La commissione dell’Hollywood Foreign Press
Association ha dichiarato che quest’anno sarà il grandissimo
Morgan
Freeman il destinatario del premio Cecil B. DeMille.
A Morgan Freeman il Cecil B. DeMille 2012
Brett Ratner non co-produrrà più la cerimonia degli Oscar
A pochi mesi di distanza dall’aver accettato il ruolo di co-produttore della cerimonia degli Oscar dopo l’uscita di Don Mishe, Bret Ratner ha rimesso l’incarico; la decisione arriva dopo che nelle ultime settimane lo stesso Ratner ha rilasciato varie dichiarazioni molto polemiche, scrive Empire. Ratner ha tra l’altro rilasciato affermazioni abbastanza pesanti su Lindaya Lohan, oltre ad aver sparato a ‘zero’ sull’abitudine di provare lo spettacolo: dopo tali affermazioni, il rapporto col resto della produzione si è definitivamente incrinato e Ratner ha compiuto un passo indietro, pubblicando una lunga lettera di scuse. La Academy non ha ancora rilasciato dichirazioni ufficiali, pare comunque che quanto successo non dovrebbe mutare la scelta di Eddie Murphy come conduttore.
Il ritorno di Alexander Payne
Il regista e sceneggiatore Alexander Pyane ha scelto il progetto che seguirà “The Descendants” il suo ritorno dopo la lunga pausa seguita a “Sideways” del 2004: si tratta di “Nebraska” , che verrà girato in bianco e nero e si incentrerà sulla figura di un vecchio padre alcolizzato; attualmente si sta cercando un attore ‘maturo’ che interpreti il ruolo del protagonista. Nel frattempo, si conosce già il progetto successivo: come scrive Collider, sarà l’adattamento della graphin novel “Wilson” di Daniel Clowes, che avrà come protagonista un ‘misantropo’ di mezza età che dopo la morte del padre tenta di riallacciare i rapporti con la ex moglie e la figlia che non ha mai conosciuto; Fox Searchlinght ha acquistato i diritti della graphic novel originarie pensando esplicitamente a Payne per la regia. La sceneggiatura è stata scritta dallo stesso Clowes e il film verrà girato ad Oakland.
“Rose Madder” di Stephen King andrà al cinema
La bibliografia di Stephen King è stata già ampiamente saccheggiata dal cinema, con esiti alterni e i titoli che non hanno ancora trovato una trasposizione cinematografica sono veramente pochi; tra questi vi è “Rose Madder” che, forse per il suo mescolare realtà e paesaggi fantasy, appariva di trasposizione un pò complicata… almeno finora, visto che, come scrive Empire, la Paloma Pictures sembra aver aver messo in cantiere il progetto.
Il romanzo, uscito nel 1995, narra una storia di abusi domestici, con la fuga di una donna continuamente vittima delle violenze del marito, che pian piano si trasforma in qualcosa di molto diverso, ispirandosi in parte ai miti greci, mescolando piano reale e fantastico. L’adattamento dovrebbe essere scritto da Naomi Sheridan. In tema di adattamenti ‘kinghiani’, appare sulla buona strada la miniserie televisiva basata su “The Dome”, progettata dalla Showtime; il libro narra di una delle tipiche cittadine descritte nei libri dell’autore di Portland, che si ritrova improvvisamente separata dal resto del mondo; a scrivere la serie sarà Brian K. Vaughan, già scenggiatore di Lost, oltre che prolifico scrittore di fumetti (suoi, tra gli altri: Y, L’ultimo uomo e Ex Machina).
Jean Dujardin e Cécile De France in Mobius
Ecco Jean-Claude Van Damme in Expendables 2
In Bulgaria stanno proseguendo senza intoppi le riprese di The Expendables 2 e oggi Worstpreview pubblica le prime immaigni sul set di un Jean-Claude Van Damme 50enne e in perfetta forma.
Nuovo banner per Snow White and the Huntsman
La Universal Pictures ha svelato un nuovo banner per il prossimo Snow White and the Huntsman, con protagonisti Kristen Stewart (Twilight), Chris Hemsworth (Thor) e Charlize Theron.
La Primavera araba del cinema dal 3 – 10 e 17 Novembre a Roma!
L’Accademia di Francia
a Roma – Villa Medici presenta il 3, 10 e 17 novembre una prima eco
delle rivoluzioni popolari della Primavera araba, vista da registi.
Tre appuntamenti settimanali che ci portano sull’altra sponda del
Mediterraneo per una breve incursione nel cinema documentario
dell’Egitto e della Tunisia.
I primi della lista: cast e regista presentano il film
Sono simpatici, buffi e appassionati, sono
“i primi della lista’”. Il regista pisano Roan Johnson ci ha
presentato la sua opera prima e il suo cast (Francesco Turbanti,
Paolo Cioni e Claudio Santamaria) presso la casa del Cinema. La
pellicola, a metà tra la commedia e il grottesco, porta in scena
una storia vera, avvenuta tra Pisa e il confine austriaco il 1
giugno 1970.
I primi della Lista: recensione del film
I primi della Lista è una storia vera. Siamo nel 1970: Renzo Lulli è un liceale di buona famiglia e fa parte del movimento studentesco pisano. Tramite un suo amico, Fabio Gismondi, ottiene un provino con Pino Masi, famoso cantastorie del movimento sessantottino e autore della celebre “Ballata del Pinelli”.
Per Lulli è un’occasione da non perdere e prendere al volo nonostante l’imminente esame di maturità. Mentre sta provando a casa del Masi una voce si rincorre: in Italia sta per essere effettuato un golpe militare, come è già avvenuto in Grecia nel 1967. I tre, in preda al panico, prendono la macchina di Lulli, e si dirigono prima verso il confine slavo e poi verso quello austriaco. Bisogna chiedere asilo politico, scappare dall’Italia, perché gli intellettuali, soprattutto i ragazzi iscritti a vari movimenti di sinistra, saranno i primi a essere prelevati dalle case. Nasce così un viaggio verso la salvezza che ha dell’incredibile.
I primi della Lista, il film
I primi della Lista che vede l’esordio dietro la macchina da presa di Roan Johnson è divertente, surreale, ma soprattutto vera. A raccontarla al regista è il protagonista della vicenda, Renzo Lulli, il ragazzo borghese trascinato , inconsapevolmente, dalla figura paranoica e trascinatrice di Pino Masi. Il cantautore è preoccupato e isterico, vittima del suo stesso vittimismo. I tre, in viaggio da molte ore, si ritrovano sul loro cammino numerosi convogli militari diretti a Roma.
La paura cresce e il contrasto tra i due gruppi è rappresentato in modo sublime: la goliardia dei soldati si contrappone alla rigidità facciale e ai movimenti composti dei tre fuggiaschi, che finalmente hanno la loro conferma dei proprio sospetti. L’universo in cui è immerso” I primi della lista” è quello che emerge nel dopo ’68. L’Italia è a un bivio e si ritrova da una parte l’ingenuità e i sogni dei giovani studenti e dall’altra il pericolo concreto di una cruenta lotta interna. Ci si ritrova immersi nel periodo appena precedente alla strage di Piazza Fontana; l’aria degli anni sessanta non si è ancora dispersa, è ancora viva e la si percepisce nei sottotesti delle canzoni di lotta, che i tre protagonisti cantano a squarciagola durante la loro fuga.
La macchina da presa di Johnson predilige un taglio intimista. Si concentra sui primi piani dei tre personaggi, incarnati perfettamente dagli esordienti Francesco Turbanti e Paolo Cioni e dall’ormai veterano Claudio Santamaria, raccontando il loro piccolo mondo fatto di convinzioni e isterismi, di scontri ideologici e di strategie militari.
Tre spiriti liberi, forse troppo creduloni, che grazie a questo viaggio, imparano a crescere e ad affrontare la vita, senza nascondersi. Sono emblematici i titoli di coda del film, che mostrano i veri protagonisti oggi (Masi elemosina soldi cantando in strada, Gismondi ha girato il mondo e vende antiquariato esotico nei mercatini italiani e Lulli vive in Marocco dove realizza sculture in legno) rimasti aggrappati a quel sentimento di libertà ed entusiasmo, rifuggendo le convenzioni moderne della società industrializzata e votata al profitto.
Nell’ultima sequenza i tre amici si ritrovano a cantare la canzone “Quello che non ho” di De Andrè, una perfetta chiusura di pellicola, un racconto in musica di quello che accadde dopo quegli anni: la fine di un’era, la delusione di una generazione incantata e piena di speranze disattese. Pellicola spiritosa e scanzonata, un omaggio all’entusiasmo giovanile, uno sguardo disincantato all’Italia che una volta esisteva, un’esperienza anarchica che ci ricorda il bello del nostro paese e della nostra gente.
One Day: recensione del film con Anne Hathaway
Arriva al cinema One Day, tratto dal romanzo Un giorno di David Nicholls. Diretto da Lone Scherfig, il film vede protagonisti Anne Hathaway e Jim Sturgess.
In One Day Emma (Anne Hathaway) e Dexter (Jim Sturgess) sono due giovani inglesi che si conoscono la notte in cui festeggiano con altri amici il diploma di laurea appena conseguito. Ebbri ed eccitati dalle tante bottiglie bevute, i due finiscono nello stesso letto ma quella che si prometteva come una calda e passionale notte di sesso si rivela un fiasco.
In compenso tra i due nascerà quella sera una splendida e duratura amicizia destinata a conservarsi nel tempo. Emma, intellettuale, timida e idealista è in realtà innamorata di Dex il quale, da classico figlio di papà, pensa solo a godersi la vita tra donne ed eccessi vari. Ogni anno al 15 di luglio i due si ritroveranno nonostante la vita li conduca su strade diverse e lontane. Trascorrono quasi vent’anni in cui i due non riescono ad incrociare i propri sentimenti e dare concretezza all’amore che li lega sino a quando l’amore stesso si rivelerà da sé.
One Day, il film
One day, film tratto dal romanzo di David Nicholls, best seller in Italia e in tutta Europa, è una commovente e coinvolgente storia d’amore. Una storia d’amore come da tempo non se ne raccontavano, in modo semplice, classico se vogliamo, ma incredibilmente intenso e vero.
La storia di Em e Dex è la storia di due vite, due esistenze presentate con tutti gli alti e i bassi che la vita può serbare. E’ la storia di un amore vero e intenso che resiste nel tempo e nonostante tutto; è una storia di rimpianti e rimorsi, di quello che doveva essere è non è stato, di quello che poteva essere e non è stato. La vita. One day di Lone Scherfig, ottima regista danese, è un film capace di divertire, strappare un sorriso grazie a dialoghi mai banali, è un film capace di far commuovere grazie anche alle ottime interpretazioni dei due protagonisti, ma soprattutto è un film capace di far riflettere perché parla di una storia semplice e al contempo vera in cui lo spettatore non fatica a ritrovarsi.
La Jacobson, che in passato ha prodotto film di successo come Il Sesto Senso di M. Night Shyamalan, I pirati dei Caraibi di Gore Verbinski e Le cronache di Narnia di Andrew Adamson, si è innamorata come altri milioni di lettori dei personaggi protagonisti del libro di Nicholls che senza esitare ha acconsentito ad occuparsi della sceneggiatura.
Lone Scherfig si presenta a questo progetto forte del grande successo avuto con il suo ultimo lavoro An Education uno dei film più discussi degli ultimi anni che ha anche ottenuto tre nomination all’Oscar tra cui quella per il miglior film. La regista danese è stata ovviamente costretta a compattare la storia raccontata nel libro ma ne mantiene lo stile narrativo senza stravolgere il profilo dei personaggi.
I due interpreti principali sono perfetti nella parte; esprimono e trasmettono complicità, un legame vero e di intimità. Anne Hathaway (Amore e altri tradimenti) è un’attrice che qui non fa altro che consolidare una reputazione già importante grazie soprattutto alle brillanti interpretazioni in film come Il diavolo veste Prada, o I segreti di Brokeback Mountain.
Jim Sturgess invece gode ancora della lunga scia di ammirazione e successo ottenuto con l’interpretazione di Jude Feeney in Across the Universe film di Julie Taymor; da non dimenticare anche la partecipazione a 21 di Robert Luketic o in Fifty dead man walking in cui interpreta un terrorista dell’IRA al fianco di Ben Kingsley.
La grande curiosità attorno al film è giustificata e spiegata dal cast di alto livello ma soprattutto dall’incredibile successo editoriale del romanzo di Nicholls da cui è tratto, ma il film merita un giudizio critico e sincero ma come film con tutte le compromissioni che comporta il suo mezzo espressivo; in ogni caso One Day è un adattamento molto fedele, parola di Nicholls.
Le Lezioni di cioccolato secondo Federici e il suo cast
Si è svolta nella suggestiva cornice
dell’Hotel Bernini Bristol di Piazza Barberini la presentazione
alla stampa di Lezioni di cioccolato 2, che
sarà nelle sale da venerdì 11 novembre in 300 copie. Presenti il
regista Alessio Maria Federici, al suo esordio, lo sceneggiatore
Fabio Bonifacci, gli interpreti principali Luca Argentero, Hassani
Shapi, Nabiha Akkari, assieme ad Angela Finocchiaro e Vincenzo
Salemme. A rappresentare Cattleya, Marco Chimenz e Francesca
Longardi.
Keira Knightley sarà Effie Gray?
Dopo essere stata Sabina Spielrein per David Cronenberg e pronta a diventare Anna Karenina per Joe Wright, Keira Kightley potrebbe vestire abiti vittoriani con il ruolo di Effie Gray, in un nuovo biopic per la regia di Andrucha Warrington.
Effie Gray, giovane donna che per amore del pittore preraffaelita John Everett Millais fuggì dall’infelice (e mai consumato) matrimonio col critico d’arte John Ruskin, è però già oggetto di attenzioni cinematografiche: le riprese di “Effie”, scritto da Emma Thompson e con Dakota Fanning come protagonista inizieranno proprio in questi giorni, con l’amara consapevolezza di dover affrontare una pericolosa produzione concorrente.
Resta da vedere se la Knightley, non nuova ai film in costume ma non più anagraficamente vicina alla parte(Effie era appena adolescente quando si sposò con Ruskin), saprà egualmente interpretare al meglio il personaggio.
Fonte: la Presse
Lezioni di Cioccolato 2: recensione del film
Sarà da venerdì 11 novembre nelle sale italiane Lezioni di cioccolato 2, sequel del fortunato Lezioni di cioccolato (2007). La squadra è in parte confermata ma punta anche su alcune new entry. Da un lato, infatti, l’impianto dell’opera è affidato al collaudato soggettista e sceneggiatore Fabio Bonifacci (Lezioni di cioccolato, ma anche Oggi sposi e Senza arte né parte), Luca Argentero torna a vestire i panni del geometra Mattia Cavedoni e Hassani Shapi lo affianca nuovamente nel ruolo dell’amico egiziano Kamal. Dall’altro, la direzione passa dalle mani di Claudio Cupellini a quelle di Alessio Maria Federici, qui al suo esordio, dopo l’apprendistato come aiuto regista. Nel cast fanno il loro ingresso Nabiha Akkari come protagonista femminile e l’insolita ed efficace coppia comica Angela Finocchiaro e Vincenzo Salemme.
Mattia e Kamal, dunque, si ritrovano: il primo è stanco della sua azienda edile, che fatica a trovare commesse, così come il secondo vede rarissimi clienti nella sua cioccolateria e sta cercando una soluzione. Mattia si presenta da Kamal, proponendogli di lavorare di nuovo insieme, col cioccolato, ma si scontra con un netto rifiuto. Il pasticcere infatti, pur interessato alla proposta del geometra, non vuole far incontrare al donnaiolo Mattia la sua bella figlia Nawal, appena tornata da un viaggio di studio all’estero.
Non è difficile intuire gli sviluppi della trama, focalizzata sull’incontro/scontro tra i due uomini riguardo alla concezione della donna, al suo ruolo nella società, al rispetto delle tradizioni. “Oggetto del contendere” qui sarà proprio Nawal/Nabiha Akkari, immigrata di seconda generazione in bilico tra Italia ed Egitto. Temi questi peraltro già affrontati nel succitato Oggi sposi, o in pellicole internazionali come Sognando Beckam e nella cui riproposizione ci saremmo aspettati qualche guizzo di originalità in più.
D’altro canto, a dare manforte qui troviamo, come detto, un’altra coppia comico-romantica: quella formata dal Maestro Cioccolataio Conti/Vincenzo Salemme e dall’ispettore Orsetti/Angela Finocchiaro. Ed è forse questa che funziona maggiormente nel film, con la Finocchiaro che offre un’abile caratterizzazione del suo personaggio, anche con pochi tratti, e Salemme che stavolta riesce in parte ad accantonare la sua vocazione per la “macchietta” a tutti i costi.
Resta però l’impressione di una
sceneggiatura costretta dalla presenza ingombrante non del
cioccolato in sé, ma di un particolare prodotto, di un particolare
tipo, di una particolare marca, che pare essere il vero
protagonista di gran parte della vicenda, assieme ad un
romanticismo un po’ troppo semplice. L’occhio del regista si
concentra e gioca molto sulle mille fogge e colori del famigerato
dolcetto e così facendo, sviluppa quasi meglio la sua elaborazione,
che il tema del rapporto tra Mattia e Nawal.
Ha il suo peso anche il fatto che non si riesca a sfuggire ai cliché (il maschio italiano sciupa femmine, la donna virtuosa – che può solo appartenere a un’altra cultura – il padre tradizionalista, l’egoismo maschilista dei due uomini, le donne apparentemente sottomesse e in realtà decisioniste). Tutto ciò condiziona le prove del cast: Argentero, Shapi e Akkari, pur bravi nei rispettivi ruoli – specie i primi, che cercano di vivacizzare quanto possibile Cavedoni e Kamal – sono chiamati a tenere alto il ritmo dell’azione, riproponendo gli schemi classici della commedia di situazione, più che a interpretare personaggi complessi (l’innamoramento e l’assunzione di responsabilità di Mattia, ad esempio, sembrano cadere dall’alto). Non sempre ci riescono, anche se il complesso risulta abbastanza vivace. La pellicola è prodotta da Cattleya e sarà distribuita da Universal Pictures in 300 copie.
Wim Wenders, quando il cinema diventa poesia
Wim Wenders nasce a Dusseldorf il 14 agosto 1945; il suo primo nome fu quasi una forzatura in quanto Wim, nome scelto dalla madre di origine olandese, era considerato dalle autorità…poco tedesco.
Sin da bambino mostra un particolare interesse per la fotografia: a sette anni scatta le prime foto e a dodici ha già una propria camera oscura, a diciassette la prima Leica.
Wim Wenders, biografia
Figlio di un medico anche Wim Wenders inizia gli studi in medicina per poi spostare i suoi interessi di studente verso la filosofia prima e la pittura poi; sarà proprio l’arte che lo porterà a Parigi dove, nel quartiere di Montparnasse, lavorerà come incisore presso lo studio dell’artista statunitense John Friedlander.
Nella capitale francese Wim Wenders inizierà ad approcciarsi con trasporto e passione verso il cinema, l’arte che lo renderà celebre. Inizia a frequentare corsi presso l’Institute des hautes etudès cinèmatographiques ( IDHEC) e trascorre intere giornate a visionare film al Cinèmatheque dove è capace di vedere anche cinque film di seguito, con particolare attenzione verso i classici tedeschi.
Nel 1967 torna in Germania dove si iscrive presso l’Accademia del cinema di Monaco, ormai ha ben chiaro in testa quale strada percorrere. I primi cortometraggi arrivano per l’appunto tra il 1967 e il 1970: Scenari è il primo lavoro del ’67 mentre Alabama 2000 anni luce del ’69 segna l’inizio della collaborazione con Robbie Muller per quanto concerne la fotografia. Questi primi corti rivelano una forte influenza della “Nouvelle Vague” francese e del “New American Cinema” nello stile di Wahrol in cui si susseguono lunghe scene prive di eventi significativi e con una narrazione aperta.
Wim Wenders, quando il cinema diventa poesia
Ma Wim Wenders è sopratutto sempre più convinto di voler perseguire un prototipo di cinema nuovo, indipendente e libero dalle convenzioni tradizionali; così decide di unirsi ad un gruppo di 15 registi e sceneggiatori tedeschi con i quali fonda nel 1971 la Film Verlag der Autoren, con lo scopo di autogestire produzione, diritti e distribuzione dei propri films.
Wim Wenders, film e filmografia
Il primo lungometraggio è datato 1970, Estate in città, seguito da La paura del portiere prima del calcio di rigore, 1971, primo film sceneggiato in collaborazione con Peter Handke con cui lavorerà anche in seguito. A inizio anni ’70 Wim Wenders dirigerà tre lungometraggi accomunati dalla tematica del viaggio che li porterà ad essere riconosciuti come “la trilogia della strada”: Alice nella città, 1973, ancora oggi considerato uno dei suoi lavori migliori, Falso movimento e Nel corso del tempo film per il quale Wim Wenders otterrà i primi riconoscimenti internazionali. Nel 1975 Wim Wenders, oltre a fondare la casa di produzione “Road Movies”, dirige L’amico americano film tratto dal romanzo di Patricia Highsmith “Ripley’s Game”. Il film, che vede come interpreti protagonisti Dennis Hooper e Bruno Ganz, può essere associato alla “trilogia della strada” in considerazione di tematiche comuni quali il misurarsi con il grande cambiamento sociale in atto nel suo paese oltre ad uno spiccato amore verso la musica rock.
Con L’amico americano Wim Wenders vede accresciuta la sua fama negli Stati Uniti, tanto che il film attirerà l’attenzione persino di Francis Ford Coppola il quale vorrà essere coinvolto nella co-produzione. Nel 1982 Wim Wenders gira Lo stato delle cose un film maturato dopo la difficile lavorazione di un progetto precedente incentrato sul giallista americano Dashiell Hammet; il film illustra con spietata schiettezza le difficoltà nel fare cinema a cui il regista dedica un’amara riflessione. Lo stato delle cose avrà un grande successo di pubblico e critica tanto da vincere il Leone d’oro alla Mostra del Cinema di Venezia. Gli anni ’80 non hanno finito di serbare importanti riconoscimenti per il regista tedesco, infatti con Paris Texas del 1985, arriva anche la Palma d’oro al Festival di Cannes. Il film, scritto in collaborazione con Sam Shepard, è ambientato nel deserto americano dove un uomo apparentemente senza memoria cerca un collegamento con il suo passato.
Solo due anni dopo Wim Wenders presenta quello che, probabilmente, è uno dei suoi lavori più famosi, celebrati e commoventi: Il cielo sopra Berlino. Per la sceneggiatura si torna alla collaborazione con Peter Handke mentre per il ruolo principale, l’angelo che rinuncia alla sua immortalità per amore di una donna, riecco Bruno Ganz. Il film vincerà, sempre a Cannes, il premio per la migliore regia. Gli anni ’90 si aprono con la realizzazione di un progetto a cui Wenders lavorava da diversi anni, Fino alla fine del mondo, 1990, un film dal budget molto alto, circa venti milioni di dollari, e girato in quattro continenti. In questo ambizioso romanzo fantascientifico riaffiora per l’ennesima volta il tema del viaggio e dell’amore, in questo caso inseriti in un contesto di progresso tecnologico. La meravigliosa colonna sonora impreziosita da pezzi degli U2, dei REM, dei Talking Heads, Lou Reed e Nick Cave, conferma il ruolo fondamentale della musica nei film del regista tedesco. Per rispettare contratti e accordi presi con la società di distribuzione al film Wenders dovrà apportare numerosi tagli.
Il 1993 è l’anno di Così lontano, così vicino! Sequel de Il cielo sopra Berlino. Nel cast ritroviamo Bruno Ganz, Peter Falk e Otto Sander già protagonisti nel film precedente; la storia è questa volta ambientata nella Germania unificata e ha ancora nella figura dell’angelo il suo protagonista principale. Nel corso del decennio Wenders si fa notare anche per una collaborazione con il maestro italiano Michelangelo Antonioni, con cui dirige nel 1995 Al di là delle nuvole, e per sedere a capo dell’European Film Academy di cui ancora oggi è presidente.
Nel decennio che apre al nuovo millennio Wim Wenders esordisce con uno dei suoi lavori migliori e più apprezzati: Buena Vista Social Club. Il film è un documentario intenso ed emozionante in cui il regista esprime tutto il suo legame con la musica e l’importanza che essa ha sempre ricoperto nella sua vita artistica. Il film è un viaggio alla riscoperta della musica cubana attraverso l’incontro con personaggi del calibro di Ry Cooder, Ibrahim Ferrer, Ruben Gonzales e Company Segundo di cui il regista stila un affettuoso ritratto. Il film sarà anche candidato all’Oscar. Nel 2000, solo un anno dopo, Wim Wenders decide di lavorare sulla sceneggiatura tragicomica scritta e ideata da Bono Vox, cantante e leader degli U2; il film, che ha per protagonisti Milla Jovovich e Mel Gibson, è Million Dollar Hotel, una storia di amore, tradimento e amicizia incondizionati. Vincerà l’Orso d’oro al Festival di Berlino.
Nel corso dell’ultimo decennio, il lavoro di maggior rilievo è sicuramente Palermo Shooting, 2008, in cui il regista riprende il tema a lui tanto caro del viaggio, della ricerca di sé e la scoperta delle diversità. Il film, che ha come protagonista Dennis Hooper, è ambientato in Sicilia e narra la storia di un uomo tedesco di mezza età il quale per rompere con un passato che vuole dimenticare in preda ad una crisi esistenziale, si recherà in Italia e più precisamente a Palermo. In questa realtà tanto diversa dalla sua avrà modo di conoscere una giovane donna e di vivere una vita completamente nuova. Anche qui la musica, la musica intesa come elemento chiave della sceneggiatura e che si esprime attraverso le note di famosi cantanti come Lou Reed e Patti Smith. Wim Wenders insegna cinema alla Scuola di Belle Arti di Amburgo dal 2003, ha ricevuto dottorati onorari vari tra cui quello della Sorbonne di Parigi e dal 2006 è il primo cineasta ad essere insignito dall’Ordine “Puor le Mèrite” per la Scienza e l’Arte. Attualmente ha una sua casa di produzione, la “Neue Road Movies”.
L’ultimissimo lavoro del grande regista tedesco è Pina. Balliamo, balliamo altrimenti siamo perduti. Il film-documentario, attualmente nelle sale, è il compimento di un lungo progetto artistico che Wenders ha potuto realizzare, purtroppo, solo un anno dopo la morte dell’amica e grande coreografa Pina Baush, figura centrale del film stesso. Per poter presentarci al meglio l’arte e la poetica che sprigionano gli spettacoli della Baush, Wenders ha fatto ricorso alla tecnologia 3D, unico modo, secondo il regista, di coinvolgere lo spettatore con la magia del teatro danzante, un modo per creare un contatto di grande intensità. Pina è il primo caso di tecnologia tridimensionale applicata ad un film d’autore, l’ennesima riprova che lo spirito pionieristico e sperimentale di Wim Wenders non si è certo esaurito con il passare degli anni e questo, se permettete, è da considerarsi una fortuna.
Il mio angolo di Paradiso: recensione del film
La regista, Nicole Kassell, famosa per aver diretto il pluripremiato The Woodsman nel 2004, prima delle riprese di Il mio angolo di paradiso, aveva già le idee molto chiare sul fatto che “il film avrebbe dovuto far piangere e ridere allo stesso tempo” e tutti i personaggi sono ben caratterizzati per far sì che questo effetto contraddittorio funzioni. Sarah (Lucy Punch), l’amica d’infanzia, riesce sempre a mantenere un tono scanzonato anche davanti alla difficoltà delle situazioni, Peter (Romany Malco), il vicino di casa, dosa allegria e tristezza, mentre Renée (Rosemarie DeWitt), l’amica che soffre fin dall’inizio, è l’anima drammatica del film.
La storia de Il mio angolo di Paradiso scritta dalla sceneggiatrice Gren Wells, inizia con la presentazione di Marley Corbett (Kate Hudson), una giovane donna in carriera che vive la sua vita con il sorriso sulle labbra, spegne i cattivi pensieri con abbondanti dosi di humor ed è profondamente convinta dell’inutilità di una relazione sentimentale seria. Circondata da amici adorabili/adoranti, dal suo fedele bulldog e da uomini-oggetto, riesce ad avvicinarsi all’amore solo quando il dottor Julian Goldstein (Gael García Bernal) le diagnostica un cancro. Il medico, infatti, lungi da essere solo il messaggero di ingrate notizie, sarà proprio colui che farà vivere a Marley l’esperienza di una vera relazione.
Il mio angolo di Paradiso, il film
Nonostante l’idea non sia male, l’obiettivo della regista -far ridere e piangere contemporaneamente- è un po’ pretenzioso: battute scialbe e poco incisive sono intervallate da scene strappalacrime, ma così come le prime non hanno la forza di scatenare la risata, le seconde suscitano più noia che tristezza.
Una storia, quella d’amore pre-morte, che ricorda la trama del recente “L’amore che resta” di Gus Van Sant. Tutto ciò che però quest’ultimo risparmia allo spettatore -il piagnisteo continuo, la banalità della rappresentazione della morte al cinema- viene mostrato a profusione nel film della Kassell che, nel complesso, tocca picchi di banalità e melodramma tali da far scorrere sul viso dello spettatore lacrime di “disperazione” piuttosto che di “commozione”.
Filippo Timi: artista poliedrico
Filippo Timi – All’ultimo Festival di Venezia era presente con ben quattro film ed è stato tra coloro che hanno suscitato più interesse. Anche se, Quando la notte di Cristina Comencini, nelle sale dal 28 ottobre, che lo vede protagonista assieme a Claudia Pandolfi, è stato accolto al Lido in maniera discordante da critica e pubblico. Qualche risata e qualche fischio da parte della prima, mentre il secondo gli ha tributato otto minuti di applausi a fine proiezione.
Ad ogni modo, Filippo Timi è certo uno dei migliori talenti del cinema italiano contemporaneo. Se avete visto almeno una delle sue interpretazioni, sapete di cosa stiamo parlando: una recitazione sempre intensa e originale, una grande duttilità espressiva, un’energia dirompente, che si esprime prevalentemente attraverso l’uso del corpo dal quale, come ha dichiarato in una recente intervista, non riesce a prescindere. Al cinema ha interpretato personaggi introversi, solitari, timidi, ma anche folli, perversi, assassini, eroinomani, confrontandosi spesso col lato oscuro dell’essere umano. Della sua collaborazione si sono avvalsi registi come Ozpetek, Salvatores, Bellocchio, Placido. Collaborazioni che gli sono valse una consistente e meritata visibilità in Italia e all’estero. Non dobbiamo poi dimenticare gli altri binari attraverso i quali si muove la creatività di questo artista.
L’ eclettismo è infatti una delle sue caratteristiche e gli si farebbe un torto, se si parlasse solo di cinema. Le altre sue grandi passioni sono infatti il teatro – dove ha lavorato a lungo nella compagnia di Giorgio Barberio Corsetti, e dove negli ultimi anni riscuote ampi consensi con spettacoli propri – e la letteratura, da non trascurare, visto che al folgorante esordio col romanzo Tuttalpiù muoio (2005), scritto con Edoardo Albinati, sono seguiti un libro di poesie, un “diario di lavorazione” dal set del film di Gabriele Salvatores, un pugno di racconti inseriti in una raccolta in volgare perugino (il nostro è un convinto assertore del valore del “dialetto”), ed è in lavorazione un nuovo romanzo.
Dunque un artista che si muove su più fronti, in cui dà forma con diverse declinazioni alla propria urgenza espressiva e creativa. E forse, a voler trovare un aggettivo che descriva il carattere della sua opera, “urgente” è il più adatto: urgenza d’esprimersi per convogliare energie e vitalità, affermare la vita stessa e il proprio amore per essa, nonostante ponga di fronte a sfide e ostacoli continui.
Filippo Timi: artista poliedrico
Se volete conoscere nel dettaglio la biografia di Filippo Timii – parziale, romanzata, e tutti gli altri distinguo possibili che occorre tenere presenti in questi casi – potete leggerla nel succitato romanzo, edito da Fandango. Ne desumo qui solo pochi dati: l’attore è nato a Perugia nel 1974 da madre infermiera e padre operaio e che nella sua vita di sfide ne ha dovute affrontare parecchie. Una serie di sfortune fisiche (che a vedere quest’etrusco alto, moro, con gli occhi verdi, dal fisico prestante, proprio non si direbbe): un problema ad una gamba da bambino, poi la balbuzie – da cui riesce a liberarsi solo quando recita – e i problemi alla vista, dovuti al morbo di Stargardt. Ma anche, esperienze esistenziali forti, che lo hanno profondamente segnato. Tutte cose che però il nostro ha affrontato ed affronta con estrema ironia e autoironia. Sorprendente è infatti la sua capacità di non farsi fiaccare dagli incerti dell’esistenza e anzi la dirompente vitalità con la quale ad essi reagisce. Animato anche da uno spirito di rivalsa, quasi da una rabbia nei confronti di questa “vita bestia”, che ha saputo però convertire in risorsa.
La sua formazione artistica è composita ed eclettica: ci sono gli studi sulla voce, flautofonia e canto armonico, quelli sull’espressività corporea e il teatro danza, gli studi di teatro con Davide Enia e Danio Manfredini e quelli di scrittura con Renata Molinari e Mariangela Gualtieri. Lavora al Centro per la Sperimentazione e la Ricerca Teatrale di Pontedera, preparando con Dario Marconcini Paolo di Tarso, poi con Cesare Ronconi, Robert Wilson, quindi Pippo Del Bono, prendendo parte allo studio preparatorio per lo spettacolo La rabbia. Trasferitosi a Roma, nel ’96 inizia un lungo sodalizio artistico con Giorgio Barberio Corsetti, che lo vuole nella sua compagnia. In questi anni perfeziona stili e tecniche, dando prova della sua grande versatilità. Con Corsetti s’instaura un rapporto di fiducia, al punto che nel ’99 questi sceglie di produrre con la compagnia due spettacoli per la regia dello stesso Timi: Medea e F. di O.. Nel frattempo, infatti, l’instancabile attore perugino è diventato anche regista teatrale. I due percorsi procedono paralleli e grazie alla collaborazione con Corsetti arriva anche la prima notorietà per Timi e i primi riconoscimenti. Nel 2001 è protagonista ne Il Woizeck, tre anni dopo è Satana in Paradiso, riscrittura di Paradise Lost di Milton e, sempre nel 2004, vince il Premio Ubu come miglior attore under 30 per Metafisico Cabaret. Il nostro, poi, non disdegna altre collaborazioni teatrali (ad esempio, Sogno di una notte di mezza estate di Elio De Capitani e La morte di Danton di Popowski). Nel 2005 esordisce come scrittore con la già citata “biografia parziale” Tuttalpiù muoio, scritta in coppia con Albinati: romanzo di formazione e racconto di vita reale-realistico, drammatico, ma anche divertente, ironico, spiazzante delle vicende del giovane Filo da Ponte San Giovanni, che diventa un piccolo caso editoriale. Dal 2005 al 2007 Timi lo porta in scena, diretto ancora da Corsetti, col titolo La vita bestia, ottenendo un buon successo. Il binomio testo-spettacolo amplia notevolmente l’orizzonte della sua popolarità. Nel 2009 l’attività teatrale prosegue ormai speditamente e autonomamente e lo spettacolo da lui scritto, diretto e interpretato, Il popolo non ha il pane? Diamogli le brioche fa registrare il tutto esaurito in giro per l’Italia, riscuotendo il favore di critica e pubblico. Il risultato è dovuto, in parte, anche alla popolarità cinematografica raggiunta nel frattempo dall’attore perugino, che si è distinto in questi anni in diverse ottime interpretazioni per il grande schermo.
Il suo cammino nel mondo della settima arte inizia a metà anni Novanta, in produzioni indipendenti. Nel ’99 partecipa al film di Anna Negri In principio erano le mutande. Nello stesso anno inizia a lavorare con Tonino De Bernardi, che oltre a sceglierlo per Appassionate, nei cinque anni successivi lo vorrà per altri quattro film, in cui Timi si occuperà anche della sceneggiatura. Tra i momenti più riusciti di questa collaborazione, senz’altro l’invenzione del personaggio del giovane travestito napoletano Antonello/Rosatigre, protagonista sia di Rosatigre (2000), che di Fare la vita (2001).
Nel 2006 è diretto dall’esordiente Francesco Fei in Onde ed è protagonista del cortometraggio di Matteo Rovere Homo homini lupus, vincitore del Nastro d’Argento. Il 2006 però è anche l’anno che lo vede uscire dal circuito del cinema indipendente – in cui comunque non disdegna tuttora incursioni, anche per piccoli ruoli. È scelto infatti da Saverio Costanzo per interpretare la problematica figura di un seminarista ribelle nel film In memoria di me. Pochissime parole, ma una gestualità e un’espressività del volto efficacissime caratterizzano l’interpretazione di Filippo Timi, rendendo il suo Zanna di gran lunga il personaggio più interessante del film. Interessante al punto che l’anno dopo Filippo Timi è contattato da uno dei nomi di spicco dell’ultima generazione di registi del cinema italiano: Ferzan Ozpetek (turco di nascita, ma ormai italiano, e anzi romano d’adozione). Prende così parte a quel grande affresco su amicizia, amore e morte che è Saturno contro. È un piccolo ruolo il suo, ma anche qui riesce a caratterizzare al meglio Roberto: un poliziotto piuttosto pigro, passivo, una sorta di bambinone, sposato a Neval/Serra Yilmaz. Il ruolo gli consente di dimostrare ancora una volta il suo talento e la sua versatilità, unendosi a un cast di nomi già ampiamente noti: Pierfrancesco Favino, Ennio Fantastichini, Stefano Accorsi, Margherita Buy, Lunetta Savino, Luca Argentero, Ambra Angiolini.
Nello stesso anno, Filippo Timi prende parte, stavolta in veste di protagonista maschile, alla pellicola di Wilma Labate Signorinaeffe. Qui la regista sceglie un evento forse poco noto nella “macrostoria” italiana e certo poco conosciuto dalle giovani generazioni, come lo sciopero degli operai della Fiat nel 1980 contro il piano di licenziamenti, imposto dall’azienda. L’epilogo di quella vicenda è anche il risultato della profonda spaccatura tra gli stessi lavoratori (impiegati da una parte e operai dall’altra, per la prima volta su due fronti apertamente contrapposti). Il licenziamento di migliaia di operai viene visto come l’inizio della perdita di forza del movimento operaio. Per mostrarci questo, però, la regista sceglie la “lente” di un amore impossibile che nasce, del tutto inatteso, in quei giorni di protesta fra l’operaio Sergio/Filippo Timi e l’impiegata Emma/Valeria Solarino. L’incontro con Sergio sconvolge la vita di Emma e mette in crisi tutte le sue certezze: su sé stessa, sul suo lavoro, sulla famiglia e ovviamente, sulla sua relazione con Silvio/Fabrizio Gifuni, che fino a poco prima pensava di volere sposare. Sergio è un tipo burbero, di poche ma incisive parole, diretto, schietto e caparbio, che s’innamora a prima vista di Emma e vuole a tutti i costi averla per sé. Ci regala sguardi alla Gian Maria Volonté, ma non il cinismo di alcuni personaggi di quest’ultimo, che non si confà al suo Sergio. Lui e Valeria Solarino rendono bene l’alchimia di questa coppia, fatta di attrazione e distanza al tempo stesso.
Sempre nel 2007 Filippo Timi prende parte a I demoni di San Pietroburgo di Giuliano Montaldo. L’anno dopo, è Salvatores a chiamarlo a interpretare il ruolo del padre disoccupato e filonazista Rino Zena in Come dio comanda, tratto dall’omonimo romanzo di Niccolò Ammaniti. Rino ama profondamente il figlio Cristiano, ma accanto a questo amore e alla voglia di crescerlo al meglio ci sono i problemi di una vita dura e aspra tra le montagne del Friuli, che hanno forgiato in Rino un carattere parimenti spigoloso. È un “ragazzo padre” senza lavoro, che si confronta ogni giorno con istituzioni che non lo aiutano affatto a risolvere i suoi problemi, ma anzi minacciano di togliergli l’unica cosa che conta per lui: suo figlio. Filippo Timi si tuffa in questo personaggio complesso con la consueta passione e lo rende con convincente aderenza: violento, misogino, attaccabrighe, quasi inavvicinabile. Al figlio insegna a coltivare odio e rancore nei confronti del prossimo, a difendersi dagli altri, ad attaccare per primo se necessario. Il tutto, “a fin di bene”, credendo così di evitargli dolore e sofferenza. Anche al suo amico “picchiatello” Quattroformaggi fa da padre Rino, cercando di colmare i vuoti lasciati da famiglia e istituzioni. Nella seconda parte, però, anziché continuare ad indagare il complesso rapporto padre-figlio, Salvatores fa “un altro film”, un thriller. Protagonisti sono proprio l’adolescente Cristiano/Alvaro Caleca, costretto a cavarsela da solo in una situazione che gli sfugge progressivamente di mano, e Quattroformaggi/Elio Germano, che da picchiatello ingenuo e innocuo si trasforma in assassino – ottima interpretazione anche per Germano, in un ruolo tutt’altro che semplice. Due film in uno insomma, ciascuno un po’ sacrificato.
Dopo aver interpretato un padre filonazista, Filippo Timi è pronto per vestire i panni di Benito Mussolini in Vincere di Marco Bellocchio. È un film che ha a che fare con la nostra storia, chiaramente, ma è anche un film sulla follia, colta in diversi aspetti, e sul labile confine tra questa e una presunta “sanità”. C’è, infatti, l’ostinazione estrema e quasi cieca di Ida Dalser (un’intensa Giovanna Mezzogiorno), che si dedica anima e corpo alla sua relazione col Duce, e non rinuncia a reclamare il suo posto accanto a lui come sua prima moglie e madre di suo figlio Benito Albino, anche a costo della reclusione in manicomio. Poi, c’è Mussolini, con la sua smania di affermazione e i suoi sogni di gloria rispetto ai quali tutto passa in secondo piano. E c’è la drammatica figura di Benito Albino: il figlio nato dall’unione del duce con la Dalser, schiacciato dalla figura del padre, assente materialmente dalla sua vita, ma che pure lo ossessiona e lo porterà al delirio. Filippo Timi dà prova di saper caratterizzare efficacemente sia il padre che il figlio, in maniera originale, puntando molto sull’elemento fisico e sulla sua duttilità espressiva. Il film è l’unico italiano in concorso al Festival di Cannes, ma non ottiene premi in questa sede. Al contrario, trionfa ai David di Donatello, portando a casa il premio per la miglior regia, ed altre sei statuette. Con questa pellicola, Filippo Timi verrà apprezzato anche all’estero: otterrà una nomination agli EFA come miglior attore europeo e andrà in America a prendersi il meritato premio come miglior attore al Chicago International Film Festival.
Nello stesso anno partecipa al thriller di Giuseppe Capotondi La doppia ora, al fianco di Kseniya Rappoport, con cui approda al lido di Venezia in concorso. Otterrà il Premio Pasinetti come miglior interprete del 2009. Nel 2010, dopo una piccola parte – per la quale però, ha recentemente affermato, si è preparato “come per un ruolone” – e una collaborazione alla sceneggiatura de La solitudine dei numeri primi di Saverio Costanzo, è nel cast di The American di Anton Corbijn. Nel 2011 è nelle sale italiane diretto da Michele Placido in Vallanzasca – Gli angeli del male, in cui interpreta ancora un ruolo non facile: quello di Enzo, amico d’infanzia di Renato Vallanzasca/Kim Rossi Stuart, la cui storia il film ricostruisce. “Enzino” è davvero legato a Renato da un vincolo quasi fraterno, ma è anche il più debole della banda. Nel corso del film lo vediamo diventare un tossico paranoico, tentare di rubare in casa del suo migliore amico, fare la spia, perdere ogni dignità, scivolando progressivamente verso un inevitabile abisso. E Filippo Timi offre un’ottima prova anche qui confrontandosi con l’ennesimo groviglio di pulsioni, istinti ed emozioni umane, con le luci, ma soprattutto con le molte ombre di questo personaggio. Il film partecipa fuori concorso a Venezia 2010. Rossi Stuart ottiene il Nastro D’Argento come miglior attore protagonista per la sua interpretazione di Vallanzasca.
A Venezia 2011 invece, Filippo Timi è presente con ben quattro pellicole, come si diceva in apertura: Ruggine di Daniele Gaglianone, in cui si trova, anzi, pare sia stato lui stesso a consigliare al regista di sceglierlo per interpretare “il male”, il ruolo dell’orco cattivo che segna per sempre la vita di un gruppo di bambini nella Torino di fine anni Settanta. La sua caratterizzazione della schizofrenia del dottor Boldrini, del suo delirio, della follia omicida di un pedofilo è di sorprendente efficacia, resa forse anche maggiore dalla chiave scelta dal regista, che non vuole mostrare apertamente la violenza, il sangue, l’assassinio, ma ce lo lascia in gran parte immaginare. Nel cast, nei ruoli dei tre bambini, ormai divenuti adulti, Valerio Mastandrea, Stefano Accorsi e Valeria Solarino, che Filippo Timi aveva già ritrovato l’anno prima sul set di Placido. L’attore perugino ha preso parte anche al documentario di Davide Ferrario Piazza Garibaldi ed è ora in sala con altri due lavori presentati a Venezia: Quando la notte di Cristina Comencini, tratto dal libro della stessa regista, che lo vede nel ruolo della guida alpina Manfred, accanto a Claudia Pandolfi/Marina, madre in difficoltà. E Missione di pace, esordio di Francesco Lagi, cui ha voluto partecipare (nell’insolita veste di Che Guevara), testimoniando ancora la considerazione da sempre nutrita per i “piccoli film” e per i “piccoli ruoli”.
Infine, prossimamente lo potremo vedere a teatro. Dal 22 novembre al 4 dicembre porterà infatti al Teatro Quirino di Roma il suo spettacolo Favola, che dopo il successo delle repliche milanesi, proprio dalla capitale inizierà il suo tour in giro per l’Italia.
Uscite al cinema del 11 novembre 2011
Uscite venerdì 11
novembre – Il re Leone: Torna in 3D un classico moderno
della Disney. Simba è un cucciolo di leone, figlio di re Mufasa e
principe ereditario della Savana. Curioso e avido di vita,
contravviene agli ammonimenti del padre e si lascia convincere
dall’infido zio Scar a visitare il misterioso ‘cimitero degli
elefanti’, dove viene aggredito da tre iene ebeti e fameliche.
Soccorso dal padre, Simba promette di non disobbedire più e di
seguire disciplinato le orme del genitore. Ma Scar è in agguato.
Ostinato a usurpare il trono del fratello, di cui invidia la forza
e la saggezza, orchestra un nuovo piano per liberarsi
definitivamente di re e principe.
Wild Bill: recensione del film con Andy Serkis
A metà strada tra Ken Loach e una commedia famigliare dai toni grotteschi, Wild Bill di Dexter Fletcher ha chiuso la sezione “Occhio sul mondo” del Festival Internazionale del film di Roma con una vera e propria standing ovation.
In Wild Bill in libertà vigilata, dopo otto anni di carcere, Bill Hayward torna a casa, in un difficile quartiere dell’East End di Londra dove violenza, droga e bullismo sono all’ordine del giorno, e qui ritrova i due figli, Dean di quindici anni, e Jimmy di undici, abbandonati dalla madre e determinati a cavarsela da soli. Bill, restio a ricoprire il ruolo di padre, vorrebbe trasferirsi da solo in Scozia ma si ritrova costretto ad occuparsi dei suoi due ragazzi per non farli finire nell’inferno dei servizi sociali. Impaurito ed immaturo tanto quanto i suoi figli, il selvaggio Bill affronta un difficile percorso di redenzione e crescita.
Wild Bill, il film
La protagonista di Wild Bill è la città, o meglio i sobborghi di una metropoli dove solitudine ed emarginazione si mescolano creando architetture fredde e inospitali. East London, in questo caso, con i suoi quartieri degradati, il cemento armato, visto come cappa dalla quale non può decollare alcun tipo di aspirazione, riduce tutto in un grumo di malessere e smog. Ma il regista Dexter Fletcher non è Loach, e non che questo sia per forza un male. Anzi il suo punto di vista, per niente scontato o banale, getta una nuova luce sul cinema inglese.
La storia prende il via quando Bill Hayward (Charlie Creed-Miles) viene rilasciato di prigione con la condizionale. Alle spalle, un passato di delinquenza che gli ha regalato il nome di “Wild Bill”. Tornando ritrova i suoi due figli di quindici e undici anni Dean e Jimmy (Will Poulter e Sammy Williams), abbandonati dalla madre che è scappata in Spagna con la sua nuova fiamma. Deciso all’inizio a rimanere solo finché i servizi sociali si saranno convinti a non dare in affidamento i ragazzi, Bill pian piano ritrova l’orgoglio perduto e impara, a tentoni e con molte gaffe, a fare il padre. E i figli che prima lo odiavano o lo trattavano con indifferenza cominciano ad apprezzare l’idea di avere di nuovo in casa una figura di riferimento che si prenda cura di loro. Ma i vecchi compari di Bill (tra cui Andy Serkis) vorrebbero che lasciasse la città, e il piccolo Jimmy rischia di venir risucchiato dal mondo che il suo vecchio desidera lasciarsi alle spalle.
Da questo connubio tra cinema sociale di ambiente working class, tipicamente britannico, e una storia tutta famigliare commovente e toccante nasce un film molto godibile che non sprofonda mai nel dramma tout court, ma lascia aperto non solo uno spiraglio di ottimismo ma che non rinuncia neanche ad uno sguardo ironico sulla vita. Ricominciare è possibile, e non a caso Dean lavora in un cantiere per la costruzione di un velodromo. Particolarmente eccezionali Creed-Miles e Poulter che riescono a rendere perfettamente il risveglio morale e umano di Bill soprattutto attraverso i loro occhi, prima spenti e disillusi poi teneri ed emozionati. Una distribuzione italiana non dovrebbe farsi attendere.
Clive Owen in un nuovo action
Box Office ITA del 7 novembre 2011
Esordio eccellente per I soliti idioti, che fa suo il primo posto, seguito dalla buona tenuta di La peggiore settimana della mia vita e Le avventure di Tin Tin. Non brillanti le altre new entry…
Il weekend appena trascorso registra un aumento al botteghino italiano, dopo incassi non particolarmente brillanti a ottobre e soprattutto a settembre.
Si impone senza difficoltà
I soliti idioti, che debutta con ben 4,5
milioni di euro nel suo primo fine settimana.
Così La peggiore settimana della mia vita
scende in seconda posizione, perdendo pochissimo rispetto
all’esordio. La commedia incassa infatti altri 2 milioni giungendo
a quota 6,5 milioni.
Anche Le avventure di Tin Tin – Il segreto
dell’Unicorno perde una posizione, raccogliendo altri
898.000 euro per 2,8 milioni complessivi.
Quarto posto per Johnny
English – la rinascita, arrivato a 2,2 milioni con
altri 569.000 euro.
Insidious guadagna una posizione grazie
soprattutto alla passata notte di Halloween: l’horror di James Wan
ottiene altri 480.000 euro per 1,6 milioni totali.
Warrior
debutta al sesto posto con un risultato tuttavia non brillante: il
film molto apprezzato dalla critica apre infatti con 441.000 euro
raccolti in 150 sale.
Segue This must be the place, giunto a
quota 5,4 milioni con altri 391.000 euro, mentre
L’amore all’improvviso – Larry
Crowne (344.000 euro) regge in ottava posizione
arrivando a 1,2 milioni complessivi.
Nono posto per Matrimonio a Parigi,
pronto ad abbandonare la top10, che sfiora i 4 milioni totali con
gli ultimi 321.000 euro raccolti.
La kryptonite nella
borsa, molto apprezzato al Festival del Film di Roma,
apre solo in decima posizione con 316.000 euro incassati in 137
sale.
Da segnalare infine l’undicesimo posto di Il domani che
verrà – The tomorrow series (264.000 euro) e il
dodicesimo di Pina 3D, l’omaggio a Pina
Bausch che Wim Wenders ha presentato a Roma, che raccoglie 201.000
euro in appena 48 sale.
Una notte da leoni 2: dal 6 Dicembre in Blu-ray e Dvd!
I leoni sono tornati:
Una notte da leoni 2 dal 6 dicembre sarà disponibile in Blu-ray e
Dvd e nelle esclusive edizione che raccolgono entrambi i film. Uno
strip club, un dito, uno spacciatore, un negozio di tatuaggi e una
scimmia, queste sono le chiavi per risolvere il mistero della
scomparsa dell’invitato al matrimonio durante l’ultimo addio al
celibato.
Box Office USA del 7 Novembre
Per la seconda settimana, resiste in prima
posizione del box office USA Puss in boots, lo
spinoff di Shrek con il gatto con gli stivali protagonista.
Un’eccezione visto che nelle ultime settimane la prima posizione
era stata di fatto in continuo cambiamento a seconda delle nuove
uscite in arrivo.
La Kryptonite nella borsa: recensione del film di Ivan Cotroneo
Acclamatissimo al Festival Internazionale del Film di Roma, La Kryptonite nella borsa, esordio dietro la macchina da presa di Ivan Cotroneo, arriva al cinema forte del successo festivaliero e della buona accoglienza della critica.
La Kryptonite nella borsa, la trama
In La Kryptonite nella borsa tutte le famiglie hanno dei segreti, alcuni fanno più ridere di altri, con questo sottotitolo si presenta questo film, colorato affresco di una Napoli degli anni ’70in cui una donna scopre un tradimento e cade in una c profonda depressione, un marito cerca di insegnare al figlio il senso della vita continuando ad uccidere pulcini involontariamente, e lo stesso bambino trova rifugio nella compagnia di un amica immaginario, un Superman napoletano, che gli insegnerà il valore di essere sempre fedeli a se stessi.
Cotroneo parte dal suo omonimo libro e racconta con grande leggerezza e spiccata vena comica una storia che poteva anche essere drammatica ma che, grazie anche ad un ottimo cast, ci accompagna con ironia e qualche volta grasse risate ad un epilogo poetico. Fulcro della storia è Peppino, interpretato dall’esordiente Luigi Catani, un bambino molto dolce e sensibile travolto dagli eventi e dai compagni bulli, che però non rinuncia al suo essere diverso dagli altri, aiutato anche da una famiglia stramba in cui la madre (Valeria Golino), scoperti i tradimenti del marito (Luca Zingaretti), si rifugia in un silenzio assurdo e inspiegabile, e lo stesso padre cerca di sostenere il figlio dopo la scomparsa del cugino, Gennaro (Vincenzo Nemolato), personaggi strambo che andava in giro travestito da super eroe. Gennaro però riappare a Peppino ogni volta che c’è qualcosa che non va aiutandolo a sopravvivere in un mondo che non capisce molto bene.
La grandissima abilità di Cotroneo, e solo un regista napoletano poteva riuscirci, è quella di dare a Napoli un aspetto di sicurezza e di romantica familiarità immersa com’è nei colori sgargianti degli abiti anni ’70, tutti troppo colorati, troppo corti e troppo stretti, ma estremamente originali e diversi gli uni dagli altri. E forse è proprio questo il messaggio che La Kryptonite nella borsa vuole dare, e cioè la ricchezza nella diversità e nella possibilità di essere indipendente da quello che gli altri pensano e dicono.
Controneo conduce i suoi attori in maniera classica, con qualche guizzo di regia che impreziosisce il film. Una pellicola che si lascia guardare con piacere e che sicuramente sarà apprezzata da molti. Nel film anche Cristiana Capotondi e Libero de Rienzo.
European Film Awards 2011 nomination: dominano Melancholia, The Artist e Il discorso del re!
Jessica Chastain sarà la principessa Diana!
La carriera dell’attrice protagonista di The Tree of life Jessica Chastain procede a gonfie vele. Infatti, arriva la notizie che la star ha accettato il difficile ruolo di interpretare la principessa Diana nel film Caught In Flight (letteralmente: catturata in volo), che sarà diretto dal regista de La caduta, Oliver Hirschbiegel. Il film racconterà la storia d’amore tra Diana e Hasnat Khan, un appassionato legame durato due anni. Certamente la pellicola riaprirà discussioni sui tragici avvenimenti in seguito alla sua morte.
La sceneggiatura è firmata da Steven Jeffreys (The Libertine). A quanto pare il film dipingerà la principessa in una luce tutt’altro che lusinghiera, e Hirschbiegel ha in progetto di girarlo in varie location, inclusa ovviamente Parigi, dove Diana morì in un incidente per sfuggire ai paparazzi, nel Tunnel de l’Alma.
Vi ricordiamo che la Chastain sarà anche in ben tre nuovi titoli in uscita: The Help, Take Shelter e Coriolanus.
Fonte: comingsoon.it
One Day: intervista a Anne Hathaway!
Dopo l’intervista a Jim Sturgess arriva anche quella a Anne Hathaway, entrambi protagonisti dei One day (Un giorno) in uscita l’11 Novembre. Anne Hathaway ci racconta qualcosa in più su Emma, il personaggio che intepreta:
Lo Hobbit: indiscrezioni dal set di Hobbiville!
Arriva una descrizione di una scena dal set dello Hobbit. Ain’t It Cool News ha partecipato alle riprese di una scena di Lo Hobbit – un viaggio inaspettato ambientata al mercato di Hobbiville. Questa la descrizione riportata da Hobbitfilm:
La sequenza ha inizio con Bilbo che compra del pesce con fare nervoso. A questo punto nella storia Gandalf gli ha già proposto di intraprendere la grande avventura e quindi Bilbo si aspetta che lo stregone gli spunti davanti di punto in bianco e lo tormenti con la stessa storia. Dopo aver comprato del pesce da me, Bilbo si imbatte in un altro Hobbit di nomeWorrywort intento a spingere una carriola e gli chiede se ha visto lo stregone aggirarsi nei dintorni.
[…] E’ interessante notare che anche Otto e Lobelia Sackville-Baggins sono nella scena. Lobelia guarda sprezzante Bilbo che cerca di nascondersi dietro Worrywort. Indossa degli abiti orribilmente sfarzosi e il più ridicolo berretto che abbia mai visto. L’attrice, di cui non ricordo il nome, sembra adeguata per la parte. I fan dei vecchi film ricorderanno che Elizabeth Mooy interpretò la parte nella Edizione Estesa.
La sinossi ufficiale di Lo Hobbit – un viaggio inaspettato:
Lo Hobbit – un viaggio inaspettato segue il viaggio del protagonista Bilbo Baggins che viene catapultato in un’epica ricerca per reclamare il Regno Nanico di Erebor caduto in preda allo spaventoso drago Smaug. Sollecitato da Gandalf il Grigio, Bilbo si trova all’improvviso in compagnia di tredici nani guidati da un guerriero leggendario: Thorin Scudodiquercia. Il loro viaggio li condurrà nelle Terre Selvagge, attraverso infide lande brulicanti di Goblin e Orchi, letali Mannari, Ragni Giganti, Mutapelle e Stregoni.
Anche se la loro meta risiede a Est, tra le steppe della Montagna Solitaria, dovranno prima trovare alla svelta una via di fuga dai tunnel dei goblin, in cui Bilbo incontra la creatura che cambierà la sua vita per sempre… Gollum.
Qui, da solo con Gollum, sulle rive di un lago sotterraneo, l’ignaro Bilbo Baggins non solo scopre – con sua grande sorpresa – di possedere una notevole dose di astuzia e coraggio ma entra in possesso del “tesoro” di Gollum, un anello dotato di insolite qualità molto utili… un semplice anello d’oro cui è legato il destino della Terra di Mezzo in modi che Bilbo non può ancora comprendere.
Fonte: AICN