magia
oscura aveva da offrirgli.
Darth Vader frequentò un’accademia altrettanto prestigiosa, il
Tempio Jedi, imparando a beneficiare di tutti gli insegnamenti
della Forza. Dopo aver ceduto al Lato Oscuro, si sarebbe dedicato a
seguire gli insegnamenti di Palpatine. Dati i contesti simili, ad
entrambi è stato insegnato praticamente tutto ciò che c’era da
sapere in termini di potere e di oscurità.
Armi
Quando si
tratta di armi, Voldemort potrebbe avere la meglio rispetto a Darth
Vader. Utilizzando una “semplice” bacchetta, è in grado di evocare
qualsiasi incantesimo si possa immaginare, tanto Offensivo e
Difensivo, per non parlare di quelli Generici. Inoltre, è in grado
di manipolare la realtà con un semplice movimento del polso.Anche se
Darth Vader brandisce un’arma potente e letale, ma la realtà è
che non si pouò competere con la magia…
L’uso della Forza
potrebbe essere l’abilità più equa in un’ipotetica battaglia contro
Voldemort, ma anche ciò non garantirebbe un’eventuale vittoria del
Sith. Anche se la spada laser è l’arma più iconica della saga di
Star Wars, è inevitabile quanto gli strumenti magici a
disposizioni di Voldemort siano molto più efficaci per vincere uno
scontro.
Alleati
Ogni grande villain ha bisogno di un
“compagno” che sia in grado di supportarlo. Voldemort ha i suoi
devoti Mangiamorte, ma il più fedele di tutti è sempre stato
Codaliscia. Per quanto riguarda
Darth Vader, invece, il suo più grande alleato nella Marina
Imperiale è stato probabilmente l’Ammiraglio Piett, diligente,
ambizioso e devoto.
Al tempo stesso Codaliscia, spinto
da una personalità spregevole e corrotta, era sempre disposto a
tutto pur di compiacere Lord Voldemort. Ciononostante, Piett ha
agito comandando un’intera flotta: ecco perché, rispetto a Peter
Minus, non può che essere considerata la “spalla” migliore che si
possa desiderare.
Seguaci
Guardando al di là dei rispettivi
alleati, è interessante chiedersi chi tra Darth Vader e Voldemort
abbia effettivamente le migliori risorse a disposizione. Voldemort
ha un potente esercito di seguaci che arrivano in suo sostegno
durante il finale della saga, durante il quale ha chiamato a
raccolta ogni sorta di creature ed essere oscuro a sua
disposizione.
Dall’altra parte abbiamo Darth
Vader, che ha dalla sua il fatto di essere uno dei personaggi più
malvagi della Galassia, così come di avere sotto la propria egida
un intero Impero. Se da un lato Voldemort potrebbe avere alleati
più talentuosi e potenti, è innegabile quanto la quantità di truppe
e di armi tecnologiche a disposizione di Darth Vader non abbia
eguali.
Dominio
In termini di territorialità e
dominio, quale cattivo ha saputo maggiormente espandere il proprio
potere? Negli ultimi libri della serie, Voldemort sradica
completamente il Governo prendendo il controllo di tutta la Gran
Bretagna, anche se non è chiaro se il suo colpo di stato si estenda
oltre i confini della nazione. Darth Vader serve serve invece un
Impero che si estende su un’intera Galassia, anche se non è
propriamente suo.
Sicuramente ne supervisiona gran
parte, ma la realtà è che appartiene tutto al suo padrone,
Palpatine. Per questo motivo, sebbene lo spazio governato possa
essere quantitativamente maggiore, alla fine è Voldemort ad
esercitare molto più dominio rispetto a Darth Vader.
Nemesi
Ogni villain che si rispetti ha
bisogno di una nemesi, un grande eroe da affrontare e con cui,
all’occorrenza, confrontarsi. Per Voldemort, tale nemesi è
rappresentata da
Harry Potter, che fin dalla nascita ha dimostrato di essere
l’unico vero grande ostacolo contro la sua scalata al potere. Darth
Vader, d’altra parte, è stato contrapposto a suo figlio, Luke
Skywalker.
Giunti alla fine dell’arco narrativo
del personaggio nella saga, scopriamo che Vader è riuscito a
provare sentimenti di amore nei confronti di Luke, qualcosa che non
sarebbe mai potuto accadere tra Voldemort e Harry. Come tale, la
coppia formata da “colui che non deve essere nominato” e il
maghetto occhialuto, in termini di rivalità, è la coppia
vincitrice… una rivalità che l’amore non avrebbe mai potuto
scalfire.
Morte
In ciascuna delle rispettive saghe,
entrambi i personaggi muoiono. Le morti sono però dovute a ragioni
molto diverse. Gli
Horcrux di Voldemort alla fine vengono tutti distrutti, con il
villain che viene superato in astuzia da Harry, morendo a causa
della sua stessa ambizione. Darth Vader, invecee, muore per il suo
stesso sacrificio, una morte chiaramente molto più nobile.
Il Sith scelse di morire al posto di
suo figlio, superando addirittura il suo maestro. Gli venne anche
concessa la vita eterna attraverso la Forza. Per questo motivo, la
morte di Vader supera quella di Voldemort.
Risultati
Giunti alla
fine, e osservando quanto esaminato fino ad ora, sembra che Darth
Vader sia il villain più potente. Sicuramente, Darth Vader ha agito
in una maniera tanto subdola quanto ragguardevole, impresa nella
quale Voldemort ha invece fallito.
Ciononostante,
entrambi i cattivi hanno a loro disposizione immense abilità e
risorse, quindi non sarebbe tanto “furbo” affermare che potrebbero
essere considerati – anche in vista di ciò che rappresentano per le
loro nemesi – potenti allo stesso livello…
Capita sempre più di frequente che
attori e attrici del nostro cinema decidano di compiere il
passaggio dietro la macchina da presa, che sia per dar vita ad una
nuova carriera come registi o solo per provare anche fosse per una
volta il brivido di dirigere un proprio film. È quanto capitato
solo negli ultimi mesi a Micaela
Ramazzotticon Felicità, Alessandro
Rojacon Con la grazia di un
Dioe a Paola
Cortellesi con C’è ancora domani,
quest’ultimo presentato nella cornice della Festa del
Cinema di Roma. In questa stessa occasione si può però
assistere anche ad un’altro esordio alla regia: quello di Margherita Buy,
che ha assunto tale ruolo per il film intitolato
Volare.
Per dar vita ad un proprio film
occorre avere qualcosa da dire, è la base, e questo qualcosa deve
poter coinvolgere non solo chi lo dice ma anche chi ascolta. Di
certo, Buy non ha dubbi su cosa dire, scegliendo infatti per questo
suo esordio di parlarci di un qualcosa che la riguarda in prima
persona: la paura di volare. La realizzazione del suo film diventa
dunque un modo per esorcizzare (o quantomeno provarci) questa
paura, scherzarci sù e cercare di intercettare quanti a loro volta
ne sono affetti. Tuttavia, se pure l’argomento c’è, quel che in
parte manca è invece uno sviluppo di esso tale da rendere
insindacabile la volontà di parlarne.
La trama di Volare
Nel film Margherita
Buy interpreta Annabì, un’attrice di successo che però,
per sua sfortuna, soffre di aviofobia, ovvero la paura di volare.
Proprio a causa di ciò, sono molte le occasioni lavorative di
carattere internazionale che le sono sfuggite, l’ultima delle quali
relativa ad un ruolo pronto per lei in Corea. Annabì, dunque, si
vede costretta ad accettare continuamente parti in fiction
televisive tanto longeve quanto scadenti, sviluppando però così
continue nevrosi. Quando però sua figlia le annuncia che andrà a
studiare in California, Annabì, desiderosa di accompagnarla,
deciderà che è giunto il momento di sconfiggere tale fobia.
Parlare di ciò che si conosce
Per il suo film d’esordio, dunque,
Buy sceglie di parlare di un qualcosa che conosce bene, il che è
evidentemente positivo, perché – insieme agli sceneggiatori
Doriana Leondeff e Antonio
Leotti – può mettere in campo tutta una serie di elementi,
dettagli e riflessioni proprie di chi soffre della paura di volare.
Ciò porta dunque il film a sfoggiare una certa precisione nella
trattazione di questo argomento, anche grazie ad un gruppo di
comprimari variegati, ognuno dei quali (anche se con qualche
stereotipo di troppo) porta avanti una specifica sfumatura di
questa paura. Da questo punto di vista Volare funziona
dunque bene, ma l’esordiente regista non si fa sfuggire l’occasione
per introdurre anche altri aspetti della propria vita.
La prima mezz’ora di film, ad
esempio, è una divertente presa in giro di sé stessa e del suo
ambiente lavorativo. Andando dalla competizione tra attrici (dove
ad interpretare la sua “rivale” ritroviamo una Elena Sofia
Ricci che si presta con generosità al gioco) fino alla
carenza di idee dell’industria, che continua ad esempio a proporre
sempre nuove stagioni di fiction di dubbio valore, Volare
riesce ad essere particolarmente divertente. In questa prima parte
di film, infatti, non mancano battute semplici ma genuinamente
divertenti, proposte con il giusto ritmo, come ad esempio la
risposta che la protagonista dà alla figlia che le suggerisce di
trovarsi un nuovo uomo da avere accanto: “ma no perché
poverino”.
Buy costruisce dunque un inizio che
fa ben sperare per il film, che tuttavia rallenta nel momento in
cui ha inizio un corso di gruppo specificatamente pensato per
aiutare a superare l’aviofobia. A partire da quel momento, e
sostanzialmente per il resto del film, è sullo svolgersi di tale
terapia collettiva che si articola il film, tra confessioni,
esercizi per tranquillizzarsi e chiarimenti da parte degli esperti.
Ecco allora che Volare sembra da qui in poi adagiarsi
troppo su tali dinamiche, provando sì ad approfondire le vicende
dei singoli personaggi ma senza aggiungere nulla di particolarmente
significativo o interessante al racconto.
Vincere le proprie paure ridendone
Certo, l’obiettivo è chiaro: poter
ridere ulteriormente, grazie a questo corso, delle paure che
caratterizzano chi proprio non ne vuol sapere di volare, oppure chi
vorrebbe riuscirci ma senza risultati. La risata come terapia,
dunque, anche se appunto riesce a risultare molto più brillante in
tal senso la prima parte di film. Questo perché molto più
autoironica, a confronto invece con uno sviluppo che si dilunga
talvolta in modo eccessivo su sottotrame che non vengono però poi
portate a compimento, ma che anzi vedono un accumularsi di elementi
che sottraggono tempo alla costruzione di un arco narrativo più
completo per Annabì e il modo in cui riesce (o non riesce) a
sconfiggere questa sua paura.
Volare è allora davvero da
intendere come un film non tanto interessato a raccontare una
storia (che è sostanzialmente quella di una donna che cerca di
vincere le proprie paure e riprendere il controllo della propria
vita) quanto far accomodare gli spettatori (meglio se aviofobici)
accanto ai personaggi in questa seduta di gruppo e ridere con loro
di questa paura. Se apprezzare o meno questa trattazione così
statica del problema dipenderà dal proprio gusto, ma c’è il rischio
per coloro che non sono vittime della medesima paura della
protagonista, di perdere interesse e finire quindi con il ridere
solo a metà.
Cinefilos.it offre
la possibilità di vedere al cinema gratis Volare, esordio alla regia di Margherita Buy,
con Buy, Anna Bonaiuto, Giulia Michelini, Euridice
Auxen e Francesco Colella, in sala dal 22
febbraio con Fandango.
Ecco le città in cui sarà possibile
partecipare alle proiezioni:
ROMA
CINEMA ODEON
giovedì 22 febbraio – 10
biglietti
venerdì 23 febbraio – 10
biglietti
sabato 24 febbraio – 10
biglietti
domenica 25 febbraio – 10
biglietti
CINEMA GIULIO CESARE
giovedì 22 febbraio – 10 biglietti
venerdì 23 febbraio – 10 biglietti
sabato 24 febbraio – 10 biglietti
domenica 25 febbraio – 10 biglietti
CINEMA EURCINE
giovedì 22 febbraio – 10 biglietti
venerdì 23 febbraio – 10 biglietti
sabato 24 febbraio – 10 biglietti
domenica 25 febbraio – 10 biglietti
CINEMA IN TRASTEVERE
giovedì 22 febbraio – 10 biglietti
venerdì 23 febbraio – 10 biglietti
sabato 24 febbraio – 10 biglietti
domenica 25 febbraio – 10 biglietti
CINEMA LUX
solo giovedì 22 febbraio – 10 biglietti
TORINO
CINEMA MASSIMO
solo giovedì 22 febbraio – spettacolo delle 20,30 con il
saluto in sala della regista Margherita Buy – 5
biglietti
MILANO
ANTEO PALAZZO DEL
CINEMA
giovedì 22 febbraio – 10 biglietti
venerdì 23 febbraio – 10 biglietti
sabato 24 febbraio – 10 biglietti
domenica 25 febbraio – 10 biglietti
Ad eccezione di Torino, biglietti
assegnati saranno validi per qualsiasi spettacolo della giornata
scelta.
Gli orari degli spettacoli saranno consultabili direttamente sul
sito dei cinema.
I
biglietti saranno validi per il primo spettacolo serale dagiovedì
22 febbraio a domenica 25 febbraioe
potranno essere richiesti inviando una e-mail a[email protected]. E’
fondamentale specificare nel testo della e-mail che si effettua la
richiesta viaCINEFILOS.
Per questioni legate
all’organizzazione degli eventi, sarà necessario inviare la
richiesta dei biglietti entro e non oltre il prossimo giovedì 22
febbraio. Di conseguenza non verranno accettate richieste che ci
perverranno oltre tale data.
I biglietti potranno essere ritirati direttamente alla cassa dei
cinema presentando la email di conferma ricevuta unitamente ad un
documento di identità.
Volare, la trama
La storia di Annabì, un’attrice di
successo, che soffre di aviofobia, ovvero la paura di volare. A
causa di questa sua fobia, l’attrice è stata costretta a rinunciare
a scritture importanti. Avrebbe potuto aspirare a un successo
internazionale, ma l’idea di salire su un aereo per un casting o
per le riprese l’ha sempre frenata. Adesso che sua figlia si è
trasferita in California per studiare, Annabì è alla ricerca di
qualcosa da fare e decide di iscriversi a un corso nell’aeroporto
di Fiumicino. Riuscirà a vincere la sa paura?
Volantin
Cortao è stato presentato “in
concorso” al Festival Internazionale del Film di
Roma 2013.
Paulina (Loreto
Velasquez) è una ragazza di 21 anni che lavora come
assistente sociale in un centro rieducativo per adolescenti. Ha un
rapporto difficile con la famiglia e difficoltà a relazionarsi
socialmente con le altre persone. Quando conosce Manuel
(René Miranda), uno dei ragazzi che frequentano il
centro di rieducazione, qualcosa cambia. Paulina inizierà un
percorso che la porterà a frequentare ambienti, persone e
prospettive diverse, con altrettante diverse conseguenze.
Volantin
Cortao di Diego Ayala e
Anibal Jofré è un film cileno che in soli 77
minuti tenta di raccontare un pezzo di vita di una ragazza, la sua
quotidianità inserita in un paese povero come quello del Cile. Non
è un film di denuncia sociale, tantomeno una pellicola con
l’obiettivo di rappresentare la criminalità dell’America del sud.
Vuole invece elevarsi dal contesto superficiale e scavare in
profondità, entrando nelle persone e raccontandone le giornate
comuni.
Il paradosso è che Paulina,
benestante e potenzialmente stabile, sia invece più instabile di
Manuel, che possiede una situazione familiare irripetibile e
nessuna certezza nella vita, se non quella dettata dalla piccola
criminalità. Forse Manuel si è già rassegnato a questa condizione,
mentre Paulina non vuole farlo. E nel cercare una strada diversa,
mette in mostra tutta la sua instabilità, una voglia di vivere e di
trovare un percorso alternativo pur non sapendo come.
Il film ha un ritmo molto lento. I
registi non hanno paura di mostrare, ma anche e soprattutto di “non
mostrare”: l’importanza di una parola o di un’immagine è data anche
da ciò che non si vede. Così, il campo-controcampo non è sempre
necessario; talvolta gli è preferibile un movimento di
macchina o un’immagine fissa.
La grande forza di
Volantin Cortao, che per qualcuno
potrebbe essere il suo punto debole, è la capacità di mostrare uno
spaccato di realtà quotidiana senza cadere nel gettonato picco
narrativo, con la convizione che è possibile raccontare una storia,
anche senza dover esagerare con forzature e banalità.
La nostra foto gallery del Festival:
[nggallery id=325]
Esce al cinema il 19 agosto
Volami Via, il film diretto da Christophe
Barratier con Victor Belmondo, Gérard Lanvin,
Yoann Eloundou, Ornella Fleury, Andranic Manet.
Volami Via è
distribuito da I Wonder Pictures. Ecco una clip in esclusiva dal
film:
https://www.youtube.com/watch?v=gVeThQ9_6hA
Volami Via, la trama
Mentre il trentenne figlio di papà
Thomas vive nella villa del padre medico ospedaliero, spreca i suoi
soldi e pensa di essere un playboy, il quindicenne Marcus convive
dalla nascita con una malformazione cardiaca e nessuno sa se vivrà
fino ai 16 anni. Dopo l’ennesimo guaio combinato dal figlio il
padre lo obbliga a prendersi cura di Marcus. Il mondo del ragazzo è
fatto di cliniche e sale operatorie, il mondo di Thomas è tutto
belle ragazze, club e feste. Dapprima decisamente riluttante
Thomas, finisce poi per semplificare il suo compito con l’aiutare
David a vivere, prima che sia troppo tardi, esperienze semplici e
fondamentali, come ha da tempo desiderato fare.
Voices,
diretto dal semi-esordiente Jason Moore, è un
divertente esperimento per la cinematografia dei più giovani. Nelle
sale dal prossimo 6 giugno, Voices è già
un fenomeno negli Usa tanto è vero che si sta pensando al
provvidenziale sequel: sarà un successo anche qui in Italia? E’
troppo presto per dirlo, ma siamo abbastanza sicuri che il film di
Jason Moore non passerà certo inosservato.
Voices è
l’evoluzione di un genere cinematografico che, contaminato dal
musical, riesce a dar vita a qualcosa di stuzzicante ed
elettrizzante nel panorama cinematografico. Essenzialmente è un
teen-musical che seppur scadendo in qualche clichè, rimane comunque
un film adulto, anti convenzionale, fresco, con battute esilaranti,
una perfetta colonna sonora ed un folto gruppo di giovani e
talentuosi attori. Il tutto si svolge nella classica cornice di un
college americano, dove la giovane Beca (Anna
Kendrick) sogna di sfondare nel mondo della musica. La
ragazza ha talento da vedere come DJ, ma per una strana
coincidenza, entrerà in un gruppo corale universitario di sole
donne. Capitanato dall’irriverente Aubrey (Anna
Camp) e dalla rossa sbarazzina Chole (Brittany
Snow), Beca si troverà a vivere un’avventura che le
cambierà la vita.
Voices, il film
Bastano quindi poche scene per
rimanere fatalmente attratti dal film. Con una semplicità genuina
ed una colonna sonora che rispolvera vecchie hit della musica pop
moderna, il film di Jason Moore colpisce nel segno
per due motivi ben precisi; se da una parte rimaniamo colpiti
dall’interessante caratterizzazione dei personaggi, dall’altra
parte le due anime del film (quella essenzialmente pop e quella che
riguarda le vicissitudini dei protagonisti), si fondono all’unisono
riuscendo a bilanciare il drama ed il musical.
Voices però, seppur sembra avere qualche
somiglianza con il successo televisivo di Glee, il
risultato è comunque molto diverso.
Mentre la serie tv cerca di stupire
il pubblico con performance da urlo e tralasciando la
caratterizzazione del personaggio, Voices
invece essendo un lungometraggio dal respiro più adulto, arriva
dove Glee non si è mai spinto. La pellicola infatti, non è
solo un piacevole intrattenimento, ma risulta essere un moderno
Step up. Se il franchise più ballerino
che ci sia, dopo già un solo lungometraggio era già alla frutta, il
film porta con sé una ventata di aria fresca per la cinematografia
giovanile, perche grazie alla sua miscela di canti e balli,
essenzialmente racconta una vicenda fatta di amicizia (quella
vera), una sana competizione e senza dimenticare di volgere uno
sguardo ad una generazione che nonostante tutto è ancora capace di
sognare.
Momentum Pictures ha annunciato oggi
di aver acquisito i diritti nordamericani per il thriller Voice
from Stone. Eric D. Howell fa il suo debutto
alla regia con la sceneggiatura scritta da Andrew
Shaw, basata sul romanzo italiano La Voce
della pietra, di Silvio Raffo.
Il Senior Vice President of Content
di Momentum Pictures, Ian Goggins ha dato l’annuncio oggi.
Siamo entusiasti
di portare questo film sorprendente sul grande schermo e di
lavorare con la talentuoso Emilia Clarke su questo progetto. Emilia
ha dimostrato di essere un attrice versatile nel suo ruolo in Game
of Thrones e nel suo eccentrico, eppure amabile, personaggio
in Me Before You. Siamo sicuri che la sua legione di fan la
seguirà nel suo nuovo ruolo in Voice from the Stone.
La protagonista è appunto la
Madre dei Draghi di Game of Thrones,
Emilia Clarke. Nel cast anche Marton
Csokas, Caterina Murino, Remo
Girone, Lisa Gastoni e Edward
Dring.Voice from the
Stone uscirà nei cinema e on demand nel primo
trimestre del 2017.
La pellicola racconta la storia
inquietante di Verena (Clarke) un’infermiera che ha il compito di
aiutare un giovane ragazzo di nome Jacopo che ha perso la parola in
seguito alla prematura scomparsa della madre. Il ragazzo vive con
il padre in un maniero in Toscana. Sin da subito Jacopo dimostra di
avere altri problemi e sembra essere sotto l’incantesimo di qualche
forza diabolica. della pietra.
Voice from the Stone è prodotto da
Dean Zanuck (The Road to
Perdition, Get Low) e
Stefano Gallini-Durante.
Il film Voglio
crederci (altrimenti noto col titolo internazionale
di Make me believe) è l’ennesimo grande successo di
Netflix proveniente dalla Turchia, Paese che
negli ultimi tempi ha sempre più guadagnato popolarità grazie ai
propri prodotti audiovisivi, tanto film quanto serie televisive. Con questo
nuovo titolo, diretto dai registi Evren Karabiyik
e GünaydinMurat Saraçoglu, la piattaforma
streaming offre dunque un nuovo racconto d’amore che, tra i
paesaggi mozzafiato della Turchia, sta incantando un gran numero di
utenti, a dimostrazione del grande interesse che tale
cinematografia è sempre più capace di suscitare.
Un risultato che ribadisce ciò di
cui Netflix è maggiormente fiera, ovvero il dare la possibilità ai
propri abbonati di confrontarsi con prodotti provenienti da paesi
che difficilmente avrebbero trovato spazio nei cinema o nelle
televisioni nostrane (anche se su quest’ultima le soap turche
stanno iniziando a ritagliarsi un sempre maggiore spazio).
Voglio crederci è dunque il titolo perfettto per gli
appassionati di storie romantiche ma in cerca di
qualcosa di diverso dai soliti film di produzione statunitense.
Prima di intraprendere la visione di Voglio crederci,
però, ecco alcuni dettagli sulla sua trama, il
cast di attori e le location
dove si sono svolte le riprese del film.
La trama e il cast di Voglio crederci
Protagonisti di Voglio
crederci sono due nonne e i loro adorati nipoti. Le due
signore, legate da una lunga amicizia, non possono fare a meno di
immischiarsi nelle questioni di cuore dei loro ragazzi. I loro
intenti sono però nobili, in quanto vorrebbero aiutarli a essere
felici, consigliando loro le giuste scelte da fare per poter
intraprendere la strada più sicura verso l’amore e la gioia. Si
mettono dunque d’accordo per far incontrare i rispettivi nipoti,
Sahra e Deniz, questi i loro
nomi, che sono cresciuti insieme ma con il tempo si sono persi di
vista. Ritrovandosi, però, scopriranno di provare ancora dei
sentimenti l’uno per l’altro, ma insieme ad essi ci sono anche
delle questioni del passato da risolvere.
Fanno parte del cast alcuni attori
turchi, non particolarmente noti al di fuori del loro paese natìo
ma che proprio grazie a Netflix hanno ora l’occasione di ottenere
maggiore notorietà. Protagonista femminile del film è dunque
l’attrice Ayça Aysin Turan nel ruolo di
Sahra. Prima di questo film, l’attrice si è resa
nota grazie alla serie Maryem e The Protector,
quest’ultima presente a sua volta su Netflix. Ekin
Koç, noto per la serie turca Üç Kurus, è
invece il protagonista maschile, interprete di
Deniz. Recitano poi nel film Cagla
Irmak che impersona Ahu, Cagri Citanak
che interpreta Ulas e Kemal Okan Özkan che presta
le fattezze di Kerem. L’attrice Yildiz
Kültür recita invece nei panni di Deniz’in Büyükannesi.
Le location del film Voglio crederci
Le riprese del film, girato nel
corso dell’estate 2022, si sono naturalmente svolte Turchia. Nello
specifico, però, la provincia turca di Çanakkale è
stata scelta come location principale. Questa si trova sulla sponda
asiatica dello stretto dei Dardanelli, nella
regione nord-occidentale della Turchia. Qui hanno dunque avuto
luogo la maggior parte delle riprese. Alcune di esse sono però
state effettuate anche all’interno e intorno all’Altare di
Zeus a Mıhlı, Adatepe Köyü
Yolu, che si trova sul bordo della collina che domina la
baia di Edremit ad Assos. Secondo
la mitologia, proprio da questo altare il più forte degli Dei greci
avrebbe osservato lo svolgersi della guerra di Troia.
Un’altra location particolarmente
importante per il film è stata la provincia di Athena
Tapınağı con molti punti di riferimenti utili come
Çanakkale Trojan Horse, Çanakkale Martyrs ‘Monument,
Çanakkale Saat Kulesi nel centro di
Çanakkale e Anzac Cove della
penisola di Gallipoli. Quella di Çanakkale è una
meta turistica molto gettonata, basti pensare che sul lungomare
della città è presente come attrazione turistica il modello del
cavallo di legno usato nelle riprese del film Troy, con
Brad Pitt come
protagonista. Questo perché Çanakkale è il grande centro urbano più
vicino ai resti archeologici dell’antica città di Troia.
Il trailer di Voglio
crederci e come vedere il film in streaming su Netflix
Come anticipato, è possibile fruire
di Voglio crederci unicamente grazie alla
sua presenza nel catologo di Netflix, dove
attualmente è al 2° posto della Top 10 dei
film più visti sulla piattaforma in Italia. Per vederlo,
basterà dunque sottoscrivere un abbonamento generale alla
piattaforma scegliendo tra le opzioni possibili. Si avrà così modo
di guardare il titolo in totale comodità e al meglio della qualità
video, avendo poi anche accesso a tutti gli altri prodotti presenti
nel catalogo.
Vogliamo i colonnelli è il
film del 1973, diretto da Mario
Monicelli con Ugo Tognazzi, Duilio del Prete, Dauphin
Claude, Francois Perier, Antonino Faa di Bruno.
La trama di Vogliamo i colonnelli
Sinossi: Italia, anni settanta.
Dietro ad un attentato al Duomo di Milano, inizialmente affibbiato
alla sinistra eversiva, si cela in realtà il diabolico piano
occulto dell’on. Giuseppe Tritoni detto Beppe (Ugo Tognazzi),
importante esponente della Grande Destra. Quale misterioso e
sinistro disegno spinge il vulcanico e iroso deputato ad affannarsi
come un matto tra anziani ufficiali dell’esercito nostalgici del
Ventennio? Il sogno, l’utopia, il fine è abbattere le istituzioni
democratiche e attraverso un colpo di stato, sul modello di quello
greco, impadronirsi dei centri politici di potere.
Il Tritoni, dopo aver ricev uto una
lista di fedelissimi dal gen. Bassi Lega (Pietro Tordi), inizia il
lavoro di reclutamento e coordinamento che porterà alla formazione
di un’improbabile masnada . Colonnelli ed imprenditori ansiosi di
riportare il paese all’ordine e al rigore dei “bei tempi” giungono
così alla data fatale ma una serie di inconvenienti renderà
l’impresa più complicata del previsto.
Vogliamo i
colonnelli è un film del 1973 diretto dal grande e
compianto Mario Monicelli il quale collaborò anche al soggetto e
alla sceneggiatura insieme agli amici e compagni di una vita Age e
Scarpelli. Nomi che da soli erano garanzia di qualcosa meritevole
di attenzione, e così è stato, di certo questo film non fa
eccezione. Una divertentissima parodia che si è ispirata
liberamente ad un fatto storico realmente accaduto alcuni anni
prima: il Piano Solo architettato dal generale dei carabinieri De
Lorenzo, un tentativo di colpo di stato militare fallito prima
ancora di iniziare. Monicelli racconta con la solita ironia,
arguzia e maestria una storia per certi versi inquietante
soprattutto se si pensa a quanto sia stata vicina alla realtà.
Personaggi spassosissimi che rappresentano la vera forza motrice
del film, macchiette studiate ad arte che coinvolgono tutto l’arco
politico del bel paese: dal vecchio militare dalla mascella tesa e
la casa ricolma di cimeli del duce, al subdolo politicante
democristiano attaccato alla poltrona e al potere sino al timoroso
e inconcludente deputato di una sinistra annacquata.
Direttore d’orchestra un
immarcabile Ugo Tognazzi, semplicemente irresistibile nei panni
dell’indemoniato deputato destroide che urla in toscano tra comizi
che trasudano retorica nazionalista e invettive sboccate contro i
mali del sistema democratico. Una schiera di attori noti e meno
noti che completano un quadro perfettamente costruito e ideato da
un maestro della commedia. Ma da maestro della commedia, Monicelli
sa perfettamente come smorzare un’ ingannevole risata in un ghigno
quasi beffardo e amaro. Il geniale finale del film scaglia,
coraggiosamente, pesantissime sferzate al potere politico e alla
classe dirigente che governava il paese in quegli anni; per
debellare questi rischi di eversione estremista post-fascista,
queste minacce alla democrazia, il governo proclama una serie di
leggi liberticide, in nome della sicurezza sociale.
In sostanza il film ci dice che la
cura può essere peggiore del male o che forse partiti
apparentemente lontani non lo sono poi nella sostanza. Vogliamo
i colonnelli è un film divertente e al contempo inquietante, un
classico della grande commedia italiana della vecchia ed
inimitabile scuola, in cui la parodia non regalava mai risate fine
a se stesse. Tante sequenze e battute memorabili, su tutte fateci
citare quella con cui Tognazzi/Tritoni cerca di giustificarsi
quando il gen. Bassi Lega lo coglie brache calate insieme alla
pruriginosa figliola: “…suvvia generale un confondiamo la patria
con la fava!”.
Come annunciato, la voce
dell’industria cinematografica e audiovisiva indipendente si è
fatta sentire: registi, sceneggiatori, agenti, attori,
distributori, esportatori, festival, musicisti, produttori,
tecnici. Tutti insieme – come non accadeva da tempo – per chiedere
formalmente al Ministro Gennaro Sangiuliano, al
Sottosegretario Lucia Borgonzoni e al Direttore
Generale Nicola Borrelli di considerare
urgentemente le proposte del Settore e promuovere un incontro a
breve per attuare le necessarie riforme in tempi rapidi.
Il Settore necessita di
certezze: delle regole, delle tempistiche e delle risorse.
Temi esposti con pacatezza e
chiarezza, con lo scopo di continuare a tenere attivo il dialogo da
tempo instaurato con le Istituzioni, ma con la ferma intenzione di
correggere la narrazione a volte distorta che accompagna i temi
caldi dei finanziamenti cinematografici.
9.000 le imprese del settore, la
stragrande maggioranza delle quali PMI. 95.000 posti di lavoro
diretti, 114.000 nelle filiere connesse. Numeri che testimoniano la
grande dimensione del settore, che sviluppa un moltiplicatore
economico di 3.54 di cui beneficia l’intera economia nazionale,
oltre a creare e promuovere l’immagine del Paese nel mondo.
Oltre 1500 le persone presenti al
Cinema Adriano e diverse centinaia collegate in diretta streaming,
tra cui anche molti studenti desiderosi di approfondire e capire
come poter fare del cinema il proprio obiettivo lavorativo.
Le proposte sono dunque sul
tavolo e le associazioni a disposizione delle istituzioni, nella
speranza di poter continuare a tenere alta la bandiera del cinema
italiano.
ASSOCIAZIONI ADERENTI:
100 AUTORI – Associazione dell’Autorialità Cinetelevisiva
ACMF – Associazione Compositori Musica per Film
AFIC – Associazione Festival Italiani di Cinema Agenti
Spettacolo Associati
AGICI – Associazione Generale Industrie Cine-Audiovisive
Indipendenti
AIC – Autori Italiani Cinema
AIR3 – Associazione Italiana Registi
AMC – Associazione Montaggio Cinematografico e Televisivo
ANAC – Associazione Nazionale Autori Cinematografici
ANICA – Unione Esportatori Internazionali Unefa
ANICA – Unione Produttori
APAI – Associazione del personale di produzione
dell’audiovisivo italiano
ASA – Agenti Spettacolo Associati
A.S.C. – Associazione Scenografi, Costumisti e Arredatori
ASIFA – Associazione Italiana Film d’Animazione Autori italiani
Cinematografia
CARTOON Italia
CNA – Artigiani Imprenditori d’Italia | Cinema e
Audiovisivo
Collettivo Chiaroscuro
DOC.IT – Associazione Documentaristi Italiani
FIDAC – Federazione Italiana delle Associazioni
Cineaudiovisive
LARA – Libera Associazione Rappresentanti di Artisti
Voglia di
tenerezzaRegia: James L. Brooks
Anno: 1983 Cast: Shirley
MacLaine, Debra Winger, Jack Nicholson.
Il film è tratto da un romanzo di
Larry McMurtry del 1975, dall’omonimo titolo. Nel romanzo però non
appare il personaggio di Garrett, ideato dallo stesso Brooks,
interpretato da Jack Nicholson e centrale nel film. I protagonisti
portano dentro di sé tristezza e insoddisfazione, cadendo così in
sbagli continui arrecati proprio dalla loro fragilità.
Abbiamo Aurora, donna che non
accetta di invecchiare e vorrebbe restare una single eternamente
corteggiata dagli uomini; c’è Emma, la figlia, che è sempre più
trascurata dal marito Flap, che di fatto la tradisce, causandone
così il reciproco tradimento; c’è Garrett, ex astronauta vitellone.
Ma il brutto male che colpisce Emma porterà un cambiamento positivo
in ognuno di loro: Aurora accetterà di buon grado il ruolo di
nonna, Flap si impegnerà di più come padre, Garrett si dedicherà
anima e cuore ad Aurora, sbarazzandosi dal ruolo di scapolone negli
“anta”. Commedia adatta per gli amanti dei film lenti e riposanti,
romantici, strappalacrime.
Voglia di tenerezza ha avuto anche
un sequel girato nel 1996, Conflitti del cuore: nel film Aurora ha
una tormentata relazione con un giovane psichiatra (Bill Paxton) e
Nicholson compare solo in un cameo.
Al ritiro dell’Oscar Shirley
MacLaine, durante il suo discorso, si rivolse a Debra Winger,
candidata per la stessa categoria e lo stesso film, e le disse:
“Metà di questo è tuo”. La Winger le rispose: “Allora
ne prenderò metà”.
Il periodo delle riprese coincideva
con la disintossicazione di Debra Winger da una seria dipendenza
dalla cocaina, che causò molti comportamenti scorretti sul set, che
in un’occasione la portarono addirittura alle mani con Shirley
MacLaine.
James L. Brooks ha lavorato solo
occasionalmente come regista, in quanto la sua principale attività
è di produttore televisivo. Tra i lavori più famosi c’è quello di
produttore esecutivo dei Simpson.
In America è molto conosciuto anche
per programmi televisivi quali Mary Tyler Moore, Rhoda e Taxi. Come
regista ha firmato altri cinque film: Dentro la notizia (Broadcast
News, 1987), Una figlia in carriera (I’ll Do Anything, 1994),
Qualcosa è cambiato (As Good As It Gets, 1997). Spanglish – Quando
in famiglia sono in troppi a parlare (Spanglish, 2004) e il recente
Come lo sai (How Do You Know, 2010).
Sebbene Brooks non abbia diretto
molti film, con Voglia di tenerezza ha proposto una pellicola che
ha fatto incetta di premi. Cinque Premi Oscar: Miglior film a James
L. Brooks, Migliore regia a James L. Brooks, Miglior attrice
protagonista a Shirley MacLaine, Miglior attore non protagonista a
Jack Nicholson, Migliore sceneggiatura non originale a James L.
Brooks. Quattro Golden Globe: Miglior film drammatico, Miglior
attrice in un film drammatico a Shirley MacLaine, Miglior attore
non protagonista a Jack Nicholson, sceneggiatura a James L. Brooks.
Quattro National Board of Review Award: Miglior film, Migliore
regia a James L. Brooks, Miglior attrice protagonista a Shirley
MacLaine, Miglior attore non protagonista a Jack Nicholson. Due
Kansas City Film Critics Circle Award: Miglior film, Miglior attore
non protagonista a Jack Nicholson. Un David di Donatello: Miglior
attrice straniera a Shirley MacLaine. E ancora 5 premi al Los
Angeles Film Critics Association Award e tre al New York Film
Critics Circle Award.
Aggirarsi per le strade di una
dormiente e ricca Parigi; saltare da un tetto all’altro come un
felino; trovare il giusto ingranaggio per irrompere in uno dei
musei più importanti d’Europa rimanendo invisibili. Una descrizione
che nella storia della criminalità riconduce a Vjeran Tomic, non un
ladro gentiluomo come Lupin, ma di certo uno di quelli astuti e
intelligenti, che verrà per sempre ricordato come colui che ha
messo a punto il “furto del secolo”. Qualcuno lo ha soprannominato
Spider-Man e il nuovo documentario targato Netflix
diretto da Jamie Roberts, Vjeran Tomic
– Lo Spider-Man di Parigi ci dimostra subito il
perché: un uomo che riesce a scalare gli alti palazzi della città
francese con agilità – e soprattutto facilità – senza accusare la
minima fatica non può che lasciare perplessi, increduli e pure
piacevolmente meravigliati.
Quasi come se fosse davvero un
ragno, una creatura bizzarra, quasi chimerica. Questo ladro è
riuscito nel 2010 a rubare ben cinque quadri di valore nel Museo
d’Arte Moderna di Parigi, fra cui un Picasso e un Modigliani, ad
oggi ancora dispersi. Come ha fatto lo spiega lui stesso nel
docufilm, una storia di strategia e ingegno, che lascia tanto
basiti quanto colpiti da un personaggio che, nel sentirlo parlare,
si ammanta di quel fascino malandrino ma al tempo stesso quasi
buono che diventa difficile non simpatizzare per lui. Pur,
attenzione, condannando tutte le sue azioni illecite. Dalla prima
all’ultima.
Vjeran Tomic – Lo Spider-Man di
Parigi: dentro la storia del ladro
È il 2010 quando al Museo d’Arte
Moderna di Parigi la Polizia scopre essere stati rubati cinque
quadri dal valore inestimabile. Un vero atto di violenza, una
violazione del patrimonio artistico di tutta l’Europa. Le
telecamere interne del Museo hanno rilevato la presenza di
qualcuno, incappucciato e mascherato, per cui è impossibile capire
chi sia. Addirittura è complicato distinguerne il sesso. Quell’uomo
non è altro che Vjeran Tomic, soprannonimanto Spider-Man per la sua
capacità di arrampicarsi sui palazzi di Parigi e saltare da un
tetto all’altro. Sono acrobazie, le sue. Abilità che non si
incontrano molto spesso. Da quel furto, considerato un vero e
proprio colpo grosso, si ripercorre tutta la vita dell’uomo: la sua
vita in Bosnia, il suo periodo con i nonni, la malattia della madre
e le prime rapine quando era piccolo. Un’esistenza passata a
rubare, in particolare ai ricchi, diventata come lui stesso ammette
un’ossessione. Una dipendenza. La storia di Tomic è fatta di
difficoltà ad adattarsi, di famiglia disfunzionale, passato
burrascoso, ma anche di compiacimento verso le sue azioni che lui
stesso spettacolarizza, e che nel profondo però nascondono solo il
bisogno di essere apprezzato e considerato.
Dal punto di vista di Tomic
Il racconto dell’accaduto in
Vjeran Tomic – Lo Spider-Man di Parigi è
dei più peculiari: a narrare, come fosse uno dei più grandi Maestri
dell’imbroglio, è lo stesso Tomic. Che davanti alla macchina da
presa, la quale cattura ogni sua percettibile sfumatura espressiva,
si sente a proprio agio, soddisfatto dello spettacolare furto
commesso mentre rivela i suoi “trucchi del mestiere”. Non è la
prima volta che in un documentario sia lo stesso protagonista a
dialogare con lo spettatore di sé, ma quando si tratta di un
criminale è inevitabile provare all’inizio un po’ di straniamento.
Eppure Tomic, pur riavvolgendo il nastro dei suoi reati ma anche
della sua stessa vita, appare come una persona dietro la cui forza
apparente giace una certa fragilità
esistenziale.
Inoltre, pur invadendo la loro
privacy e non pentendosene, si dimostra attento alla sue vittime.
Esordisce con un disprezzo nei confronti dei ricchi, gli stessi che
all’inizio della sua “carriera da ladro” colpisce, infiltrandosi
nelle dimore dei quartieri d’elité parigini. Ma comunque sottolinea
di non aver mai avuto intenzione di fare del male a qualcuno e mai
ne ha fatto. Tutto questo non lo rinfranca dalle violazioni
perpetrate sia nelle case che al Museo, ma ci fornisce un quadro
generale di una persona che, pur ossessionata dalle rapine, sa che
le sue azioni sono condannabili. È lucida e presente a se stessa.
Tanto da ammettere le sue colpe una volta che la Polizia –
anch’essa stupita dalla sua trasparenza e dignità – lo arresta per
i furti dei quadri.
Un abile Spider-Man
Vjeran Tomic – Lo
Spider-Man di Parigi, per farci entrare ancora di più
in quel che è stato il grande colpo al Museo, ripercorre con una
ricostruzione accurata e ricca di dettagli ogni momento che ha
scandito la dinamica. In un avvincente montaggio a incastro vengono
mostrate le scene recitate e ben ricostruite, la voce di Tomic che
le segue e avvolge per spiegare il suo piano d’irruzione e gli
inserti testimoniali della Polizia che ha svolto indagini e
inchiesta. Il docufilm non scade mai nel ripetitivo, ma lì dove è
necessario riempire, la scelta ricade – oltre che sul passato di
Tomic e la sua complessa situazione familiare – sul mostrarci come
l’uomo ha fatto nel tempo a entrare furtivamente nelle case delle
persone.
Con una action cam,
Vjeran Tomic – Lo Spider-Man di Parigi ci
porta sui tetti della città insieme al ladro, ci fa vivere le sue
spericolate acrobazie, mentre lui stesso ci racconta quanti anni ha
impiegato per affinarne la tecnica. Entrare nel folle mondo di
Tomic e conoscerlo dal suo punto di vista risulta perciò essere
interessante, in primis per comprendere meglio cosa si cela dentro
menti criminali simili. L’unica nota sprecata di tutto il
documentario è la testimonianza dei derubati, un contraltare
perfetto per restituirci una doppia visione della stessa realtà, i
quali però non hanno avuto il giusto spazio all’interno della
storia come in realtà avrebbero meritato.
Sono più di trenta i nuovi scatti
che arrivano direttamente dal set di Vizio di
forma, il prossimo film che vedrà Joaquin
Phoenix tornare protagonista per Paul Thomas
Anderson.
Come di consueto, grande cast per
il regista culto che vede fra gli altri coinvolti attori del
calibro di Josh Brolin, Benicio Del Toro, Owen Wilson,
Reese Witherspoon, Martin Short, Katherine Waterston, Jena Malone,
Kevin J. O’Connor.
Di seguito la trama del romanzo di
Pynchon: California, inizio anni Settanta. Doc Sportello,
investigatore privato con una passione smodata per le droghe e il
surf, viene contattato da una vecchia fiamma, Shasta, che gli
rivela l’esistenza di un complotto per rapire il suo nuovo amante,
un costruttore miliardario. L’investigatore non fa neanche in tempo
ad avviare le sue indagini che si ritrova arrestato per l’omicidio
di una delle guardie del corpo del costruttore, il quale è intanto
sparito, come pure Shasta. Sembrano le premesse del più classico
dei noir, ma ben presto le coincidenze piú strane si accumulano e
il mistero si allarga a macchia di leopardo. Doc inciampa così in
collezioni di cravatte con donnine discinte, in falsi biglietti da
venti dollari con il ritratto di Richard Nixon, in un’associazione
di dentisti assassini nota come Zanna d’Oro, che è però anche il
nome di un sedicente cartello indocinese dedito al traffico di
eroina.
Vizio di forma è
l’ultimo film di Paul Thomas Anderson, che dopo
aver trattato le lacerazioni del singolo individuo in The Master e ne Il Petroliere torna con un affresco
sul declino del sogno americano, in cui i luoghi comuni prendono il
sopravvento e i personaggi sono spinti da un insostenibile
paranoia. Il regista statunitense, adattando il libro omonimo di
Thomas Pynchon che appartiene al genere del giallo
ma con la struttura da noir, riesce perfettamente a districarsi
nelle maglie dell’intreccio per creare un puzzle di personaggi che
danno vita ad un onirico poliziesco.
In Vizio di
forma 1970 California. Doc Sportello, investigatore
privato con una passione smodata per le droghe e il surf, viene
contattato da una vecchia fiamma, Shasta, che gli rivela
l’esistenza di un complotto per rapire il suo nuovo amante, un
costruttore miliardario. L’investigatore non fa neanche in tempo ad
avviare le sue indagini che si ritrova arrestato per l’omicidio di
una delle guardie del corpo del costruttore, il quale è intanto
sparito, come pure Shasta.
Storia che mette lo spettatore
nella condizione di subire la visione distorta e contrapposta di
ogni singola scena anziché seguire i classici indizi che portano
alla risoluzione del caso. Così la narrazione procede per incontri
e personaggi che portano agli sviluppi di una vicenda che tinteggia
un vortice di vizi e prende forma attraverso l’accurata visione del
regista. Questa più intenta a creare torpore che un’atmosfera come
simboleggia l’accurata saturazione della fotografia di
Robert Elswitt e il montaggio interno del film,
caratterizzato da primi piani, lunghi carrelli e diverse camere
fisse che fanno sì che la storia si esprima attraverso l’iterazione
degli attori.
Tra questi indubbiamente risalta il
protagonista, Joaquin Phoenix, che insieme a Tom Cruise in
Magnolia, interpreta uno dei personaggi
più caricati del cineasta, riuscendo egregiamente a passare da una
corda comica a una riflessiva senza sconfinare nello stereotipo pur
citandolo. Discorso analogo vale per Josh Brolin che pur recitando il personaggio
che più subisce questa disillusione riesce a destreggiarsi con una
originale prova d’attore tra i momenti comici e quelli da vero
duro. Eccellente anche il resto del cast composto da
Owen Wilson,
Katherine Waterston,
Reese Witherspoon,
Benicio Del Toro e Martin Short che
si ritagliano un proprio spazio e una loro storia che prende vita
in parallelo alle dinamiche del protagonista riuscendo a
contribuire alla freschezza e all’originalità della
sceneggiatura.
Vizio di
Forma rappresenta la capacità di Anderson di saper
trasporre una personale e viva visione di un’epoca transitoria
senza ricorrere ai generi ma utilizzando i loro meccanismi,
restituendo un lento e complesso viaggio in un immaginario fatto di
allucinanti malinconie.
Ecco il primo trailer di
Vizio di
forma(Inherent
Vice) prossimo film che vedrà la collaborazione di
Joaquin Phoenix con Paul Thomas
Anderson, dopo i fasti di The
Master.
Vizio di
forma, presentato al New York Film Festival, sembra
essere stato accolto con tiepido entusiasmo, intanto noi aspettiamo
di vederlo qui da noi, in Italia, a partire dal prossimo 19
febbraio. Come di consueto, grande cast per il regista culto che
vede fra gli altri coinvolti attori del calibro
di Josh Brolin, Benicio Del Toro, Owen Wilson, Reese
Witherspoon, Martin Short, Katherine Waterston, Jena Malone, Kevin
J. O’Connor.
Di seguito la trama del romanzo di
Pynchon: California, inizio anni Settanta. Doc Sportello,
investigatore privato con una passione smodata per le droghe e il
surf, viene contattato da una vecchia fiamma, Shasta, che gli
rivela l’esistenza di un complotto per rapire il suo nuovo amante,
un costruttore miliardario. L’investigatore non fa neanche in tempo
ad avviare le sue indagini che si ritrova arrestato per l’omicidio
di una delle guardie del corpo del costruttore, il quale è intanto
sparito, come pure Shasta. Sembrano le premesse del più classico
dei noir, ma ben presto le coincidenze piú strane si accumulano e
il mistero si allarga a macchia di leopardo. Doc inciampa così in
collezioni di cravatte con donnine discinte, in falsi biglietti da
venti dollari con il ritratto di Richard Nixon, in un’associazione
di dentisti assassini nota come Zanna d’Oro, che è però anche il
nome di un sedicente cartello indocinese dedito al traffico di
eroina.
Ecco nella gallery di seguito nuove
immagini tratte da Vizio di
forma, il nuovo film di Paul Thomas
Anderson con protagonista Joaquin
Phoenix.
[nggallery id=1101]
La pellicola segnerà il ritorno
della coppia Paul Thomas
Anderson e Joaquin Phoenix,
dopo i fasti di The Master e
racconterà la storia dell’eccentrica figura del detective
tossicodipendente Larry “Doc” Sportello la cui sregolata vita è
sconvolta dall’arrivo improvviso della sua ex ragazza. La vecchia
fiamma riesce a convencere Doc a rintracciare il suo nuovo amante,
un magnate del mattone rapito da dei misteriosi criminali. Come di
consueto grande cast per il regista culto che vede fra gli altri
coinvolti attori del calibro di Josh Brolin, Benicio
Del Toro, Owen Wilson, Reese Witherspoon, Martin Short, Katherine
Waterston, Jena Malone, Kevin J. O’Connor.
Di seguito la trama del
romanzo di Pynchon:
California, inizio anni Settanta.
Doc Sportello, investigatore privato con una passione smodata per
le droghe e il surf, viene contattato da una vecchia fiamma,
Shasta, che gli rivela l’esistenza di un complotto per rapire il
suo nuovo amante, un costruttore miliardario. L’investigatore non
fa neanche in tempo ad avviare le sue indagini che si ritrova
arrestato per l’omicidio di una delle guardie del corpo del
costruttore, il quale è intanto sparito, come pure Shasta. Sembrano
le premesse del più classico dei noir, ma ben presto le coincidenze
piú strane si accumulano e il mistero si allarga a macchia di
leopardo. Doc inciampa così in collezioni di cravatte con donnine
discinte, in falsi biglietti da venti dollari con il ritratto di
Richard Nixon, in un’associazione di dentisti assassini nota come
Zanna d’Oro, che è però anche il nome di un sedicente cartello
indocinese dedito al traffico di eroina.