Prima di Peter
Jackson, Il Signore degli
Anelli era considerato infilmabile, e prima di
Andy Muschietti anche per IT era
stato utilizzato quell’aggettivo. C’era stata la mini serie negli
anni ’90, con protagonista Tim Curry e origine di
molteplici traumi infantili e non per i giovani spettatori di
quell’epoca, ma nessun prodotto cinematografico si era mai
addentrato in profondità nelle pagine del capolavoro di Stephen
King.
L’adattamento di Muschietti però, a
differenza del lavoro citato a opera di Jackson, presenta delle
peculiarità e delle differenza, delle difficoltà di resa che fanno
del film un ottimo prodotto di intrattenimento horror e allo stesso
tempo una trasposizione parziale e semplificata del romanzo.
IT trama
La storia è stata spostata negli
anni ’80 (nel romanzo sono gli anni ’50-’60) e segue le vidende di
sette ragazzini, Bill, Bev, Ben, Eddie, Ritchie,
Stan e Mike, che hanno in comune l’essere
considerati dei “perdenti”, nome che si attribuiscono loro stessi,
fondando un vero e proprio club, composto esclusivamente da sette
membri. I ragazzini trascorreranno un’estate molto particolare
nella loro cittadina, Derry, che sta affrontando un periodo
difficile a causa di omicidi e sparizioni di bambini e ragazzi. I
sette ragazzini scoprono di essere accomunati non solo dal loro
essere outsider, ma anche dalla visione di creature mostruose e di
un clown, dai capelli rossi e il costume argento, una visione
straniante e minacciosa. Guidati dalla volontà di ritrovare
Georgie, fratellino di Bill scomparso mesi prima, i sette ragazzini
ingaggeranno una lotta contro la creatura, la cui forma più comune
(e famosa) è quella di Pennywise, il clown
ballerino.
La storia di King è molto nota e i
più sanno che si snoda seguendo un intreccio che sovrappone passato
e presente, con i protagonisti ora adulti, ora bambini. Ecco, la
prima cosa da specificare per l’IT di Andy
Muschietti è che la storia si concentra solo sulla parte
del romanzo in cui i protagonisti sono ragazzini, lasciando la
parte adulta della storia a un secondo capitolo già annunciato e in
arrivo nel 2019.
Gli anni ’80
Nel mondo che aspetta la seconda
stagione di Stranger Things, è inevitabile, a uno
sguardo superficiale, trovare riferimenti alla serie Netflix e alla nostalgia anni ’80
nel film, che ne riprende le atmosfere e i toni, persino, in alcuni
casi, la pasta dell’immagine. Come un cane che si morde la coda, è
da specificare che tra le tante fonti dei Fratelli
Duffer, ideatori dello show, c’è proprio il romanzo di
King. Insomma un gioco di rimandi e scatole cinesi, all’interno del
quale tutti citano tutti, contribuendo a quel composito blocco
culturale che sembra volerci trasportare indietro nel tempo a
trent’anni fa.
Riferimenti culturali e pop a
parte, il film di Muschietti è un perfetto esempio
di cinema horror, con una creatura mostruosa e dei ragazzini, un
po’ coraggiosi, un po’ scavezzacollo, che decidono di affrontarlo
per sconfiggere le loro paure più profonde. Linguisticamente
parlando quindi, l’adattamento della storia superficiale è
perfetto, con i giusti momenti di terrore puro, con una buona dose
di splatter e con discreti momenti che emotivamente coinvolgono lo
spettatore.
I volti giusti
Decisamente
vincente si è rivelata la scelta dei sette protagonisti, che
ripropongono volti e espressioni lontane nel tempo, prive della
spavalderia moderna, impregnati di passato, giochi e dinamiche
scomparsi nel corso degli anni. L’aspetto kinghiano dell’amicizia,
della comunità, l’importanza del “cerchio”, viene quindi rispettata
anche nel film, che però perde irrimediabilmente di profondità,
attraverso la semplificazione del racconto.
Il film manca di tutto l’aspetto
mistico e cosmogonico del romanzo, scelta intelligente da un punto
di vista del box office, che infatti sta premiando l’operazione
all’estero (IT è il film horror con il maggiore incasso nella
storia del genere a oggi). A fronte di questa semplificazione, che
va oltre i cambiamenti di trama, si verifica una scarnificazione
del racconto e la perdita di tutte le motivazioni che hanno reso
IT il miglior romanzo di Stephen
King.
IT rinuncia alla cosmogonia kinghiana
Il racconto di formazione, il ruolo
della paura incarnata nella pubertà, nel cambiamento, nell’assenza
dei genitori, e che prende forma nel mutevole mostro ancestrale
contro cui i protagonisti combattono, perde tutto il suo peso. Non
c’è nessun rito preparatorio, nessuna consacrazione orgiastica,
nessun patto sacro, nessuno scontro salvifico. Tanto che quando
alla fine il mostro stesso viene concretamente affrontato, ci si
trova di fronte alla rappresentazione di quella che sembra
nient’altro che un’aggressione di massa la quale, poco importa ai
danni di chi, richiama tristemente alla memoria fatti contemporanei
di cronaca nera.
In questo aspetto che rinuncia
completamente al misticismo e alla profondità, alla Creatura contro
la Tartaruga, al conturbante e al potere attrattivo della paura in
sé, IT è un adattamento fallito.
Contemporaneamente il prodotto in generale si dichiara palesemente
un’operazione commerciale di grande pregio, con gli spaventi
pilotati nella maniera giusta e che si avvale di un cast che
restituisce comunque il senso di appartenenza a un gruppo, a una
generazione, a una maniera di crescere che ricorda da vicinissimo
un altro adattamento di King, molto diverso per esiti, fama e
tempo, Stand By Me – Ricordo di un’estate di
Rob Reiner.
La scelta commerciale vincente
Nell’intento di
portare gente in sala, di far saltare dalla sedia, di accompagnare
lo spettatore, anche il più giovane, attraverso un’avventura,
IT è un perfetto esempio di cinema che sfrutta le
doti, già comprovate con La Madre, di
Andy Muschietti, che realizza davvero un film che
può considerarsi un erede del film d’avventura (declinata secondo
il genere horror) per ragazzi degli anni ’80. Resta tuttavia un
adattamento poco coraggioso, e, a paragone con Il Signore
degli Anelli, che nonostante i cambiamenti dal romanzo
mantiene lo spirito del testo di Tolkien, sarà
destinato a confondersi nella mole di prodotti di genere, film di
grande successo, anche di critica, che però non sono stati capaci
di portare al cinema l’anima intima dei romanzi da cui sono
tratti.
La maledizione di Derry, la
creatura malefica e putrescente che i protagonisti stessi chiamano
IT continua a giacere nelle fogne, in profondità,
e forse, quando si risveglierà, tra altri 27 anni, troverà di nuovo
i Perdenti ad affrontarla, con coraggio, con paura, con la voglia
di attraversare e superare l’adolescenza senza lo spauracchio
dell’anonimato, degli adulti, della solitudine, questa volta armati
di fionda e proiettili d’argento.
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